11 luglio
15ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
I primi chiamati alla missione
PER RIFLETTERE E MEDITARE
Siamo soliti pensare che l’attività di predicazione degli apostoli sia iniziata dopo la risurrezione di Gesù e la Pentecoste. Prima invece si sarebbero limitati ad accompagnare Gesù e a fargli da interlocutori privilegiati. Invece il Vangelo ci presenta più di un caso di missione apostolica. Gesù comincia a mandarli almeno nei territori vicini a fare l’esperienza della predicazione. È già l’inizio di quell’impegno di evangelizzazione che sarà quello della Chiesa sino ai giorni nostri.
Gesù li prepara alla missione
Non può non stupire che Gesù abbia voluto condividere la sua predicazione con persone poco preparate e probabilmente non troppo affidabili. Ma è stata questa una precisa sua scelta sin dall’inizio: Gesù accetta il rischio di affidare la Chiesa a persone concrete, che avrebbero potuto manifestare lungo la storia una testimonianza poco credibile. Sarà anche per questo che Gesù dà ai suoi apostoli delle istruzioni molto particolareggiate e concrete su come regolarsi, parole che costituiscono ancora oggi un vademecum per chi vuole intraprendere l’impegnativa strada dell’annuncio del Vangelo.
La prima impressione che si ricava dalle parole di Gesù è la determinazione che chiede ai suoi apostoli. Il distacco dalle cose e il portarsi dietro solo lo stretto indispensabile, così come il rifiuto di una ospitalità prolungata e non giustificata o l’abbandono di una zona quando ci si accorge che è refrattaria. Tutto sottolinea l’idea di fondo: l’unica cosa che conta lungo questo viaggio è non perdere di vista lo scopo per cui si è intrapresa la missione e non lasciarsi distrarre da altro.
Gesù sembra dare poca importanza al contenuto della predicazione, la conversione e l’annuncio del realizzarsi del regno di Dio, ma molto di più su come deve essere trasmesso. Ed essi lo fanno a parole, ma soprattutto con la loro vita. E anche con i miracoli; gli apostoli infatti si ritrovano gli stessi poteri di Gesù. Proprio per questo i discepoli tornano dalla loro missione pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome!» (Lc 10,17).
A imitazione di Gesù
Ciò che Gesù chiede ai suoi apostoli è una vita condotta sulla lunghezza d’onda della sua, leggera e libera come la sua. Chi viaggia, si sa, può aver bisogno di tutto: cibo, denaro, valigie… Gesù li invita invece a presentarsi alla gente da poveri, in modo che si veda chiaramente che non hanno altri fini oltre a quello di annunciare il Vangelo. E non li manda a predicare nel tempio o nelle sinagoghe o in nuovi luoghi di culto che potrebbero costruire loro. Li manda nelle case, a incontrare le famiglie e la gente nei loro ambienti quotidiani di vita. È una sfida impegnativa, che porta con sé la certezza che il loro messaggio – la costruzione del regno di Dio – riguarda precisamente la vita di ogni persona.
Gli apostoli devono ritenere normale anche l’eventualità dell’insuccesso. Egli stesso l’ha sperimentato a volte con amarezza. Non si può costringere qualcuno a credere. Di fronte alla possibilità di un rifiuto il cristiano non si impone, neanche a livello educativo o famigliare, nemmeno con i più piccoli. La proposta cristiana ha senso se viene fatta nella libertà e viene vissuta per convinzione personale. I metodi duri o ricattatori possono illudere lì per lì, ma a lungo andare si riveleranno tragicamente fallimentari.
Nella Chiesa di oggi
Riesce difficile affidarsi unicamente alla forza della parola di Dio e non ricorrere all’appoggio dei potenti o alla sicurezza di poter disporre di molte strutture e di molti mezzi. Spesso le comunità se ne servono per far presa sulla gente: dal ping-pong e al pallone per i ragazzi, a risorse e strumenti sofisticati per gli adulti. Certo alcune attività rispondono alla necessità di dare spazio anche negli ambienti ecclesiali agli interessi di tutti, in particolare dei più giovani. Ma ci si deve guardare dall’usare queste cose in modo strumentale, come ricatto o come specchietto per attirare le persone. E non devono assumere una importanza tale da non lasciare più trasparire la proposta cristiana, che è il fine ultimo su cui poggia tutta l’istituzione.
Gesù manda infine gli apostoli «a due a due», come a dire – lo ricorda Gregorio Magno – che essi, essendo in due, sono inevitabilmente chiamati a dare prova di vicendevole amore reciproco.
A questo proposito è bello ricordare – parlando di due persone – che questo è applicabile anche per una coppia che viva insieme l’esperienza dell’amore e dell’impegno di testimoniare il Vangelo in famiglia e ovunque. Quando i figli, in particolare, possono dire dei genitori: «Guarda come si amano!»; quando nella piccola società in cui questa coppia vive riesce a dare testimonianza di collaborazione e di affetto, si realizza in pieno la missione del Signore e si rende presente il volto di Dio.
UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA
«In una società come la nostra, è chiaro che l’importante non sta nel fatto che la Chiesa sia in primo luogo visibile attraverso un tempio che domina gli edifici circostanti. Da quale segno Gesù ha detto che i suoi discepoli sarebbero stati riconosciuti? Dall’amore che avrebbero avuto gli uni per gli altri. In questo senso, perché la Chiesa riesca a porsi in stato di missione e di evangelizzazione, i battezzati non hanno altra scelta che quella di consolidare il loro progetto di fraternità» (mons. Bernard Hubert).