22 GIUGNO 2025
SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO
L’EUCARISTIA: DONO E RESPONSABILITÀ
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COMMENTO
Troppe volte nel passato, parlando del mistero eucaristico, ne abbiamo falsato il vero motivo per cui Gesù si è fatto corpo e sangue, sotto le specie del pane e del vino, alimenti essenziali per la vita delle persone di quei tempi.
Ne abbiamo enfatizzato la sacralità ed il mistero. L’abbiamo rinchiusa in tabernacoli dorati davanti cui ci siamo inginocchiati e prostrati in meditazioni e adorazioni.
Gesù si è fatto tutto a tutti senza emarginare nessuno, mentre noi il pane eucaristico l’abbiamo riservato ai “santi”, ai puri” ed agli onesti escludendo le folle dei miseri e dei “peccatori’. Ci siamo dimenticati che l’Eucarestia ha la stessa funzione delle medicine quando noi soffriamo a causa delle malattie. Quando siamo impauriti, delusi, arrabbiati, peccatori abbiamo l’estremo bisogno di alimentarci di Gesù.
Il brano di Luca, scelto per farci riflettere sulla Solennità che celebriamo è chiaro su questo punto. Gli apostoli sono affaticati ed esausti perché sono di ritorno dalla loro prima missione di annunciare il Regno di Dio a tutti, come Gesù aveva loro chiesto: «….e lì mandò ad annunziare il Regno di Dio e a guarire gli infermi» (Lc 9, 2). Sono stati in gamba nel farlo. Le numerose persone che li hanno ascoltati li accompagnano nel loro ritornare da Gesù’. Comincia ad imbrunire e la stanchezza si fa sentire. Vorrebbero solo riposare, mangiare e andarsene a nanna in santa pace. Il Signore non è d’accordo. Loro vorrebbero congedare la folla, invece vengono investiti da una richiesta che li spiazza: «Dategli voi stessi da mangiare» (Lc 9,13).
Come possono con soli cinque pani e due pesci sfamare tutti i presenti che sono numerosi? Il numero cinque mila, infatti, nei Vangeli sta ad indicare tutti i presenti, nessuno escluso.
È interessante notare che mentre gli apostoli vorrebbero chiudere la giornata, la folla non ha nessuna intenzione di separarsi dal Maestro. I “missionari” appagati dal successo della loro predicazione vorrebbero stare in pace. La povera gente no. E qui Gesù ci insegna che cosa vuol dire essere pane e vino. Invita tutti non solo a mangiare ma a sedersi. Questo è un gesto molto importante. Solo i signori mangiavano da seduti, mentre gli inservienti dovevano per forza stare in piedi. È la folla fatta di poveracci che al pranzo eucaristico occupa il posto d’onore. I predicatori del Regno di Dio no. Questo perché chi appartiene al Regno ne segue le regole. Non comanda, ma serve: non accumula avidamente, ma condivide; non ruba, ma dà : non specula sui sentimenti, ma è corretto e leale nell’amare; non odia, ma perdona. Per vivere queste condizioni ci vuole coraggio, volontà ed intelligenza che richiedono una forza spirituale che sgorga solo dall’Eucarestia.
Accostarsi alla comunione vuol dire impegnarsi a metabolizzare il pane ed il vino facendoli nostri, non per essere posseduti, ma vissuti concretamente non in modo intimistico ma nella carità operativa, trasparente ed aperta a tutti.
Siamo in grado di tentare di trasformare le nostre comunioni in testimonianza di vita cristiana?
MEDITAZIONE
Il pane è un elemento immediatamente collegato alla fame, al mangiare, all’essenziale per la sopravvivenza. Un simbolo di tale importanza antropologica è nella Bibbia in molte occasioni ripreso e rielaborato.
L’umanismo di Gesù
Il brano di vangelo della moltiplicazione dei pani viene dopo il ritorno dalla missione dei dodici discepoli. Gesù intende concedere loro un tempo e uno spazio di riposo. Tuttavia la folla li trova e, di fronte a tanta appassionata ricerca, Gesù non si sottrae: accoglie la folla. L’accoglienza si mostra nelle due azioni successive (cf Lc 9,11) che si richiamano reciprocamente. L’annuncio del Regno è confermato dalla guarigione; la guarigione è segno del dono del Regno. Gesù accoglie la folla consapevole delle sue necessità. Risponde a queste con duplice misericordia: l’annuncio del Regno e le guarigioni.
