1 8 A P R I L E
5ª DOMENICA DI PASQUA
UN AMORE SENZA LIMITIE
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Per il credente, Gesù Cristo è modello e realizzazione perfetta dell’amore: non ha senso parlare dell’uno senza parlare anche dell’altro.Si tratta di un amore che rende dinamica ogni azione di evangelizzazione, come avviene nel caso di Paolo e Barnaba; che rinnova l’intera creazione, come è descritto nel libro dell’Apocalisse; che resiste a ogni tradimento ed è pronto ad affrontare il limite estremo della croce, come testimonia Gesù stesso durante l’ultima cena.
Riferirono alla comunità tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro.
Alla conclusione del primo viaggio missionario, Paolo e Barnaba rientrano ad Antiochia. Per tornare a far visita alle comunità che essi stessi avevano fondato, percorrono però la via più lunga, visitando i fratelli e rimanendo solleciti verso le difficoltà che essi vivono.
Dal Salmo 144 (145)
La misericordia di Dio rigenera la creazione e le offre continuamente una nuova possibilità per lodare il suo creatore.
SECONDA LETTURA
Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi.
Nella Gerusalemme celeste non v’è più alcun tempio. Dio stesso abita in mezzo agli uomini e la sua presenza è fonte inesauribile di un amore efficace, grazie al quale ogni cosa vecchia è rinnovata.
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri.
L’amore che Gesù ha vissuto per gli uomini è l’amore con il quale il Padre ci ha amati. È lo stesso amore che ha raccomandato alla sua Chiesa. È l’amore con il quale testimoniamo la bellezza dell’essere cristiani. Nell’amore reciproco consiste l’evidenza della nostra fede.
Di fronte a Dio non si possono accampare diritti. Frequentare più o meno assiduamente l’assemblea domenicale e riconoscersi sotto l’etichetta «Cristiano» non basta per essere dei suoi.
Anche i Giudei di Antiochia, di cui ci parla la prima lettura, nutrivano infatti aspettative simili e, credendosi già salvi in virtù della loro appartenenza al popolo eletto, rifiutarono gli inviti di Paolo e Barnaba a perseverare nella grazia di Dio (cf At 13,43-45). Per essere riconosciuti dal Padre occorre invece avere fede, amarlo e accettare di essere amati, rinnovandosi ogni giorno a immagine di Cristo.
Ecco, noi ci rivolgiamo ai pagani.
Paolo e Barnaba riconoscono ai Giudei la loro primogenitura e si rivolgono innanzitutto a questi ultimi. Dopo aver ricevuto un rifiuto, essi non insistono, ma nemmeno si rassegnano. Fanno invece una cosa nuova, trasformando un ostacolo posto dagli uomini in un’opportunità concessa da Dio.
Dal Salmo 99 (100)
Il Signore ha un motivo semplice per interessarsi a noi: egli è buono e nella sua infinta bontà si prende cura delle sue creature.
SECONDA LETTURA
L’Agnello sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
Solo lavando le proprie vesti nel sangue dell’Agnello è possibile raggiungere la salvezza. Si tratta di un cammino che passa per tre scelte: affidarsi al suo sacrificio, aver fede che esso non sia stato inutile e imitarlo nella nostra vita.
Alle mie pecore io do la vita eterna.
Gesù si qualifica come buon pastore. La chiave per comprendere il rapporto tra lui e le sue pecore è un’immensa tenerezza, così profonda da resistere perfino di fronte alla morte.
Prepararsi alla settimana santa significa ri-costruire le proprie relazioni in due direzioni.
La prima è quella che va verso Dio, il quale, se ci rivolgiamo a lui coscienti dei nostri peccati e desiderosi di ricevere il suo perdono, non ci rifiuta mai e ri-conferma la sua scelta di considerarci figli. La seconda è quella che va verso il nostro prossimo, salvato, come noi, dalla misericordia del Padre e dunque nostro fratello nel difficile cammino verso il Regno.
Ecco, io faccio una cosa nuova e darò acqua per dissetare il mio popolo.
Il profeta si rivolge a un popolo prostrato dall’esilio in Babilonia. La vera sciagura, tuttavia, non è la condizione di servitù, dalla quale Israele è già stato liberato in passato, ma l’assenza di fiducia nell’opera del Signore.
Dal Salmo 125 (126)
È il Signore a decidere della nostra sorte, anche quando essa sembra già segnata dalle circostanze sfavorevoli, dal giudizio degli uomini o dall’ineluttabilità della morte.
