• Sir 3,2-6.12-14 – Chi teme il Signore onora i genitori.
• Dal Salmo 127 – Rit.: Vita e benedizione sulla casa che teme il Signore.
• Col 3,12-21 – Vita familiare cristiana, secondo il comandamento dell’amore.
• Canto al Vangelo – Alleluia, alleluia. La pace di Cristo regni nei vostri cuori; la parola di Cristo dimori tra voi con abbondanza. Alleluia.
• Mt 2,13-15.19-23 – Prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto.
PER COMPRENDERE LA PAROLA
PRIMA LETTURA
Il libro del Siracide è un trattato di sapienza, annoverato dalla Chiesa cattolica nel canone delle Scritture. Fu redatto in greco nel II secolo a.C.
Le prime sentenze del cap. 3 riguardano il modo di comportarsi con i genitori. Sono i principi di una società in cui la famiglia è la cellula base. Queste sentenze non sono ordini ma consigli: se tu agisci così otterrai la felicità. Sono un commento al comandamento: «Onora tuo padre e tua madre», anch’esso accompagnato da una promessa: «perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio» (Es 20,12).
– Parola chiave: onorare. Non si tratta soltanto di un comportamento rispettoso, ma soprattutto di un modo di vivere che onori coloro che ci hanno allevati. Il figlio onora i genitori perché è Dio che lo vuole.
– I consigli circa i genitori anziani sottolineano che essi non vanno considerati in funzione delle loro attuali qualità o dei servizi che possono ancora rendere. Vi è un diritto al rispetto e al riguardo che rimane valido anche nelle infermità della vecchiaia.
SALMO
È un «cantico delle ascensioni», un canto di pellegrinaggio dei pii Ebrei. Essi sono certi di avere in cambio la benedizione di Dio. Questa benedizione è in primo luogo di ordine familiare: prosperità, numerosi figli e lunga vita. In questa festa la sposa feconda per eccellenza è Maria.
SECONDA LETTURA
È tratta da un lungo discorso sull’«uomo nuovo», l’uomo morto e risuscitato con Cristo; contiene:
Consigli sulla vita di relazione con gli altri. Il modello è il comportamento di Dio con i suoi eletti: dobbiamo amare come egli ci ama, perdonare come egli perdona. L’amore che viene da Dio dà significato e coesione a tutte le virtù; unisce tutti i membri di Cristo in un solo corpo. E il frutto è la pace, che porta il cuore alla riconoscenza.
Consigli sulla vita più direttamente religiosa delle comunità: attenzione incessante alla Parola di Dio, istruzione reciproca, canti ispirati. Tutto ciò deve condurre a una specie di consacrazione di tutta la vita.
In questo passo sentiamo un’eco della vita liturgica delle prime comunità, in cui si esercitava la varietà dei doni dello Spirito (cf 2a e 3a domenica del Tempo Ordinario).
VANGELO
Il testo di Matteo riferisce la partenza per l’Egitto e, dopo la strage degli Innocenti, il ritorno a Nazaret.
Fedele alla linea adottata (cf l’annunciazione a Giuseppe letta nella 4a domenica di Avvento), Matteo continua a presentare Gesù nella sua dipendenza da Giuseppe, capo legale della Santa Famiglia, l’uomo giusto che compie la volontà di Dio, trasmessagli attraverso l’oscurità dei sogni. Ma la sua fede non ha esitazioni: sia per la partenza che per il ritorno, Giuseppe «destatosi, prese con sé il bambino e sua madre».
Il bambino occupa nella narrazione un posto primario, che non è naturale e sottolinea la sua dignità.
È un racconto teologico e tuttavia storico: è preciso riguardo al nome del figlio di Erode, e la menzione di Nazaret coincide con i dati di Luca, il cui racconto, per il Vangelo dell’infanzia, è tuttavia assolutamente indipendente da Matteo. Fedele al suo metodo, Matteo vuole fondarsi sull’Antico Testamento.