In questo contesto si può cogliere il senso del miracolo della moltiplicazione dei pani. Vi è una sollecitudine di Gesù per l’umano nella sua interezza. La fame è il bisogno cui risponde Gesù. Fame di salvezza, di cibo, di Parola. In risposta a queste tre forme della fame il simbolo del pane.
Il dono dell’Eucaristia
Alla preoccupata e realistica richiesta dei discepoli Gesù risponde con un’esortazione provocatoria e sfidante: «voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,13). La risposta dei discepoli, generosa per la disponibilità ad andare a fare la spesa, non fa altro che mettere in risalto l’inadeguatezza di quanto vi è a disposizione.
Gesù, però, prende quel poco umano e lo rende abbondante per le persone presenti, nonostante il loro numero. Luca descrive con cinque verbi le azioni di Gesù: «prese; alzò; recitò; spezzò; dava» (cf Lc 9,16). Sono quattro passati remoti e un imperfetto. Il passaggio dall’uno all’altro tempo verbale segnala che l’azione del dare continua nel tempo.
In parallelo si può leggere la formula di consacrazione che scrive Paolo: «questo è il mio corpo, che è per voi» (1 Cor 11,24). Il dono del suo corpo, offerto nel pane eucaristico che rinnova il sacrificio della croce, è dato «per voi», indicando con ciò, da parte di Gesù, la ricerca di una relazione intima e personale, che non si limita ai dodici, ma si estende a tutta la Chiesa che celebra il memoriale del sacrificio di Cristo.
Anche la conclusione del vangelo, che insiste sull’abbondanza del dono, tanto che ne avanza, e sulla sazietà dei commensali, indica che quanto elargito da Gesù è superiore allo stesso desiderio e in ciò si può vedere la grazia del pane eucaristico spezzato nelle comunità che apporta copioso il dono della grazia.
La responsabilità della comunità cristiana
Gesù stesso dona il cibo alla folla. È lui la fonte del dono. Tuttavia egli chiede e suscita la collaborazione dei discepoli. Essi devono mettere a disposizione quello che hanno. In seguito essi prendono dalle mani di Gesù quanto distribuiscono. L’Eucaristia è dono per la Chiesa. Tuttavia, l’Eucaristia è anche responsabilità: la Chiesa celebra degnamente l’Eucaristia se essa non è solo un rito, ma una celebrazione che significa e impronta la sua vita.
Il contesto della lettera ai Corinzi in cui Paolo scrive le parole della consacrazione eucaristica è fortemente polemico. L’apostolo prende posizione, con la sua autorità, nei confronti di una serie di divisioni che rompevano l’armonia nella comunità di Corinto. Fra queste, quella che era segno della disparità sociale ed economica nella comunità cristiana, per la quale alcuni giungevano alla cena eucaristica sazi e altri affamati. Questo, secondo Paolo, contraddice il valore della celebrazione stessa.
Qui forse bisognerebbe fare delle applicazioni all’oggi, alle comunità che oggi celebrano l’Eucaristia. Bisognerebbe interrogarsi sulla coerenza fra il segno che si pone e la vita che si conduce. Bisognerebbe interrogarsi in ambito personale, sociale, politico, economico ed ecclesiale, perché ciascuno «esamini se stesso e poi mangi del pane e beva del calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (1 Cor 11,28-29). Queste applicazioni ognuno le deve fare per sé, come dice Paolo. È un confronto necessario per creare continuità fra la fede celebrata e la fede vissuta, perché l’Eucaristia è dono e responsabilità.
Per il povero il pane è ciò che placa la fame. La liturgia di oggi ci ricorda quanto questo significato della parola «pane» non sia per nulla estraneo alla figura di Gesù e quanto poco ci sia di metaforico nel definirlo «pane del cielo».