SECONDA LETTURA
A motivo di Cristo, ritengo che tutto sia una perdita, facendomi conforme alla sua morte.
Il credente in Cristo non è più intrappolato nel calcolo dei meriti e dei demeriti stabiliti dalla Legge. Una certezza lo anima: il Signore continua ad amarlo. Il tempo presente, perciò, è da vivere orientati al futuro, nella fede in Cristo risorto e nella speranza di giungere alla piena comunione con lui.
Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei.
Gli scribi e i farisei di cui si parla oggi hanno la tendenza a dare molto per scontato: la salvezza in conseguenza dell’ottemperanza ai precetti della Legge, la dannazione di fronte alla sua violazione e, soprattutto, la differenza tra loro e l’adultera. Gesù, al contrario, non dà nulla per scontato, tantomeno l’importanza di una persona e del suo rapporto intimo con la misericordia di Dio.
La liturgia della quarta domenica di Quaresima ci propone, sia nella prima lettura, sia nella seconda, sia nel vangelo, il tema della riconciliazione col Padre.
Tale riconciliazione è, in un senso importante, innanzitutto un ritorno: alla nostra libertà, dopo la schiavitù del peccato; alla nostra condizione di uomini, creati a immagine e somiglianza di Dio, dopo la distorsione del suo volto operata dal male; alla nostra dignità di figli, dopo l’apparente vittoria della morte.
Il popolo di Dio, entrato nella terra promessa, celebra la Pasqua.
Per gli Israeliti, giunti finalmente nella terra promessa, il ricordo della schiavitù patita presso gli Egiziani non è più un’umiliazione. Dio ha infatti provveduto a fare del grido di dolore del suo popolo un punto di partenza per condurlo fino alla libertà.
Dal Salmo 33(34)
Tutti siamo poveri di fronte a Dio. Tutti abbiamo dunque motivo di ascoltare la sua Parola e di rallegrarci per la sua misericordia.
SECONDA LETTURA
Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo.
Dopo la croce e risurrezione di Cristo, il punto non sono più i nostri peccati, che possono essere vinti dalla misericordia di Dio, ma la nostra volontà di aprirci o meno a tale misericordia.
Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita.
Dio non è «particolarmente paziente» secondo i nostri canoni, è semplicemente a un altro livello. In questo brano del vangelo di Luca, sia il figlio minore, sia il figlio maggiore continuano a ragionare in termini di meriti e di demeriti; il padre, invece, mette in gioco un nuovo elemento che sconvolge l’intera storia: un amore infinito.
Il miglior modo per non convertirsi è credere di essere «già a posto così». Gli interlocutori di Gesù, nel brano di vangelo di questa domenica, sono sicuri di conoscere già la verità sugli eventi di cronaca cui assistono: qualcuno di colpevole è stato punito. Anche gli Egiziani, nella prima lettura, sono sicuri di poter esercitare indisturbati il loro dominio sugli Israeliti.
Il Signore però non si dimentica degli oppressi e conosce le loro sofferenze (Es 3,7). Per questo, usando le parole di san Paolo: «chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere» (1 Cor 10,12).
Io-Sono mi ha mandato a voi.
Il Signore si rivela a Mosè come il Dio che ha pervaso la sua storia ancor prima che egli nascesse. Il bambino «salvato dalle acque» scopre così che la sua esistenza non è stata dominata dal caso, ma è parte integrante di un progetto di salvezza che coinvolge tutto il suo popolo.
Dal Salmo 102 (103)
Il Signore è un Dio misericordioso. Egli non si rifiuta all’uomo, ma desidera farsi conoscere e interviene a suo favore.
SECONDA LETTURA
La vita del popolo con Mosè nel deserto è stata scritta per nostro ammonimento.
Essere beneficiari dell’amore di Dio non basta per essere salvi. Tutti noi, in quanto figli, siamo infatti amati dal Padre. In quanto liberi e responsabili, però, siamo anche chiamati a una scelta: rispondere positivamente alla sua proposta di collaborazione o sprecare il nostro tempo a lamentarci.
Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
Di fronte alla proposta di discussione dei suoi contemporanei, Gesù sembra non cogliere il punto e preoccuparsi di un generico futuro. In realtà però, sono i suoi interlocutori a non curarsi dell’oggi, perdendosi in fatti di cronaca e non interrogandosi sul senso profondo del tempo che stanno vivendo.
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