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3. Annunciare la Parola – Immacolata Concezione di Maria, 8 dic

PER COMPRENDERE LA PAROLA (Lectio)

PRIMA LETTURA
Questo passo della Genesi viene immediatamente dopo il racconto della caduta (Gn 3,1-6). Dio cerca una confessione; ma Adamo e poi Eva tentano di discolparsi (vv. 9-13). Iahvè pronuncia allora una serie di maledizioni all’indirizzo del serpente (vv. 14-15), della donna (Gn 3,16) e dell’uomo (Gn 3,17-19). Il v. 20, aggiunto alla nostra lettura, ricorda che la donna ha ricevuto un nome che esprime la sua maternità rispetto al genere umano.

a) Il peccato è visto da Israele come la sorgente di un disequilibrio nell’ordine creato. L’uomo sapeva che era nudo; ma la concupiscenza in lui si sveglia soltanto dopo la colpa, che è di ordine spirituale. L’autore del racconto non pensa a una colpa carnale; la concupiscenza è la conseguenza del peccato. Questo consiste nella perdita dell’amicizia con Dio.

b) La maledizione del serpente mette in luce una costante dell’Antico Testamento. Quando Dio punisce l’uomo, la condanna non è assoluta: rimane possibile un avvenire. In certo modo il racconto sottolinea che Dio si mette dalla parte dell’uomo. Nello stesso momento in cui maledice il serpente, Dio apre la via alla speranza. Una prospettiva di salvezza è almeno presentita nel fatto che Iahvè stabilisce una ostilità tra il serpente e la discendenza della donna. La traduzione dei Settanta preciserà che un figlio della donna sarà vincitore, e la Volgata latina traduce come se la donna dovesse riportare la vittoria. Ma è chiaro che l’interpretazione messianica non si impone al livello del testo originale.
L’interpretazione mariologica s’impone ancora meno; e questo l’hanno visto bene i Padri della Chiesa. Tuttavia la scelta di questa lettura per la festa dell’Immacolata Concezione è appoggiata dalla tradizione e si spiega molto bene. Di fatto la Vergine Maria è, nella discendenza della Donna, colei in cui Dio ha pienamente restaurato la sua amicizia con l’uomo prima di fondarla definitivamente nel figlio di Maria, l’Uomo-Dio.

SALMO
Il nostro cuore fa continuamente esperienza del peccato. Ma può essere rigenerato nella speranza se si lascia affascinare dalle meraviglie dell’amore divino. Meraviglie che contempliamo oggi in Maria.

SECONDA LETTURA
Brani dell’inno di benedizione (Ef 1,3-18) che Paolo ha formulato all’inizio della sua lettera agli Efesini. Esso è composto secondo le leggi classiche dell’azione di grazie giudaica: un’introduzione (v. 3), una prima strofa chiusa con una benedizione di Dio (vv. 4-6), una seconda strofa che si chiude essa pure con una glorificazione di Dio (vv. 7-12, che in parte mancano nella lettura), infine una preghiera epicletica in cui Paolo domanda a Dio per i suoi corrispondenti la conoscenza del suo disegno (vv. 13-18, omessi dalla lettura).
Questa azione di grazie si ispira probabilmente a una preghiera del quotidiano rituale giudaico, da dove essa ha preso dei temi come quello della paternità di Dio (v. 3), dell’elezione (v. 4), ecc. Rimane un’importante differenza tra le due preghiere: il rituale giudaico rende grazie a Dio per il dono della Legge, la preghiera di Paolo per il dono del Figlio.

