17 SETTEMBRE
XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
«… SE NON PERDONERETE DI CUORE»
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COMMENTO
Come sempre Pietro si fa portavoce degli altri apostoli, Matteo lo considera anche portavoce della sua comunità che si interrogava sul perdono. Anche noi facciamo nostra la domanda, perché il comando del perdono dei fratelli ci tocca nel profondo e ci crea non poche difficoltà.
Pietro nella sua domanda-proposta, dicendo «sette volte», ritiene di esagerare, dal momento che nella teologia ebraica Dio perdona lo stesso peccato tre volte e il giudeo osservante è tenuto a imitarlo, alla quarta offesa poteva rivolgersi alla legge. Gesù corregge questa immagine di Dio, e rivela che egli perdona sempre. Per questo impegna i suoi discepoli a sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda.
Nella legge ebraica, al tempo di Gesù, non era consentito vendere i familiari del debitore né torturare. Perciò il re di cui parla il Signore è un pagano, che qui assume il ruolo di immagine del Padre di Gesù e nostro: è eccessivamente misericordioso, ma lo fa perché lui è buono e perché spera così di offrire un esempio e una motivazione forte, affinché i suoi figli imparino da lui a perdonare tutto e sempre.
L’attenzione poi si sposta proprio sul servo: dopo aver sperimentato l’infinita misericordia del re, solo per averlo supplicato, e uscito libero dalla sua condizione di debitore insolvente, non sente il bisogno della riconoscenza né verso il re né verso Dio, anzi non perde tempo a togliere il respiro e a far gettare in prigione chi gli doveva una somma irrisoria rispetto al condono ricevuto. La sproporzione tra diecimila talenti e cento denari è un pallido esempio della diversità che c’è tra il dono che riceviamo da Dio e quello che possiamo e dobbiamo fare ai fratelli.
Il suo comportamento scandaloso indigna gli altri e lo trascina di nuovo di fronte al re e alle sue responsabilità. Questa volta non ha neanche il coraggio di ripetere la preghiera, dimostrando così che il dono ricevuto non gli ha cambiato il cuore verso il Signore e verso i fratelli.
E qui conviene fare una distinzione tra il re pagano della parabola e Dio Padre. Non è Dio che non perdona più, è il cuore dell’uomo che è incapace di accogliere il dono della salvezza. Così le parole «… finché non avesse restituito tutto il dovuto», possono indicare che il Signore aspetta e spera sempre che il «servo malvagio» converta il proprio cuore e la propria vita.
La conclusione di Gesù è un capolavoro di arte pedagogica: dopo averci portato a condividere l’indignazione dei «compagni», repentinamente ci costringe a guardarci dentro e a chiederci se anche noi siamo stati «servi malvagi». Non ci sono sconti, c’è solo una strada per la salvezza di ciascuno di noi e delle comunità: imitare la misericordia di Dio.
SPUNTI PER L’ATTUALIZZAZIONE E LA PREGHIERA
PROPOSTA DI IMPEGNO DELLA SETTIMANA
Chiedere perdono a un fratello che abbiamo offeso, oppure offrire a Dio il perdono dato a chi ci ha fatto un torto.
Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati.
La reazione a un’offesa o a una violenza è un fatto istintivo, ma non risolve i contrasti, anzi li acuisce. La Bibbia, già nel Primo Testamento, educa il popolo di Israele prima a misurare le reazioni, poi a non vendicarsi, infine a essere misericordiosi, per ottenere la misericordia di Dio.
Dal Salmo 102 (103)
Il salmista eleva questo inno di lode alla misericordia del Signore. Egli si fa voce di tutto il popolo per lodare Dio che perdona e lui per primo lo ringrazia perché ha sperimentato l’amore misericordioso di Dio.
Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore.
Nelle comunità ci possono essere diversi modi di intendere la vita alla sequela di Gesù. Così era a Roma, così è in molti luoghi anche oggi. San Paolo offre un principio a cui tutti debbono attenersi: fare tutto per il Signore e non per se stessi. Se si vive così, le diversità non porteranno a divisioni, ma arricchiranno la comunità.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Rm 14,7-9
Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Il capitolo sulla vita comunitaria si chiude con l’insegnamento sul perdono. C’è un abisso tra i debiti che l’uomo ha con Dio e i debiti tra i fratelli. Dio condona tutto, così insegna (e dà l’esempio) che anche noi dobbiamo perdonare sempre, senza calcoli.
Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati.
La reazione a un’offesa o a una violenza è un fatto istintivo, ma non risolve i contrasti, anzi li acuisce. La Bibbia, già nel Primo Testamento, educa il popolo di Israele prima a misurare le reazioni, poi a non vendicarsi, infine a essere misericordiosi, per ottenere la misericordia di Dio.