La fede in Cristo non è qualcosa di estraneo ai nostri bisogni primari, è connaturato a essi, poiché risponde al bisogno di speranza, senza la quale il pane fisico non è abbastanza. È Gesù stesso che si offre per placare la nostra fame e per indicarci la strada da seguire una volta liberi. Siamo infatti chiamati a placare a nostra volta la fame, di pane e di speranza, dei nostri fratelli.
Offrì pane e vino.
Melchisedek, prima ancora che venisse istituito il sacerdozio di Aronne e dei suoi successori, benedice Abramo per conto di Dio. Allo stesso modo i discendenti di Abramo saranno benedetti dalla venuta del Messia.
Dal Salmo 109(110)
Il Signore stesso ha designato il suo sacerdote: Gesù Cristo. È lui il giuramento di cui Dio non si pente.
SECONDA LETTURA
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore.
La Nuova Alleanza è fondata sul corpo e sul sangue di Cristo. Il suo sacrificio non è un evento isolato, ma un fatto che vale per sempre e la cui risonanza nella storia dipende anche da noi: dalle nostre parole e dalle nostre azioni.
Tutti mangiarono a sazietà.
In questo brano del vangelo di Luca, Gesù parte dalla miseria umana e la trasforma in abbondanza. Questo passaggio ha due condizioni: l’uomo mette a disposizione quel che ha, per quanto piccolo; Dio s’impoverisce fino ad accogliere la fragilità umana in Cristo, autentico pane di vita.
Offrì pane e vino.
Melchisedek, prima ancora che venisse istituito il sacerdozio di Aronne e dei suoi successori, benedice Abramo per conto di Dio. Allo stesso modo i discendenti di Abramo saranno benedetti dalla venuta del Messia.
Dal libro della Genesi Gn 14,18-20
In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole:
«Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra,
e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici».
E [Abramo] diede a lui la decima di tutto.
Parola di Dio.
Dal Salmo 109(110)
Il Signore stesso ha designato il suo sacerdote: Gesù Cristo. È lui il giuramento di cui Dio non si pente.
Rit. Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.
Oracolo del Signore al mio signore:
«Siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi». R.
Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
domina in mezzo ai tuoi nemici! R.
A te il principato
nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell’aurora,
come rugiada, io ti ho generato. R.
Il Signore ha giurato e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre
al modo di Melchìsedek». R.
SECONDA LETTURA
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore.
La Nuova Alleanza è fondata sul corpo e sul sangue di Cristo. Il suo sacrificio non è un evento isolato, ma un fatto che vale per sempre e la cui risonanza nella storia dipende anche da noi: dalle nostre parole e dalle nostre azioni.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 1Cor 11,23-26
Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.
Parola di Dio.
EQUENZA
La sequenza è facoltativa e si può cantare o recitare anche nella forma breve, a cominciare dalla strofa: Ecce panis.
Se la sequenza viene omessa, segue il CANTO AL VANGELO.
[Lauda Sion Salvatórem, lauda ducem et pastórem, in hymnis et cánticis. |
[Sion, loda il Salvatore, la tua guida, il tuo pastore con inni e cantici. |
Quantum potes, tantum aude: quia maior omni laude, nec laudáre súfficis. |
Impegna tutto il tuo fervore: egli supera ogni lode, non vi è canto che sia degno. |
Laudis thema speciális, panis vivus et vitális hódie propónitur. |
Pane vivo, che dà vita: questo è tema del tuo canto, oggetto della lode. |
Quem in sacrae mensa cenae, turbae fratrum duodénae datum non ambígitur. |
Veramente fu donato agli apostoli riuniti in fraterna e sacra cena. |
Sit laus plena, sit sonóra, sit iucúnda, sit decóra mentis iubilátio. |
Lode piena e risonante, gioia nobile e serena sgorghi oggi dallo spirito. |
Dies enim sollémnis ágitur, in qua mensae prima recólitur huius institútio. |
Questa è la festa solenne nella quale celebriamo la prima sacra cena. |
In hac mensa novi Regis, novum Pascha novae legis, Phase vetus términat. |