a) Il versetto introduttivo (v. 3) fissa i grandi temi non soltanto della preghiera, ma dell’intera epistola. Si tratta infatti di una azione di grazie per la salvezza (presentata qui come una «benedizione») voluta dal Padre, meritata dal Cristo e realizzata dallo Spirito.
Le benedizioni salutari per le quali si loda Dio sono la morte e la glorificazione di Cristo (Ef 1,7 e 10), l’inizio della vita divina nell’uomo, grazie alla fede e al battesimo (Ef 1,13), e nel mondo, grazie alla signoria di Cristo (Ef 1,10). L’espressione «nei cieli» che qualifica queste benedizioni designa tutto ciò che non è né «carne e sangue» (Ef 6,12), né «potenze celesti» spodestate da Cristo (Col 2,15; 1 Cor 15,24). Quanto all’espressione «nel Cristo» designa la mediazione attraverso la quale si realizzano le benedizioni del Padre dopo che Cristo si è sostituito alla «carne» e agli «spiriti» nell’ordine della salvezza.

b) La prima strofa (vv. 4-6) spiega come la benedizione di Dio rechi beneficio all’uomo, chiamato da Cristo alla santità. Essa infatti è elezione da parte dell’amore del Padre che fa degli uomini i figli di Dio. Il tema di questa strofa mette in rilievo l’iniziativa di Dio nell’opera della salvezza e di conseguenza la certezza della salvezza. L’oggetto di questa elezione è la santità: la comunicazione della vita stessa di Dio (Lv 19,2). Il segreto di questa comunicazione è l’amore, un amore che giunge all’adozione degli uomini. I versetti della seconda strofa, conservati nella nostra lettura (vv. 11-12), non fanno che riaffermare questo tema dell’elezione e dell’iniziativa di Dio.
La scelta di questa lettura per la festa dell’Immacolata Concezione mette in piena luce la parte che spetta a Dio nel mistero di Maria. Ella è per eccellenza colei che è stata eletta «prima della creazione del mondo» (v. 4). Ma ella ha risposto pienamente a questa elezione, essendo per eccellenza colei che «in anticipo ha sperato in Dio» (v. 12). L’iniziativa di Dio è messa tanto più in rilievo in quanto colei che ha risposto l’ha fatto con un atto di piena libertà spirituale, il cui contenuto si chiama speranza!

VANGELO
La forma particolare di questo racconto, una specie di midrash dove ogni parola ed ogni espressione è carica di evocazioni, esige un commento versetto per versetto, che permetterà di coglierne le linee essenziali.

a) Il quadro e il contesto storico (vv. 26-27)
L’apparizione di Gabriele situa la scena dell’Annunciazione nel contesto profetico ed escatologico, perché la tradizione considerava Gabriele come depositario del segreto riguardante il computo delle settanta settimane precedenti l’instaurazione definitiva del Regno (cf Dn 8,16; 9,21.24-26).
In effetti, l’angelo appare dapprima a Zaccaria nel Tempio (Lc 1,11), poi a Maria sei mesi più tardi (180 giorni) (Lc 1,26). Cristo viene al mondo nove mesi dopo (270 giorni), ed è presentato al Tempio quaranta giorni più tardi. In tutto sono 490 giorni o settanta settimane, le cui tappe sono segnalate dall’espressione: «compiuti i giorni…» (Lc 1,23; 2,6.22), che conferisce agli avvenimenti il significato del compimento di una profezia.
Cristo è dunque, ad un tempo, il Messia previsto da Dn 9 e il Messia umano e Figlio d’uomo quasi divino (Dn 7,13). Gli avvenimenti che annunciano la sua nascita preparano l’entrata della gloria di Iahvè, personificato in Cristo, nel suo tempio definitivo.