Dal libro del Siracide Sir 27,33−28,9 (NV) [gr. 27,30−28,7]
Rancore e ira sono cose orribili, e il peccatore le porta dentro.
Chi si vendica subirà la vendetta del Signore, il quale tiene sempre presenti i suoi peccati. Perdona l’offesa al tuo prossimo
e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore?
Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile, come può supplicare per i propri peccati?
Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore, come può ottenere il perdono di Dio?
Chi espierà per i suoi peccati? Ricòrdati della fine e smetti di odiare, della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti.
Ricorda i precetti e non odiare il prossimo, l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui.
Parola di Dio.
Dal Salmo 102 (103)
Il salmista eleva questo inno di lode alla misericordia del Signore. Egli si fa voce di tutto il popolo per lodare Dio che perdona e lui per primo lo ringrazia perché ha sperimentato l’amore misericordioso di Dio.
Il Signore è buono e grande nell’amore.
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia.
Non è in lite per sempre,
non rimane adirato in eterno.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe.
Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia
è potente su quelli che lo temono;
quanto dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe.
Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore.
Nelle comunità ci possono essere diversi modi di intendere la vita alla sequela di Gesù. Così era a Roma, così è in molti luoghi anche oggi. San Paolo offre un principio a cui tutti debbono attenersi: fare tutto per il Signore e non per se stessi. Se si vive così, le diversità non porteranno a divisioni, ma arricchiranno la comunità.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Rm 14,7-9
Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.
Parola di Dio.
Gv 13,34
Alleluia, alleluia.
Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore:
come io ho amato voi,
così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Alleluia.
Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Il capitolo sulla vita comunitaria si chiude con l’insegnamento sul perdono. C’è un abisso tra i debiti che l’uomo ha con Dio e i debiti tra i fratelli. Dio condona tutto, così insegna (e dà l’esempio) che anche noi dobbiamo perdonare sempre, senza calcoli.
Dal vangelo secondo Matteo Mt 18,21-35
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse:
«Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
Parola del Signore.
PERDONO
PREGHIERA UNIVERSALE
Coscienti di essere stati liberati dal nostro debito, rivolgiamoci al Signore Gesù, implorando la sua misericordia per tutti gli uomini, nostri fratelli.
Diciamo insieme: Gesù, ricordati del tuo amore!
Signore Gesù, donaci di saper perdonare senza misura, come testimonianza del tuo perdono accolto e condiviso. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.
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Laudato sii
Ancilla Domini
Un anno straordinario
Sorrisi divini
I Love Francesco
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COMMENTO
Ci troviamo di fronte alla conclusione del discorso sul pane di vita, nel capitolo sesto del vangelo di Giovanni. Gesù aveva moltiplicato i pani, aveva fatto raccogliere dodici canestri di pezzi «avanzati», si era sottratto alla folla che lo voleva fare re, ha parlato alla folla di un altro pane, quello che dà la vita eterna.
Per tutta la prima parte del discorso Gesù si è collegato all’esperienza dell’Esodo. Gli Ebrei erano stati nutriti da Dio con la manna, pane che veniva dal «cielo» per la potenza di Dio e nutriva per un giorno. I rabbini nei loro commenti avevano collegato la manna alla parola di Dio che consideravano il vero nutrimento che il Signore ha offerto al popolo attraverso Mosè, lungo tutto l’Esodo.
Gesù si collega a questi insegnamenti, ben conosciuti, per affermare che lui offre un pane che veramente proviene dal cielo e che dà la vita eterna e che lui pronuncia una parola che viene da Dio e comunica la vita eterna. La rivelazione centrale è questa: lui stesso è «fisicamente» la Parola di Dio e il Pane di vita eterna.
Il suo corpo poi sarà davvero spezzato e il suo sangue sarà davvero versato sulla croce, per comunicare la vita eterna a tutti e renderli figli di Dio.
Il discorso si fa inaccettabile per gli Ebrei quando Gesù parla di «masticare» il suo corpo e di «bere» il suo sangue. Noi per comprendere l’intenzione dell’evangelista nel concludere il discorso di Gesù a Cafarnao dobbiamo distinguere gli Ebrei e i discepoli, quelli che dopo questo discorso se ne andranno, dai cristiani che leggono questo vangelo.
Gesù chiede agli Ebrei e ai discepoli di fidarsi della sua parola, perché hanno visto i segni già compiuti da lui e perché conoscono già dall’Esodo la potenza di Dio, che visibilmente è con lui. Giovanni non registra la reazione degli Ebrei alla conclusione del discorso, ma quella dei discepoli sì, e molti se ne vanno, invece Pietro e gli altri si fidano e rimangono.