La prima citazione: «Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio» proviene da Os 2,1, in cui si tratta di Israele; Matteo riconosce quindi in Israele una figura del Messia. La seconda è più oscura: si tratta probabilmente del Nazir, l’asceta consacrato a Dio che non beve vino e non conosce il rasoio, di cui si parla in Gdc 13,5-7. Il nome «Nazareno» rimane legato a Cristo e ai cristiani negli ambienti giudaizzanti (cf At 24,5). Matteo lo mette in risalto con fierezza.
PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)
La liturgia del Natale ci ha abbagliato con la sua luce sfolgorante. Noi tutti siamo stati attratti dalla Persona del Verbo di Dio fatto carne, protagonista del mistero della nostra salvezza. Egli è venuto ad abitare tra noi.
Ora la liturgia ci presenta i temi e le persone rimasti in penombra. Lo sguardo è indirizzato oggi sulla «abitazione di Dio fra gli uomini», sulla famiglia. È tra le mura domestiche e le persone che inseriscono pienamente e anagraficamente il Figlio di Dio tra gli uomini che noi possiamo riconoscerlo e accoglierlo. Di questa scuola siamo invitati a diventare allievi attenti e perspicaci.
La Famiglia di Nazaret, composta da Gesù, Giuseppe e Maria, è proposta dalla Chiesa come modello di vita, di relazioni e di comportamento. Essa è l’ideale con cui confrontarci e a cui ispirarci. È rileggendo l’avventura di questa famiglia singolare che noi cogliamo il valore, le speranze, le attese recondite che ogni famiglia umana custodisce nel cuore.
L’esodo del Figlio di Dio
La parola «esodo» ha una profonda risonanza nella storia umana. Per i più anziani sono gli «sfollamenti» del 1940-1945; per altri, è la fila dei rifugiati nei paesi in guerra, davanti all’invasione, ai bombardamenti. Per tutti noi è la marea di uomini che fuggono dal loro paese in cerca di una vita migliore e si avventurano nel mare con imbarcazioni precarie e clandestini sbarcano sulle coste di una nazione…
Gesù, secondo s. Matteo, ha voluto conoscere fin da piccolo questo genere di prova, che ha coinvolto i suoi genitori in un’avventura piena di insidie. È la prima apparizione della croce.
Per la Bibbia, l’esodo ha un’altra risonanza: la liberazione dall’Egitto, la traversata del deserto, la terra promessa. Richiamando il passo di Osea, Matteo suggerisce un’interpretazione più profonda dell’avvenimento che è la fuga in Egitto e il ritorno. Per lui è la chiave di tutta la missione di Gesù. Dio fa tornare dall’Egitto il suo Figlio Gesù, come ha fatto tornare il suo figlio Israele. Gesù vive personalmente l’esodo e assume in certo modo tutta la storia di Israele. È lui il vero Israele, poiché contiene in sé tutta l’umanità nuova. Più tardi, egli passerà nel deserto per superare vittoriosamente le tentazioni di Israele. Ma fin d’ora vive l’obbedienza che riscatta le molte disobbedienze di Israele.
L’obbedienza non è soltanto la sottomissione agli ordini ricevuti, che Giuseppe vive perfettamente. È anzitutto la sottomissione alla realtà, agli avvenimenti. Essa riguarda tanto gli adulti quanto i bambini. Tutti si ritrovano piccoli, limitati, dipendenti.
È una via per conoscere Dio e accoglierlo. Ritroviamo nella vita quotidiana l’itinerario di Gesù e di Israele. Gesù ha percorso questo cammino in una famiglia umana come la nostra. La sua presenza ha irradiato la serenità, l’obbedienza e l’amore.
Le nostre famiglie, come tutti i gruppi in cui viviamo, non raggiungono mai questa perfezione, anzi talvolta sono un deserto, lontano da Dio, occasione di prova e di tentazione. La grazia di Cristo ci aiuti a trasformare a poco a poco i rapporti che legano i diversi membri di questi gruppi, perché in essi si costituisca una vera cellula del popolo di Dio.