È il banchetto del nuovo Re, nuova Pasqua, nuova legge; e l’antico è giunto a termine. |
Vetustátem nóvitas, umbram fugat véritas, noctem lux elíminat. |
Cede al nuovo il rito antico, la realtà disperde l’ombra: luce, non più tenebra. |
Quod in cena Christus gessit, faciéndum hoc expréssit in sui memóriam. |
Cristo lascia in sua memoria ciò che ha fatto nella cena: noi lo rinnoviamo. |
Docti sacris institútis, panem, vinum in salútis consecrámus hóstiam. |
Obbedienti al suo comando, consacriamo il pane e il vino, ostia di salvezza. |
Dogma datur christiánis, quod in carnem transit panis et vinum in sánguinem. |
È certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino. |
Quod non capis, quod non vides, animósa firmat fides, praeter rerum órdinem. |
Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura. |
Sub divérsis speciébus, signis tantum, et non rebus, latent res exímiae. |
È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi. |
Caro cibus, sanguis potus: manet tamen Christus totus sub utráque spécie. |
Mangi carne, bevi sangue; ma rimane Cristo intero in ciascuna specie. |
A suménte non concísus, non confráctus, non divísus, ínteger accípitur. |
Chi ne mangia non lo spezza, né separa, né divide: intatto lo riceve. |
Sumit unus, sumunt mille: quantum isti, tantum ille: nec sumptus consúmitur. |
Siano uno, siano mille, ugualmente lo ricevono: mai è consumato. |
Sumunt boni, sumunt mali: sorte tamen inaequáli, vitae vel intéritus. |
Vanno i buoni, vanno gli empi; ma diversa ne è la sorte: vita o morte provoca. |
Mors est malis, vita bonis: vide paris sumptiónis quam sit dispar éxitus. |
Vita ai buoni, morte agli empi: nella stessa comunione ben diverso è l’esito! |
Fracto demum sacraménto, ne vacílles, sed meménto, tantum esse sub fragménto, quantum toto tégitur. |
Quando spezzi il sacramento non temere, ma ricorda: Cristo è tanto in ogni parte, quanto nell’intero. |
Nulla rei fit scissúra, signi tantum fit fractúra, qua nec status, nec statúra signáti minúitur]. |
È diviso solo il segno non si tocca la sostanza; nulla è diminuito della sua persona]. |
Ecce panis angelórum, factus cibus viatórum: vere panis filiórum, non mitténdus cánibus. |
Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli: non dev’essere gettato. |
In figúris praesignátur, cum Isaac immolátur: agnus Paschae deputátur, datur manna pátribus. |
Con i simboli è annunziato, in Isacco dato a morte, nell’agnello della Pasqua, nella manna data ai padri. |
Bone pastor, panis vere, Iesu, nostri miserére: tu nos pasce, nos tuére: tu nos bona fac vidére in terra vivéntium. |
Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi: nùtrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi. |
Tu qui cuncta scis et vales, qui nos pascis hic mortáles: tuos ibi commensáles, coherédes et sodáles fac sanctórum cívium. |
Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei tuoi santi. |
Gv 6,51
Alleluia, alleluia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, dice il Signore,
se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.
.Alleluia.
Tutti mangiarono a sazietà.
In questo brano del vangelo di Luca, Gesù parte dalla miseria umana e la trasforma in abbondanza. Questo passaggio ha due condizioni: l’uomo mette a disposizione quel che ha, per quanto piccolo; Dio s’impoverisce fino ad accogliere la fragilità umana in Cristo, autentico pane di vita.
Dal Vangelo secondo Luca Lc 9,11b-17
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
Parola del Signore.
SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO
L’EUCARISTIA: DONO E RESPONSABILITÀ
Gesù si è fatto pane e vino per noi, perché potessimo essere liberi dalla schiavitù del peccato. Preghiamo insieme e diciamo:
Signore, fa’ che ci nutriamo della tua misericordia.
• Perché, quando ci sembra di essere troppo poco per testimoniare il tuo Vangelo, sappiamo aver fiducia nella potenza del tuo Spirito. Preghiamo.
• Perché la nostra fede in te coinvolga ogni aspetto della nostra esistenza, anche le scelte economiche e sociali. Preghiamo.