Quanto ai cristiani lettori, dopo la prima parte del discorso essi si chiedono: dove troviamo noi il pane da mangiare e il sangue da bere per avere la vita eterna? La risposta dell’evangelista non è diretta ma facilmente comprensibile: si trovano nella celebrazione dell’Eucaristia. Evidentemente anche al tempo di Giovanni qualcuno faceva fatica a credere che il pane e il vino fossero, in virtù della parola del Signore, realmente il suo corpo e il suo sangue.
SPUNTI PER L’ATTUALIZZAZIONE E LA PREGHIERA
PROPOSTA DI IMPEGNO DELLA SETTIMANA
Verifichiamo il nostro modo di partecipare all’Eucaristia.
PRIMA LETTURA
Ti ha nutrito di un cibo, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto.
Il Deuteronomio, attraverso i tanti discorsi attribuiti a Mosè, rilegge l’esperienza dell’Esodo per esortare Israele a ricordare quanto e come il Signore si è preso cura di lui nel deserto, dissetandolo e nutrendolo fisicamente, ma soprattutto spiritualmente con la sua parola. Gesù citerà questo brano rispondendo a Satana nel deserto.
Dal libro del Deuteronomio Dt 8,2-3.14b-16a
Mosè parlò al popolo dicendo: «Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi.
Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».
Parola di Dio.
SALMO RESPONSORIALE Dal Salmo 147
Il salmista invita il popolo a lodare Dio perché non fa mancare la sua protezione e la sua cura. Anche noi possiamo lodarlo per gli stessi motivi
Loda il Signore, Gerusalemme.
Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.
Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.
Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.
SECONDA LETTURA
Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo.
Nella comunità di Corinto anche la celebrazione della Cena del Signore era diventata causa di divisione. Paolo interviene con forza, ricordando ai Corinzi che il pane e il vino, corpo e sangue di Cristo, realizzano la comunione vera e piena con il Signore e fanno dei credenti un solo corpo che ha per capo il Cristo.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 1 Cor 10,16-17
Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.
Parola di Dio.
SEQUENZA
La sequenza è facoltativa e si può cantare o recitare anche nella forma breve, a cominciare dalla strofa: «Ecco il pane degli angeli».
[Sion, loda il Salvatore,
la tua guida, il tuo pastore con inni e cantici.
Impegna tutto il tuo fervore: egli supera ogni lode, non vi è canto che sia degno.
Pane vivo, che dà vita: questo è tema del tuo canto, oggetto della lode.
Veramente fu donato agli apostoli riuniti
in fraterna e sacra cena. Lode piena e risonante,
gioia nobile e serena
sgorghi oggi dallo spirito. Questa è la festa solenne
nella quale celebriamo
la prima sacra cena.
È il banchetto del nuovo Re, nuova Pasqua, nuova legge;
e l’antico è giunto a termine. Cede al nuovo il rito antico,
la realtà disperde l’ombra:
luce, non più tenebra.
Cristo lascia in sua memoria ciò che ha fatto nella cena: noi lo rinnoviamo.
Obbedienti al suo comando, consacriamo il pane e il vino, ostia di salvezza.
È certezza a noi cristiani:
si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino.
Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma,
oltre la natura.
È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi.
Mangi carne, bevi sangue; ma rimane Cristo intero in ciascuna specie.
Chi ne mangia non lo spezza,
né separa, né divide:
intatto lo riceve.
Siano uno, siano mille, ugualmente lo ricevono: mai è consumato.
Vanno i buoni, vanno gli empi;
ma diversa ne è la sorte:
vita o morte provoca. Vita ai buoni,
morte agli empi:
nella stessa comunione ben diverso è l’esito!
Quando spezzi il sacramento non temere, ma ricorda: Cristo è tanto in ogni parte, quanto nell’intero.
È diviso solo il segno non si tocca la sostanza; nulla è diminuito
della sua persona.]
Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini,
vero pane dei figli:
non dev’essere gettato. Con i simboli è annunziato,
in Isacco dato a morte,
nell’agnello della Pasqua, nella manna data ai padri.
Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi:
nutrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo
nella gioia dei tuoi santi.
CANTO AL VANGELO Gv 6,51
Alleluia, alleluia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, dice il Signore,
se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.
Alleluia.
VANGELO
La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Questo brano è la parte finale del discorso di Gesù sul pane di vita. L’evangelista sottolinea che la salvezza che viene da Dio arriva a chi crede solo attraverso la comunione fisico-spirituale con Cristo. Questo scandalizza i Giudei, ma è il dono che i cristiani ricevono. Così già in questo tempo tra Cristo e il cristiano si realizza la reciproca inabitazione. Questa è già la vita eterna.
Dal vangelo secondo Giovanni Gv 6,51-58
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Parola del Signore.
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