16 FEBBRAIO 2025
6ª DOMENICA T.O.
BEATI VOI
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COMMENTO
Il brano evangelico di questa domenica è tratto dal sesto capitolo di Luca. Si tratta di un capitolo indispensabile per comprendere il significato del messaggio di Gesù. Alcuni biblisti, in un recente passato, l’hanno definito come la Magna Charta del cristianesimo. Il fatto narrato avviene ai piedi del Monte delle Beatitudini nelle vicinanze del lago di Genezareth.
Gesù ha appena scelto i dodici discepoli che lo accompagneranno nella suo compito di annuncio e di testimonianza della missione che il Padre gli ha affidato. La sua fama si allarga sempre di più. Luca (6,17) riporta: “Ne aveva attorno molti, e per di più c’era una gran folla di gente venuta da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dalla zona costiera di Tiro e di Sidone”. Erano convenuti da tutto Israele per ascoltarlo e per farsi guarire dalle loro malattie precisa l’evangelista.
Gesù prende la palla al balzo e trasforma il meeting estemporaneo in una catechesi. Fondamentale è l’aggettivo, più volte ripetuto, “beato”. Dobbiamo subito dire che il suo significato non è legato ad una disposizione umorale ma ad una ben precisa situazione di vita. L’essere poveri non è una benedizione se è imposto e forzato; lo è solo se si tratta di una libera scelta di libertà nei confronti della tirannia dell’avere e del possedere, oggi particolarmente di moda. Così pure l’avere fame diventa beatitudine non perché continuamente randagi alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti, ma perché affamati di valori, di senso e di libertà. Il pianto diventa beatitudine, non quando e il naturale sfogo del dolore fisico o morale, ma quando si trasforma in fattiva solidarietà per chi è vittima di violenze, di guerre o di tradimenti. Anche l’odio, la maldicenza, il disprezzo si trasformano in beatitudine se sono originati dalla coerenza del nostro attaccamento a Cristo.
All’improvviso Gesù cambia i toni del suo predicare. Il “beati” si trasforma in “guai”. Dobbiamo subito precisare che non si tratta di minacce ma di dispiacere e di lamento. Il termine italiano “guai” non è altro che la traslitterazione di “Ohi” ebraico che era il lamento delle donne durante i funerali .
Quindi esprime il dispiacere di Gesù per coloro che vivono completamente soggiogati alle leggi dell’avere, del potere, dell’apparire, del fatuo e dell’adulazione che all’apparenza appagano, ma che in realtà’ inaridiscono il cuore ed il cervello rendendoli incapaci di accogliere e vivere la Parola.
Noi a quale tribù apparteniamo: ai “beati” o ai “guai”? La risposta dobbiamo darla solo alla nostra coscienza. Questa provocazione evangelica tocca ognuno di noi.
BEATO L’UOMO CHE CONFIDA NEL SIGNORE
Il senso di insicurezza è un dato psicologico, proprio dell’uomo di tutti i tempi, anche del nostro tempo; da questo senso di insicurezza sorge la necessità di trovare un appoggio in chi è più sicuro, in amicizie influenti, in raccomandazioni; di qui la preoccupazione di assicurarsi per l’avvenire contro ogni evento della vita; di qui la corsa ai beni della terra perché sembrano dare una certa sicurezza.
Il messaggio che ci viene dalla liturgia della Parola di questa domenica è chiaro e limpido: la sicurezza dell’uomo non si deve cercare nell’uomo, in ciò che è terreno, ma in Dio, nell’eterno.
Geremia è il profeta più incompreso, maggiormente contrastato e perseguitato della storia di Israele. Mentre il re ed i maggiorenti si affannano a cercare alleanze ed appoggio con l’Egitto, a sud, contro l’Assiria del nord, Geremia predica la fiducia in Dio. Solo Dio, non certo l’Egitto, avrebbe salvato Israele dal regno potente del nord; ma non viene ascoltato. Assisterà all’invasione di Israele da parte dell’Assiria, alla distruzione della città di Gerusalemme; lo stesso re Sedecìa sarà accecato e deportato. Anche Geremia seguirà la sorte di tutti e sarà deportato.
A ragione pertanto può dire “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo… Egli sarà come un tamerisco nella steppa… dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere.” “Maledetto” non perché il Signore voglia per lui il male, o gli mandi delle disgrazie, ma perché quest’uomo si pone da se stesso nei guai, si mette sulla strada della rovina. L’uomo che confida nell’uomo è sulla strada sbagliata. Mettere tutta la propria fiducia nelle cose materiali e fare di esse il fine ed il fondamento della propria vita, è andare incontro alla delusione ed al fallimento.
“Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è sua fiducia. Egli è come un albero piantato lungo l’acqua, verso la corrente stende le radici;… nell’anno della siccità non intristisce”.
“Confidare in Dio”, non vuol dire stare con le braccia incrociate ed attendere tutto da Dio, passivamente. Significa porre Dio a fondamento e fine ultimo della propria esistenza, fidarsi della sua parola, lasciarsi guidare da essa. La fiducia del cristiano si fonda su una grande certezza: “Cristo è risuscitato dai morti” come assicura S. Paolo nella seconda lettura; questa certezza è la forza che sostiene gli Apostoli, Paolo, i primi cristiani, nella loro testimonianza fino al martirio, e che deve sostenere anche noi.
Anche il Vangelo di Luca contrappone due categorie di persone: i ricchi e i poveri. “Guai a voi”, che ora siete sicuri, perché ricchi, sazi, felici, stimati; “Beati voi”, che ora siete insicuri, perché poveri, affamati, nel pianto, perseguitati, “perché la vostra ricompensa è grande nei cieli”.
È un richiamo evidente alla parabola del ricco gaudente, il ricco Epulone, che finisce nei tormenti, arso dalla sete, e del povero Lazzaro che, al termine della vita, si trova in seno ad Abramo.
Ma chi sono i poveri che Gesù chiama beati? Sono quelli che hanno il cuore distaccato dai beni terreni e non pongono la loro felicità e fiducia in essi; sono coloro che sanno di essere piccoli e bisognosi di tutto, che si pongono di fronte a Dio come il mendicante che tende la mano.
Ed i ricchi sono esclusi dal regno di Dio? No, Gesù non esclude nessuno; il suo annuncio di salvezza è per tutti. Gesù non si scaglia contro i ricchi: li mette semplicemente in guardia dalle loro stesse ricchezze, perché chi possiede la ricchezza rischia di chiudersi nella sua autosufficienza, di essere sordo alla voce di Dio, di porre la sua fiducia esclusivamente in se stesso e nei suoi mezzi. Rischia insomma di escludersi da solo dal Regno di Dio.
In concreto, come dobbiamo intendere il discorso del vangelo di oggi? Dobbiamo forse desiderare la povertà e rimanere in condizione di sottosviluppo economico e sociale? È certamente nobile lo sforzo di dare maggiore dignità all’uomo e migliorare le sue condizioni di vita; il discorso di Gesù non si oppone certo a questo sforzo ed a questo impegno. Bisogna soltanto non mettere il benessere e la ricchezza al primo posto; non legare il proprio cuore alle ricchezze ed ai beni terreni. Non perché il benessere, come tale, sia un male, ma perché è l’uomo che può servirsene male e rendersene schiavo.
Dobbiamo pertanto tutti chiedere al Signore lo “spirito di povertà”. Chi ha abbondanza di beni materiali, per non attaccare ad essi il cuore; chi è povero di beni materiali, per non essere né avido né invidioso. Solo con queste disposizioni d’animo possiamo veramente essere “beati” in senso evangelico, cioè ricchi di quei beni che vengono da Dio.
D. MARIO MORRA sdb
Maledetto chi confida nell’uomo; benedetto chi confida nel Signore.
Utilizzando immagini forti, tipiche della sua predicazione, il profeta mette confronto i due atteggiamenti: quello di ci confida solo nelle proprie forze e quello della fede nel Signore che sarà l’unico a dare frutti duraturi.
Dal Salmo 1
Il salmo 1, che apre il libro dei salmi, riprende la predicazione di Geremia per riaffermare la scelta coraggiosa ma carica di futuro che i giusti devono fare: radicarsi nel signore.
SECONDA LETTURA
Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede.
Al centro del messaggio di Paolo c’è la certezza della risurrezione del Signore, garanzia della vita eterna che sostiene le scelte evangeliche di ogni giorno.
Beati i poveri. Guai a voi, ricchi.
In questo brano del vangelo di Luca, Gesù affianca le beatitudini, rivolte in modo molto più concreto a chi vive nella povertà, nell’indigenza e nel dolore, ai “guai” vero chi crede di poter vivere e godere in questa vita, senza rispondere al proprio destino ultraterreno con responsabilità, giustizia e condivisione.
Maledetto chi confida nell’uomo; benedetto chi confida nel Signore.
Utilizzando immagini forti, tipiche della sua predicazione, il profeta mette confronto i due atteggiamenti: quello di ci confida solo nelle proprie forze e quello della fede nel Signore che sarà l’unico a dare frutti duraturi.