• Perché la tua capacità di amarci fino alla fine ci faccia affrontare le fatiche e le difficoltà di ogni giorno con una serenità di cui nessuno potrà più privarci. Preghiamo.
• Perché la tua Chiesa sappia accogliere la miseria umana e, attraverso la tua Parola, sappia trasformarla in abbondanza. Preghiamo.
O Padre, ci hai redenti col corpo e il sangue del tuo unico Figlio. Fa’ che, con il tuo aiuto, non ci limitiamo ad ammirare questo mistero, ma desideriamo viverlo ed esserne partecipi.
Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore.
SANTISSIMO CORPO E
SANGUE DI CRISTO
L’EUCARISTIA: DONO
E RESPONSABILITÀ
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Laudato sii
Ancilla Domini
Un anno straordinario
Sorrisi divini
I Love Francesco
COMMENTO
Il capitolo 16 di Giovanni, da cui sono presi i versetti proposti alla nostra meditazione in occasione della solennità delle Trinità , è uno dei più belli, difficili e drammatici tra tutti i quattro Vangeli. Gesù percepisce vicina la sua morte. Si rende conto della paura , della delusione e dei dubbi che agitano gli apostoli. Decide di parlare chiaro: «Queste cose vi dico, perché non troviate inciampo. Vi escluderanno dalle sinagoghe. Anzi, viene l’ora in cui vi uccideranno pensando di piacere a Dio» (Gv 16, 1-2). Parole agghiaccianti per gli apostoli che conoscevano bene il libro del Deuteronomio in cui è testualmente prescritto: «Qualora il tuo fratello, figlio di tuo padre o figlio di tua madre, o il figlio o la figlia o la moglie che riposa sul tuo petto o l’amico che è come te stesso t’istighi in segreto, dicendo: “Andiamo, serviamo altri dei”, dei che né tu né i tuoi padri avete conosciuto…, non ascoltarlo…, non risparmiarlo…. Tu devi ucciderlo…. Lapidalo e muoia, perché ha cercato di trascinarti lontano da Yahvè’ , tuo Dio» (Dt 13,7-11).
Gli apostoli erano informati che i capi del popolo, dopo la guarigione del cieco nato, avevano stabilito che «chiunque avesse riconosciuto Gesù come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga» (Gv 9,22). Chi veniva allontanato dalla sinagoga era trattato come un appestato . Con gli espulsi non si poteva né mangiare né bere e bisognava tenere una distanza di sicurezza di almeno quattro cubiti (due metri). Erano dei condannati alla morte civile.
In questo marasma psicologico si innestano le parole evangeliche di oggi : «Molte cose ho ancora da dirvi, ma ora non potete sostenerle . Ma quando verrà lui, lo spirito della verità’, lui vi guiderà’ alla verità’ tutta intera… Lui mi darà gloria, prenderà infatti del mio, e ve lo annuncerà » (Gv 16, 12.-14).
La Trinità è la sinergia del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, per farci capire che la verità portata i da Gesù ha nulla a che fare con le verità partorite dalle svariate ideologie umane. Essa di può sintetizzare, quasi fosse uno slogan moderno, nel: «Se mi amate, osserverete i miei comandi. E io pregherò il Padre e vi darà un altro Paraclito a confortarvi, perché resti per sempre insieme a voi». (Gv 14, 15-16).
Quali sono le manifestazioni concrete nel vivere la nostra fede e nell’!orientare la nostra condotta che derivano dalla nostra certezza di avere sempre il Consolatore al nostro fianco? L’amore che caratterizza la Trinità divina è lo stesso che impregna le nostre relazioni?
Il nostro vivere la fede è simile a quello dei discepoli prima o dopo la venuta dello Spirito Santo?
MEDITAZIONE
Di fronte al mistero della Trinità, la parola si trova in condizione d’indigenza, perché non riesce a dire l’indicibile. Tuttavia non si può rinunciare ad addentrarci un poco, seppure con umiltà e rispetto, nell’ineffabile.
Difficilmente, quando parliamo di Dio con il linguaggio abituale, lo facciamo in termini trinitari. Normalmente ne scomponiamo le persone parlando, volta per volta, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Eppure la rivelazione che Gesù ha fatto di Dio, è la rivelazione delle relazioni fra le tre persone della Trinità. Pertanto una via che si può percorrere per approssimare l’ineffabile è quella della relazionalità.
