PRENDI CON TE IL BAMBINO
Sir 3,3-7.14-17a (NV) Chi onora il padre espia i peccati
Col 3,12-21 La parola di Cristo abiti tra voi
Mt 2,13-15.19-23 Fuggi in Egitto e resta là
La famiglia sostiene Gesù
Appena nato Gesù è osteggiato dai potenti di questo mondo, come avverrà lungo tutta la sua vita. In questo caso però egli non è in grado di pensare a sé in prima persona ed è solo grazie alle cure di Giuseppe e Maria che ha salva la vita. Dio, venendo tra noi, ha scelto di aver bisogno di una famiglia, ha scelto di entrare nella logica della storia fatta di bene e di male, di realtà umane difficili per dirci che niente di ciò che viviamo gli è estraneo. Nella narrazione evangelica non emerge tanto l’uno o l’altro componente, quanto i tre come famiglia. Per ciascuno Dio comincia l’opera di grazia dallo stato miserevole dell’uomo. Così è stato anche per il figlio di Dio, che ha voluto in tutto mettersi dentro la vicenda umana. Il suo ritorno si configura come quell’esodo che darà inizio al nuovo Israele. Quando Gesù entrerà nel tempio di Gerusalemme dirà espressamente che vi è entrato per condurre fuori dal recinto del tempio le pecore fedeli, il piccolo resto d’Israele: egli le conduce come JHWH conduceva Israele per il deserto. Il Signore si fa piccolo ed esule per riportarsi anche visibilmente sulle strade dell’uomo povero, debole e perseguitato.
Un comune destino
La via della salvezza è proposta dentro una famiglia che, se vanta un privilegio, è quello di far parte della schiera dei poveri. E nella persecuzione il destino di uno è il destino dei tre. L’unità del nucleo si fonda sull’unità del destino che non mortifica le ricchezze di ciascuno, ma le riporta a un unico progetto. Maria vive tutto in silenzio, Giuseppe gestisce le operazioni, il figlio è colui che porta il mistero. Il figlio, del resto, è sempre un mistero, perché quando nasce una vita è un mondo imprevedibile che prepotentemente entra nella sfera famigliare. Non è facile dire «vieni Signore Gesù» quando si sperimenta che Dio, invece di venire, sembra fuggire, perché impotente di fronte alla prepotenza. Cristo non aiuta in virtù della sua onnipotenza, ma in virtù della sua sofferenza Giuseppe obbedisce prontamente, prende con sé il neonato e Maria e si dirige in Egitto, terra in cui Israele aveva conosciuto la dura oppressione e la schiavitù: in tal modo Gesù ripercorre il cammino del popolo di Israele, chiamato da Dio stesso «figlio mio» (cf Es 4,22).
Il cammino dei tre: un doppio esodo Il viaggio di Maria e Giuseppe col Bambino si configura all’esodo di Mosè in terra di Madian per sottrarsi al potere persecutorio e all’esodo di tutto il popolo in terra di Canaan come cammino liberatore. Ma ora vi è una specie di inversione di ruolo: Gerusalemme è diventata la città del faraone persecutore, per cui la piccola famiglia perseguitata fugge in Egitto. In tutto il Vangelo di Matteo, Gerusalemme rimarrà sempre come il simbolo di una sinagoga che non riconosce il messia, la città di Davide che non riconosce il figlio di Davide e lo allontana. Questa fuga è dominata dall’evento tragico di una strage di bambini innocenti, come nella vicenda dell’infanzia di Mosè. In entrambi i casi Dio salva il piccolo resto d’Israele. È riproposta una storia dove l’uomo di fede si configura nell’immagine dell’ebreo errante che persegue la salvezza che JHWH gli propone. L’antico e il nuovo Israele si ritrovano nella stessa esperienza di vita.
L’approdo in terra pagana: Gesù è portato subito a tutti
Dopo qualche tempo dalla morte di Erode la famiglia di Gesù si trasferisce in Galilea. Si tratta di una terra abitata da pagani, ma recandosi proprio lì Giuseppe porta subito Gesù a tutti gli uomini, agli ebrei e alle genti. E Gesù «andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: “Sarà chiamato Nazareno”». Il nome della località porta l’evangelista a un duplice gioco di parole. Gesù, chiamato Emmanuele, Dio-con-noi dall’angelo, sarà chiamato anche «Nazareno», cioè abitante di Nazaret e al contempo «nazir», nazireo, cioè separato da Dio e a lui consacrato fin dal seno di sua madre (cf At 2,22; 3,6).
PER IL CONFRONTO NEL GRUPPO
– In che cosa ti senti di collaborare per far arrivare il Regno di Dio?
– Di che cosa hanno bisogno gli esuli di oggi?
IN FAMIGLIA
Prendersi cura è il modo migliore per stare vicini.
Ogni membro della famiglia cura un ambito che può far piacere a qualcun altro:
la preparazione del cibo e della tavola, la cura dei vestiti, la pulizia di un ambiente
e il riordino dello stesso per accogliere qualcuno.
In questi giorni possiamo prenderci «cura» anche di una persona che conosciamo e sappiamo in difficoltà.
(tratto da R. Paganelli – Entrare nella domenica dalla porta della Parola, anno A, Elledici 2015)