9 gennaio 2022
BATTESIMO DEL SIGNORE
GESÙ, FIGLIO DI DIO, SI BATTEZZA COME UN PECCATORE
PER RIFLETTERE E MEDITARE
La festa del battesimo di Gesù è ancora una celebrazione del tempo di Natale, e alla luce del mistero dell’incarnazione essa va meditata.
Nel tempo di Natale si manifesta con evidenza la paradossalità del cristianesimo: la potenza di Dio che si rivela nella debolezza di un bambino. In poche parole: il paradosso dell’incarnazione.
Il Vangelo è la buona notizia dell’amore di Dio: della solidarietà di Dio con l’umanità nella sua condizione di fragilità; dell’invito a conversione per la salvezza.
Paradossale fino alla passione
Nel giorno del battesimo del Signore, la paradossalità è tutta in un’immagine. Gesù non scende nelle acque del Giordano in splendida solitudine, ma insieme agli altri. L’innocente s’immerge nelle acque con i colpevoli. Questa condivisione della situazione, conseguenza dell’incarnazione e profezia della morte, è la buona notizia, l’evangelo.
L’episodio del battesimo di Gesù e il successivo delle tentazioni nel deserto fungono come cerniera fra la vita nascosta di Gesù trascorsa a Nazaret e l’inizio del ministero pubblico. Come fa spesso nei primi capitoli del suo vangelo, Luca anche in questo episodio inserisce numerosi rimandi agli eventi pasquali e in tal modo si accresce la nostra comprensione del mistero di Cristo. Ma si mostra anche il culmine della paradossalità del cristianesimo.
La rivelazione del mistero di Cristo
Ricevuto il battesimo, Gesù è in preghiera. «Il cielo si aprì e discese su di lui lo Spirito Santo […] come una colomba» (Lc 3,21-22).
Il cielo si apre, parallelo allo squarciarsi del velo del tempio al momento della morte (cf Lc 23,44). S’inaugura l’opportunità di una nuova relazione fra cielo e terra. Cristo è il mediatore del perdono, è colui che porta la redenzione del mondo.
Scende lo Spirito in forma di colomba, con riferimento alla colomba di Noè, annuncio della fine del diluvio. Inizia il tempo di una nuova alleanza fra Dio e gli uomini. Un’alleanza con tutta l’umanità, come quella noachica, che si realizzerà nella passione di Gesù.
Su Gesù scende lo Spirito Santo, come sui discepoli nella Pentecoste. È da notare che la discesa dello Spirito non trasforma Gesù in altro che prima non era (prima era solo uomo, ora diventa Figlio di Dio). Il valore epifanico del battesimo consiste nel fatto che con questo episodio non c’è cambiamento, bensì manifestazione dell’identità. Nel battesimo si rende trasparente ciò che Gesù già è.
Tutto in questo brano parla dell’identità di Gesù. E questa rivelazione avviene nell’ambito della preghiera di Gesù, perché questa è la precondizione per l’apertura e la disponibilità all’ascolto della parola del Padre. È il clima in cui Gesù chiarisce a se stesso la propria identità, accoglie la propria missione e le modalità, paradossali, della sua opera di salvezza. Precisamente in questo contesto si ode la voce dal cielo che autorevolmente accredita Gesù. «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Lc 3, 22). È evidente il riferimento lucano al primo canto del servo di Jahvè (cf Is 42,1-7).
Nel battesimo di Gesù il senso del nostro
Poiché Gesù condivide le acque con il popolo, con l’umanità peccatrice, quella voce è proclamata, come annuncio di salvezza, su tutti coloro che hanno ricevuto il dono del battesimo. È dal battesimo di Gesù che si deve partire per riscoprire il valore del nostro. È dalla paradossalità della sua immersione con i peccatori che viene la speranza per gli uomini. È questa la buona notizia detta dalla festa che celebriamo, così come dalle parole di Paolo: in Cristo «è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11).
Per questo dono la nostra vita cambia orientamento, diveniamo popolo che gli appartiene, e il rinnovamento e la conversione ne sono effetti e segni. La nostra vita è redenta, in attesa della «manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo» (Tt 2,13). Paolo afferma nell’ultima parte della lettura, una catechesi battesimale, che ciò è avvenuto per grazia e non per merito. Per grazia siamo giustificati. Per grazia diventiamo eredi della vita eterna (cf Tt 3,4-7).
È un annuncio di grande speranza. Il paradosso di una debolezza condivisa per elargire il suo dono e per manifestare la sua potenza.
È la consolazione che si può leggere già in Isaia (cf Is 40,1). Nelle tre parti di cui si compone il brano, partendo dalla situazione storica dell’esilio e del rimpatrio, viene proclamata la revoca della condanna, l’invito a camminare per ritornare a casa, l’annuncio della gioia del popolo alla visione della potenza di Dio. Una potenza che non si ostenta, bensì si manifesta nella cura e nella tenerezza.
«Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40,11).