L’opera dello Spirito
Come dice l’orazione di colletta (la prima) di questa liturgia, il Padre è la fonte della rivelazione. Essa avviene per opera del Figlio e dello Spirito. Il contenuto di tale rivelazione è il mistero della vita divina e la fede è in un Dio uno nella trinità delle persone, in relazione fra loro, che ovviamente vuol dire nell’amore reciproco. Questa è la vita divina.
Il vangelo pare aprire la porta a un dubbio: Gesù ha rivelato tutto? La sua rivelazione è incompleta? Sembra quasi che, a causa della debolezza dei discepoli, ci sia qualcosa di non detto (cf Gv 16,12). È lo stesso Giovanni che ci mette sulla via della corretta interpretazione di questo passo. Non manca qualcosa al tutto della rivelazione, manca la capacità di comprenderla del tutto (cf Gv 16,12.13).
Ciò sarà possibile solo dopo la risurrezione e dopo l’effusione dello Spirito Santo, perché per mezzo suo (cf Gv 16,13) il credente accederà a un ampliamento qualitativo (non quantitativo) della rivelazione di Gesù. Grazie allo Spirito i discepoli, dopo la risurrezione, potranno progressivamente penetrare l’insegnamento di Gesù.
Unità, consustanzialità, relazioni
Lo Spirito, per compiere la sua funzione, «dirà tutto ciò che avrà udito» (Gv 16,13). Da chi? Gesù rivela quello che ha udito dal Padre (cf Gv 15,15). Lo Spirito «prenderà da quel che è mio [di Gesù] e ve lo annuncerà» (Gv 16,14). Questo però non fa differenza perché «tutto quello che il Padre possiede è mio» (Gv 16,15), infatti, dice Gesù, «io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30). Ciò dice l’unità e la «consustanzialità» delle tre Persone.
Il tratto del vangelo di questa solennità aggiunge la dimensione relazionale. Gesù afferma che «egli [lo Spirito] mi glorificherà» (Gv 16,14). Infatti, ne continua la rivelazione. Ma è qui che s’instaura la circolarità della glorificazione: lo Spirito glorifica il Figlio, il Figlio è glorificato dal Padre, e il Padre, a sua volta, è glorificato dal Figlio (cf Gv 17,1.4).
Effetti in noi
Le letture di oggi ci indicano anche la direzione del nostro coinvolgimento con il Dio Trinità.
San Paolo, nei primi capitoli della lettera ai Romani, afferma la condizione di peccatori di tutti gli uomini, fino ad esultare per la salvezza realizzata da Cristo, «il quale è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25). All’inizio del capitolo 5 della lettera, l’apostolo afferma che la giustificazione, cioè il dono di essere resi giusti di fronte a Dio, è donata gratuitamente e per la fede. Inoltre, essa produce degli effetti negli uomini. Innanzi tutto la «pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo». Inizia una nuova condizione negli uomini. È la fede che fa accedere al dono della grazia che raggiunge gli uomini nel presente («ci troviamo e ci vantiamo»). Tutto ciò è la base della speranza, anche nella tribolazione. «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).
Seguendo il corso del discorso paolino, che è un discorso sull’uomo e sugli effetti in esso dell’opera della redenzione, vengono nominate tutte e tre le Persone della Trinità. Il Padre è all’origine, il Figlio opera la redenzione, lo Spirito abita i nostri cuori. La Trinità, relazione fra tre Persone, abita il cuore umano e per la sua opera di salvezza ci immette in questa stessa relazione. Da qui ne viene una nuova vita. A essa corrispondiamo?
Ogni volta che partecipiamo alla santa Messa e ogni volta che entriamo in relazione con Dio ricordiamo, col segno della croce, di essere avvolti e coinvolti nella relazione trinitaria.
La nostra fede non trova infatti la sua dimensione ultima nella solitudine, ma nella relazionalità. Nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo assistiamo a una stessa rivelazione che, in quanto creature, è origine della nostra esistenza; in quanto uomini, è manifestazione dell’amore di Dio; in quanto cristiani, è invito a operare nell’oggi per costruire il Regno dei Cieli.