Dal libro del profeta Geremia Ger 17,5-8
Così dice il Signore:
«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo,
e pone nella carne il suo sostegno,
allontanando il suo cuore dal Signore.
Sarà come un tamarisco nella steppa;
non vedrà venire il bene,
dimorerà in luoghi aridi nel deserto,
in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere.
Benedetto l’uomo che confida nel Signore
e il Signore è la sua fiducia.
È come un albero piantato lungo un corso d’acqua,
verso la corrente stende le radici;
non teme quando viene il caldo,
le sue foglie rimangono verdi,
nell’anno della siccità non si dà pena,
non smette di produrre frutti».
Parola di Dio.
Dal Salmo 1
Il salmo 1, che apre il libro dei salmi, riprende la predicazione di Geremia per riaffermare la scelta coraggiosa ma carica di futuro che i giusti devono fare: radicarsi nel signore.
Rit. Beato l’uomo che confida nel Signore.
Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti,
ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte.
È come albero piantato lungo corsi d’acqua,
che dà frutto a suo tempo:
le sue foglie non appassiscono
e tutto quello che fa, riesce bene.
Non così, non così i malvagi,
ma come pula che il vento disperde;
poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti,
mentre la via dei malvagi va in rovina.
SECONDA LETTURA
Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede.
Al centro del messaggio di Paolo c’è la certezza della risurrezione del Signore, garanzia della vita eterna che sostiene le scelte evangeliche di ogni giorno.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 1 Cor 15,12.-16-20
Fratelli, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti?
Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti.
Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini.
Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti.
Parola di Dio.
Lc 6,23
Alleluia, alleluia.
Rallegratevi ed esultate, dice il Signore,
perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo.
Alleluia.
Beati i poveri. Guai a voi, ricchi.
In questo brano del vangelo di Luca, Gesù affianca le beatitudini, rivolte in modo molto più concreto a chi vive nella povertà, nell’indigenza e nel dolore, ai “guai” vero chi crede di poter vivere e godere in questa vita, senza rispondere al proprio destino ultraterreno con responsabilità, giustizia e condivisione.
Dal vangelo secondo Luca Lc 6,17.20-26
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
Parola del Signore.
16 FEBBRAIO 2025
6ª DOMENICA T.O.
beati voi
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Laudato sii
Ancilla Domini
Un anno straordinario
Sorrisi divini
I Love Francesco
DATA: Giovedì 13 marzo 2025
DESTINATARI: IdR di Piemonte e Valle d’Aosta.
LUOGO: Torino, al Centro Congressi Santo Volto (Via Borgaro, 1 – angolo Via Val Della Torre)
ORARIO: l’incontro inizierà alle ore 9,00 (accoglienza dalle ore 8,00) e si concluderà alle 16,00 (con un intervallo per il pranzo dalle ore 12,30 alle 14,00).
TEMA: Speranza, Misericordia e Fratellanza.
LE ISCRIZIONI SONO APERTE (fino al 3 marzo): ISCRIVITI
RICONOSCIMENTO FORMATIVO
AIMC e UCIIM, che collaborano alla realizzazione del Convegno, sono Associazioni Professionali “soggetto qualificato per la formazione del personale della Scuola” riconosciute dal MIUR (ai sensi della Direttiva Ministeriale n. 170 del 2016). Pertanto, il Convegno gode di riconoscimento ministeriale ai fini della formazione in servizio. «Gli insegnanti hanno diritto alla fruizione di cinque giorni nel corso dell’anno scolastico per la partecipazione a iniziative di formazione con l’esonero dal servizio e con sostituzione ai sensi del Decreto 90/2003 e del DM 5 luglio 2005».
Al termine del Convegno, ai partecipanti verrà consegnato l'attestato di partecipazione.
Nel panorama editoriale italiano, l'uscita del “Nuovo Testamento. Traduzione Letteraria Ecumenica” rappresenta un evento di straordinaria importanza. Frutto di un'intensa collaborazione tra la Società Biblica in Italia e l'editrice Elledici, questa pubblicazione segna una tappa fondamentale nel cammino ecumenico e offre una nuova, preziosa risorsa per la comprensione del testo sacro.
Questa traduzione si distingue per il suo approccio innovativo, che coniuga rigore filologico e sensibilità letteraria. Il testo greco originale è stato oggetto di un'analisi approfondita, volta a restituire al lettore la ricchezza e la profondità del messaggio evangelico nella sua forma più autentica. Allo stesso tempo, la traduzione è stata curata con una particolare attenzione allo stile e alla chiarezza, per rendere la lettura accessibile e coinvolgente anche per il pubblico odierno.
