2 NOVEMBRE
COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI
CONTEMPLARE IL VOLTO DI DIO
COMMENTO
IL Vangelo di questa domenica fa parte del lungo discorso di Gesù riportato nel capitolo 6 di Giovanni.
Viene tenuto a Cafarnao ai suoi discepoli ancora pieni di stupore per la moltiplicazione delle cinque pagnotte d’orzo e dei due pesci arrostiti che un generoso ragazzo aveva messo a disposizione degli apostoli per sfamare una moltitudine di persone (Gv 6, 9).
In un’epoca dove il cibo scarseggia e la fame dilaga, questo crea stupore e meraviglia. La folla si esalta e vuole, a furor di popolo, proclamare re Gesu’ che, invece, di gran fretta fa perdere le sue tracce e si rifugia a pregare nella solitudine della notte. Gli apostoli visto che si trovano a Tiberiade, mentre le loro abitazioni sono situate a Cafarnao, sul lato opposto del lago, salgono sulla loro barca, si mettono di buona lena a remare, nonostante che le acque siano mosse, senza preoccuparsi del fatto che il Maestro non sia con loro.
Sono quasi arrivati a destinazione quando il Signore li raggiunge camminando sulle acque, facendo loro prendere un bel coccolone. Anche coloro che avevano mangiato la sera grazie al prodigio della moltiplicazione dei pani e dei pesci, non trovando al loro risveglio gli apostoli, saltano su cinque barche trovate in riva al lago e si fiondano verso Cafarnao riuscendo così a aggregarsi di nuovo alla comitiva apostolica.
E qui il Maestro tenta di chiarire a tutti il vero significato di quanto avvenuto nel tardo pomeriggio del giorno precedente. Chiaramente dice che il suo compito non consiste nell’essere il banco alimentare di tutti. Il suo pane non ha il sapore e la fragranza di quello che accompagna i nostri alimenti, ma profuma di eternità’. Il suo pane consiste nel non perdere nessuno che il Padre gli ha affidato per sempre e per l’eternità. Il giorno della sua morte, questo significa “ultimo giorno”, tutti risorgeremo con Lui in eterno.
Paolo, in una sua lettera, sintetizza il tutto in una frase densa di significato per ogni credente:”se Cristo non e’ morto e risuscitato, vana è la nostra speranza” ( cfr 1 Cor 15, 14).
È per questo che la commemorazione che oggi facciamo dei nostri cari che ci hanno preceduto nel segno della fede ed ora dormono nella pace non ha nulla da dividere con il macabro carnevale di halloween.
Noi ricordiamo dei vivi nella preghiera, senza scandalizzarci dei fanatici dei sabba infarciti di scaramanzia agli antipodi del nostro credere nella Risurrezione.
MEDITAZIONE
In questi giorni ancora in molti si recano al cimitero per compiere il pietoso gesto della memoria di amici o parenti defunti. È un gesto d’affetto e come tale è da guardare con rispetto. Può dare origine a vergognose speculazioni sulla sofferenza del lutto, ma anche, e a questo è opportuno porre attenzione, al ripristino di relazioni familiari interrotte, alla condivisione e alla trasmissione di memorie collettive, alla meditazione, a genuini atti di devozione. In questi giorni su tutti, anche su chi si accosta ai sepolcri illuminato dalla fede grava un’ombra: non si affronta la morte altrui senza pensare alla propria.
Reciprocità della visione della morte e della visione della vita
Un tempo l’argomento tabù era il sesso, e di morte si parlava forse troppo e male. Oggi di sesso si parla anche troppo e male, e la morte è diventato il nuovo tabù. Questi, invece, sono giorni in cui la liturgia e la tradizione portano a considerare il tema. Anche se il nostro tempo ha cercato di rimuovere e obliare la morte, non è riuscito a risolverne il problema. Per certi versi siamo stati espropriati della nostra stessa morte. Ormai è raro che si muoia in casa accompagnati dalle cure dei parenti: normalmente si muore in luoghi attrezzati per questo momento (ospedali o case di cura), assistiti da personale specializzato. Lo stesso vale per la sepoltura. Vi sono aspetti positivi: la maggior competenza. Altri meno: la professionalizzazione della morte rischia di spersonalizzarla. In ogni caso, pur tentando di anestetizzarci di fronte al problema della morte, continuiamo a sentirla problematica. La percepiamo come un’ingiustizia, come una rottura con le sicurezze che ci creiamo vivendo, come un distacco dagli affetti più importanti e che riempiono il nostro quotidiano.
Per quanto riguarda questa dimensione anche il cristianesimo non risolve il problema della morte. Emotivamente è impossibile non sentire il dolore del distacco, e non è neppure giusto chiedere di non piangere per il lutto di un affetto venuto meno, anche se il fatto è vissuto alla luce della fede. Altrettanto vale per il timore del dopo. La fede è veramente una scommessa: abbiamo motivi ragionevoli per credere, ma possiamo solo gettare i dadi. Sarebbe errato ridurre il cristianesimo a una scelta sul dopo morte, come se il motivo fondamentale della scelta di fede fosse una specie di polizza assicurativa sulla vita eterna. Ciò non significa, però, che l’alternativa tra fede e non fede sia priva di conseguenze nel modo di affrontare e vivere la morte, la propria e l’altrui. Il che implica, però, un certo e conseguente modo di affrontare la vita.
La risurrezione di Cristo: la visione cristiana della morte…
È la risurrezione di Cristo la lente attraverso la quale ogni cristiano legge la vita e la morte. E non è una lettura cristiana se non parte dalla risurrezione. Nelle parole del vangelo, Gesù si rivela partecipe della volontà salvifica del Padre per gli uomini (cf Gv 6,38). In lui, Gesù, si compie la salvezza dell’umanità, per mezzo della sua morte e della sua risurrezione. I misteri pasquali sono la sentenza di condanna della morte.
«E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno» (Gv 6,39).
…e della vita.
Tuttavia è necessaria la fede in Cristo per ricevere la vita eterna e la risurrezione: «Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,40). Da queste stesse parole di Gesù si comprende anche che la fede non è solo attesa della risurrezione, ma è già oggi partecipazione alla vita eterna.
Le feste di questi giorni portano dunque a guardare la vita in una prospettiva più ampia. L’importanza del presente è sostanziata dalla risurrezione. L’oggi che si vive non perde la sua consistenza. Anzi: sfugge all’appiattimento nel contemporaneo, nell’istante senza spessore, e si apre a un’interezza in cui il vivere di oggi tende, nel desiderio e nella speranza, a un «di più» che lo arricchisce di significato. La morte continua a rimanere problematica. Ma da tragedia si trasforma in momento che invera la vita e la pone nella prospettiva dell’eternità.