Prima che la terra fosse, già la Sapienza era generata.
La Sapienza, figura di Cristo nell’Antico Testamento, racconta per immagini del suo rapporto con Dio. In questa relazione d’amore, più antica dei mari, delle colline e degli abissi, siamo stati coinvolti anche noi dalla venuta nel mondo del Figlio.
Dal Salmo 8
L’uomo è meraviglia e custode del creato. La sua grandezza riposa in quella del suo artefice: il Dio creatore.
SECONDA LETTURA
Andiamo a Dio per mezzo di Cristo, nella carità diffusa in noi dallo Spirito.
Il cristiano, nella pienezza della sua fede, sperimenta, già su questa terra, cosa significhi essere beati. Questa condizione di pace e d’imperturbabilità di fronte alla sofferenza, non è né un esempio di eroismo, né una forma di follia, è invece frutto dell’azione dello Spirito.
Tutto quello che il Padre possiede è mio; lo Spirito prenderà del mio e ve lo annuncerà.
La parzialità dell’annuncio di Gesù non è segno di sfiducia verso i suoi discepoli e verso di noi, oggi. La piena comprensione dell’annuncio evangelico non può essere immediata e totale, perché la Parola non piomba sull’uomo dall’esterno, ma prevede un coinvolgimento di tutte le sue facoltà.
Prima che la terra fosse, già la Sapienza era generata.
La Sapienza, figura di Cristo nell’Antico Testamento, racconta per immagini del suo rapporto con Dio. In questa relazione d’amore, più antica dei mari, delle colline e degli abissi, siamo stati coinvolti anche noi dalla venuta nel mondo del Figlio.
Dal libro dei Proverbi Pr 8,22-31
Così parla la Sapienza di Dio:
«Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività,
prima di ogni sua opera, all’origine.
Dall’eternità sono stata formata,
fin dal principio, dagli inizi della terra.
Quando non esistevano gli abissi, io fui generata,
quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua;
prima che fossero fissate le basi dei monti,
prima delle colline, io fui generata,
quando ancora non aveva fatto la terra e i campi
né le prime zolle del mondo.
Quando egli fissava i cieli, io ero là;
quando tracciava un cerchio sull’abisso,
quando condensava le nubi in alto,
quando fissava le sorgenti dell’abisso,
quando stabiliva al mare i suoi limiti,
così che le acque non ne oltrepassassero i confini,
quando disponeva le fondamenta della terra,
io ero con lui come artefice
ed ero la sua delizia ogni giorno:
giocavo davanti a lui in ogni istante,
giocavo sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo».
Parola di Dio.
Dal Salmo 8
L’uomo è meraviglia e custode del creato. La sua grandezza riposa in quella del suo artefice: il Dio creatore.
Rit. O Signore, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!
Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi?
Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi.
Tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna,
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
ogni essere che percorre le vie dei mari.
SECONDA LETTURA
Andiamo a Dio per mezzo di Cristo, nella carità diffusa in noi dallo Spirito.
Il cristiano, nella pienezza della sua fede, sperimenta, già su questa terra, cosa significhi essere beati. Questa condizione di pace e d’imperturbabilità di fronte alla sofferenza, non è né un esempio di eroismo, né una forma di follia, è invece frutto dell’azione dello Spirito.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Rm 5,1-5
Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio.
E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza.
La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Parola di Dio.
CANTO AL VANGELO
Cf Ap 1,8
Alleluia, alleluia.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, a Dio,
che è, che era e che viene.
.Alleluia.
Tutto quello che il Padre possiede è mio; lo Spirito prenderà del mio e ve lo annuncerà.
La parzialità dell’annuncio di Gesù non è segno di sfiducia verso i suoi discepoli e verso di noi, oggi. La piena comprensione dell’annuncio evangelico non può essere immediata e totale, perché la Parola non piomba sull’uomo dall’esterno, ma prevede un coinvolgimento di tutte le sue facoltà.
Dal vangelo secondo Giovanni Gv 16,12-15
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Parola del Signore.
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