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COMMENTO
L’odierno brano evangelico ci descrive la predicazione di Gesù sul lago di Genezaret, presso una località che una vecchia tradizione riconosce in Tagha, piccolo porticciolo lacustre della Galilea. In un terreno in gran parte fatto di deserto, l’acqua vuol dire vita e benessere. I pescatori, infatti, venivano, allora, invidiati dai contadini costretti a grattare un terreno povero ed avaro di risorse. E’ l’alba. Le barche che per tutta la notte hanno gettato le reti rientrano illuminate dai primi raggi del sole che sale da oriente. Di solito questo è un momento gioioso, di festa. Si contano i pesci si tratta sul prezzo di vendita del pescato, si ride. Invece il silenzio che accompagna il resettare delle reti, le facce segnate dalla fatica, la delusione del risultato creano un clima dimesso e sconsolato.
A Gesù non sfugge tutto questo. La Parola che egli annuncia non è teorica ma di vita. È un annuncio che risponde ai problemi concreti della vita quotidiana. Chiede ai presenti un atto difficile che va contro ogni buon senso. Sale anche Lui in barca. Prende di petto la situazione. Scuote la rassegnazione generale e ricorda a tutti che “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37).
Ordina di riprendere il largo, di incurvarsi nel remare, di gettare e ritirare le reti. La fatica aumenta in modo esponenziale. Le reti sono stracolme di pesci, riempiono le barche devono accorrere altri pescatori per affrontare la situazione. Simone Pietro coglie al volo che questo è opera di Dio. Jahweh non si è dimenticato dei pescatori Galilei.
Invece di ringraziare Gesù’ lo invita ad allontanarsi da lui peccatore. Il peccatore non può, per nessun motivo, minimamente stare vicino al divino, pena la morte. Viene subito rincuorato.
Non solo Dio non allontana da sé Simone peccatore, ma gli cambia vita e mestiere. D’ora in avanti non pescherà più pesci ma uomini. Viene trasformato da generatore di morte in generatore di vita. Infatti prima tirava fuori dall’acqua i pesci per farli morire. Ne futuro dovrà tirare fuori dall’.acqua uomini per farli vivere. Il predicatore della Parola insegna la vita, non la morte, il senso di colpa e la rassegnazione.
Chi crede nel Cristo Risorto si impegna per la vita piena di fiducia perché ha nel suo cuore la certezza che “a Dio tutto è possibile”.
Nel brano della sinagoga di Nazaret (cf Lc 4,16-30) erano emersi il discorso programmatico di Gesù e la prefigurazione della fine a causa della non accoglienza della sua predicazione. Dal capitolo quinto in poi si riscontrerà come la scena di Nazaret si ripete nella vita di Gesù. Al suo annuncio in parole e opere gli uditori reagiscono opponendo il rifiuto oppure accogliendolo nella fede. La risposta positiva comporta quel cambiamento radicale in cui consiste la sequela. Luca usa, alla fine dell’episodio letto oggi, le due parole qualificanti di essa: «Lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,11).
Vocazione: iniziativa di Dio che chiama in causa la libertà dell’uomo
Il brano di Isaia e il vangelo di questa domenica si possono leggere in parallelo. Essi mettono in luce le dinamiche fondamentali del momento che inizia e fonda la sequela: la vocazione. Sia Isaia sia Simone (sia Giacomo sia Giovanni) sono dei chiamati in vista della missione.
In primo luogo la vocazione è un evento che accade per iniziativa di Dio. Isaia vede il Signore perché il Signore si rivela a lui. Sulle sponde del lago Gesù prende l’iniziativa di salire sulla barca di Simone e per primo instaura il dialogo con lui (cf Lc 5,4).
L’iniziativa di Dio però non toglie spazio alla libertà dell’uomo. Alla fine della visione della prima lettura, alla domanda di Dio Isaia risponde: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8). Ma avrebbe potuto anche non rispondere così. Ugualmente, alla richiesta di prendere il largo e gettare le reti Simone avrebbe potuto opporre un rifiuto, basandosi sulla sua stanchezza (aveva pescato tutta la notte) e sulla sua esperienza (non aveva preso nulla).
La vocazione è un’esperienza che chiama in causa la libertà e la decisione di ciascuno. Simone già conosceva Gesù (cf Lc 4,38-39), ma questo non è ancora «decidersi per Gesù». C’è uno scarto fra il sapere di Gesù e il credere in lui. E lo scarto è superato solo con un balzo, quello della decisione libera.