San Giuseppe tace ed opera
Il Vangelo in pochi e mirabili tratti ci presenta la figura e soprattutto il silenzio operoso di s. Giuseppe.1 In esso sono raccolte poche parole della Madonna, ma di Giuseppe nessuna. I suoi colloqui con gli angeli non hanno altra risposta che le opere. Gli angeli parlano, lui tace e fa.
Nello smarrimento di Gesù al Tempio, la Madonna è uno slancio di sentimenti. San Giuseppe tace. Il suo silenzio è il commento più perfetto alla sua fede, alla sua docilità, alla sua dedizione.
Qualche volta vorremmo conoscere una parola di questo santo Patriarca nei confronti di Gesù e di Maria. Possiamo solo immaginarne tante, ma non ne conosciamo nessuna. Questo fatto ci mette di fronte ad un insegnamento molto prezioso per la vita spirituale: il miglior commento a tutto ciò che il Signore fa e dice, a tutto ciò che il Signore vuole, è l’operoso silenzio.
S. Giuseppe è una creatura che ascolta, aperta alla voce di Dio. È troppo occupato nell’ascoltare il Signore, ha paura di interromperlo, di prevenirlo e così tace sempre. E come è fecondo questo silenzio! Esso permette che tra la parola di Dio e l’obbedienza di Giuseppe non ci sia soluzione di continuità. Dio parla e s. Giuseppe fa. «Non temere…», e lui non teme, tutti i drammi sono finiti. «Alzati…», e lui si alza, eccolo già per strada. «Ritorna…», ed è già di ritorno. Questa immediatezza a tutti i cenni del Signore, è bella disposizione interiore!
Il silenzio dovrebbe essere una delle condizioni della fedeltà, della corrispondenza e della prontezza ai cenni di Dio. Non è solo mortificare la lingua. È assumere un atteggiamento di abbandono. È essere agili nelle mani di Dio. Egli troverà che la nostra risposta è immediata tra il suo cenno e il compiersi dei suoi disegni. Nulla, neppure un palpito del cuore gli opponga resistenza. Tutto in noi sia adesione, fiducia e, soprattutto, amore.
La vita di Nazaret
Giuseppe è accogliente, non è «padrone» né della propria vita né di quella degli altri. Lui accoglie e favorisce la vocazione di Gesù. Giuseppe è «colui che mette in salvo». La salvezza della famiglia è quella di mettersi in salvo.
Giuseppe è un uomo desto, in piedi, attento, deciso, pieno di iniziative, che si dà da fare, non si rassegna, non accetta l’ineluttabile, non sta a piangere contro i tempi e le crudeltà degli uomini. La salvezza viene da una famiglia che è «in movimento».
La famiglia cristiana è un vangelo vivente, una buona notizia che trasmette un forte messaggio di speranza all’umanità. Ci sono dei tratti fondamentali della vita di Nazaret a cui ogni famiglia può ispirarsi per realizzarsi e svilupparsi secondo il cuore di Dio. Nazaret:
– è vita di carità profonda che rende viva la presenza del Signore;
– è invito all’ospitalità;
– è vita di povertà laboriosa;
– è vita di nascondimento e di semplicità;
– è vita di ascolto attento e rispettoso (ubbidienza: dove c’è amore non c’è imposizione!);
– è vita di limpidità trasparente e libertà;
– è vita intima con Cristo e Maria;
– è vita di fede schietta;
– è vita che testimonia la gioia ed educa ad essa.
Nella gioia tutto è più facile, anche portare le croci pesanti. Donando gioia miglioriamo noi stessi, alleggeriamo i pesi nostri e altrui, comunichiamo in profondità con Dio e con i fratelli.
(tratto da: M. Gobbin, Omelie per un anno – vol. 1, anno A, tempi forti – Elledici 2003)