Vocazione ed esperienza della grazia
Sia per Isaia che per Simone la vocazione si delinea in un contesto (liturgico o di quotidianità) di prossimità col divino. L’esperienza mette entrambi i protagonisti di fronte alla scoperta della loro indegnità. Se la percezione del proprio peccato li porta allo sgomento, a porre una distanza tra loro e il divino che si rivela, dall’altra parte sia il Signore nella prima lettura che Gesù nel vangelo vanno incontro all’indegnità umana, ponendovi rimedio. Le labbra di Isaia vengono purificate. Simone riceve un invito: «Non temere» (Lc 5,10); e una nuova identità: «d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (Lc 5,10).
Questa è l’esperienza della grazia. Quella di cui parla l’apostolo Paolo (cf 1 Cor 15,10). È il riconoscimento dell’iniziativa gratuita di Dio.
L’iniziativa di Dio dice che nella vocazione siamo chiamati da. Ma le vocazioni descritte in queste letture dicono anche che siamo chiamati per. Simone, Isaia e Paolo sono chiamati per la missione.
Vocazione e missione
Esperienza del divino, riconoscimento della propria indegnità, dono della grazia, se sono ricevuti con disponibilità, trasformano il chiamato e lo approntano alla missione per la quale è chiamato. Qui però deve essere chiaro che si sta parlando di vocazione alla sequela, non di vocazioni particolari, che della prima sono solo modalità di realizzazione. L’esperienza della chiamata è, nelle sue linee fondamentali, comune alle vocazioni laicali, alla vita consacrata, al ministero sacerdotale.
Come dice san Paolo, la missione è sostanzialmente inserirsi nel processo di trasmissione di quanto ricevuto. La fede ci è stata annunciata, di questa stessa fede siamo annunciatori. I modi seguiranno le specificità di tempo, luogo, ministero, carattere e carismi di ciascuno. Ma i contenuti sono sempre (e solo!) quelli elencati da Paolo (cf 1 Cor 15,3-4).
Questa è la lieta novella, l’Evangelo. Una missione che ci è affidata, che continua quella di Cristo e della Chiesa apostolica, e che dovrebbe suscitare un grande senso di responsabilità, di entusiasmo e di consapevolezza della sproporzione. Sproporzione fra la fragilità personale e il messaggio di cui si è portatori; fra le forze e il compito; fra gli strumenti di cui si dispone e il mondo cui si è mandati. Perciò vale la pena di tornare alle parole di Gesù: «Non temere!». Parole di esortazione dette a Pietro; dette alla Chiesa di ogni tempo e luogo; dette a noi.
La liturgia di oggi ci presenta tre uomini, il profeta Isaia, Paolo di Tarso e Simon Pietro, che sono stati chiamati da Dio. Nessuno di loro ha potuto scegliere quando ricevere questa chiamata e tutti, nel momento in cui essa è arrivata, si sono sentiti impreparati e indegni a riceverla.
Quello che hanno potuto decidere, però, è cosa rispondere: se superare il senso di vertigine per la sproporzione tra la missione che gli veniva assegnata e le loro forze o se lasciarsi vincere, rimanendo indifferenti.
Eccomi, manda me!
La consapevolezza del proprio peccato è il primo passo per aprirsi alla redenzione. Proprio questo è ciò che accade al profeta Isaia: chiamato da Dio, egli viene mondato dalle sue colpe e diventa un uomo nuovo, capace di assumersi nuove responsabilità.
Dal Salmo 137 (138)
Il salmista non vuole lodare quegli dei che rendono l’uomo schiavo, ma l’unico vero Signore, la cui legge è salvezza e libertà.
SECONDA LETTURA
Tra parentesi [ ] la forma breve.
Così predichiamo e così avete creduto.
Non è per modestia che l’apostolo Paolo definisce la sua condizione precedente alla rivelazione di Cristo come «un aborto». Con questo termine egli intende piuttosto descrivere la situazione in cui si trova l’uomo quando pretende di fare a meno di Dio: quella di un progetto interrotto.
Lasciarono tutto e lo seguirono.
In questo brano del vangelo di Luca, Gesù chiede a Pietro di fidarsi di lui. Nel farlo, non fornisce prove e non ricorre a sottili argomentazioni: Cristo stesso e la sua Parola sono le uniche certezze su cui il pescatore galileo può basarsi per compiere questa scelta, che risulterà decisiva per la sua intera esistenza.
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