b) I titoli di Maria (vv. 27-28)
La semplicità dell’Annunciazione che si svolge in una casa di Galilea, regione disprezzata (Gv 1,46; 7,41), contrasta con l’apparato dell’annuncio della nascita del Battista nel Tempio (Lc 1,5-25). L’opposizione tra Maria e Gerusalemme già si delinea e si preciserà nel saluto dell’angelo che ricalca un saluto che Sofonia (3,16) e Zaccaria (9,9) rivolgono a Gerusalemme per annunciarle la prossima venuta del Signore «nel tuo seno» [in mezzo a te] (senso letterale della formula di Sof 3,16). L’angelo trasferisce su Maria i privilegi fino allora attribuiti a Gerusalemme. Del resto, l’influenza di Sofonia si prolunga in tutto il racconto (Lc 1,28 e Sof 3,15; Lc 1,30 e Sof 3,16; Lc 1,28 e Sof 3,14).
In Luca l’espressione «piena di grazia» significava probabilmente che Maria era «graziosa», come Rut davanti a Booz (Rt 2,2.10.13), Ester davanti ad Assuero (Est 2,9.15.17; 5,2.8; 7,3; 8,5) ed ogni donna agli occhi del proprio sposo (Prv 5,19; 7,5; 18,22; Ct 8,10). Questo contesto matrimoniale è ricco di evocazioni. Da lungo tempo Dio cerca una sposa fedele. Egli ha ripudiato Israele, la sposa precedente (Os 1-3), ma è disposto a un nuovo «fidanzamento». Maria, interpellata con una delle espressioni frequenti nelle relazioni tra sposi, comprende che Dio realizzerà in lei il mistero delle nozze promesse nell’Antico Testamento, operando l’unione delle due nature – divina ed umana – nella persona di Gesù.

c) I titoli del Messia (vv. 31-33)
I primi titoli applicati a Gesù si ispirano al vocabolario regale delle promesse di Natan (2 Sam 7,11): Gesù sarà «grande» (cf 2 Sam 7,11), sarà Figlio dell’Altissimo, titolo riservato ai grandi personaggi (Sal 2,7; 28,1; 81,6; 88,7) e al Messia in 2 Sam 7,14. Egli si assiderà sul trono di Davide (2 Sam 7,16; Is 9,6). Ma l’angelo va oltre le previsioni di Natan predicendo l’estensione del Regno di Cristo alla casa di Giacobbe (alle dieci tribù del Nord). Gesù farà dunque l’unità di Giuda e di Israele (Ez 37,15-28; Dn 7,14; Mic 5,4-7), in attesa di poter realizzare quella tra Giudei e pagani.
Il fatto che l’angelo non impone al figlio di Maria il nome di Emmanuele (Is 7,14) non ha nulla di strano. In effetti ben una dozzina di nomi erano stati previsti per il Messia, ma nessuna tradizione aveva pensato a «Gesù», che significa «Iahvè nostro salvatore». Questo nome richiama due personaggi che hanno avuto una parte importante nella storia del popolo eletto: il giudice Giosuè nel deserto (Sir 46,1-2) e il sacerdote Giosuè al ritorno dall’esilio (Zc 3,1-10; Ag 2,1-9). Passando attraverso la sofferenza e la morte, Gesù meriterà a sua volta il nome di «salvatore» dell’umanità.

d) Le circostanze della concezione (vv. 34-38)
L’angelo predice la concezione del bambino in termini presi da Es 40,35, dove l’apparizione della nube manifesta la presenza di Dio. Il bambino che nascerà sarà il frutto di un intervento specialissimo di Dio; egli apparterrà a quel mondo divino e celeste che la nube generalmente simboleggia (v. 35).
Questo intervento divino suppone una collaboratrice libera (v. 37). Maria intendeva, sembra, restare vergine. Le giovani potevano ottenere questa autorizzazione dallo sposo specialmente nell’ambiente esseno. L’affermazione di Maria di non conoscere affatto uomo (mentre conosceva Giuseppe) va intesa nella maniera simbolica di tutto questo midrash. Maria rappresenta Gerusalemme, oggetto di promessa di fecondità. Non conoscere uomo, per Gerusalemme è vivere il marasma della sua situazione di ripudiata, di abbandonata, di derelitta (cf Is 60,15; 62,1-4). Maria reca su di sé la desolazione della città ripudiata mentre le si dice che nozze novelle saranno celebrate dove Dio riprenderà in lei l’antica fidanzata. L’Annunciazione compie il mistero delle nozze di Dio e del suo popolo.
Luca parla di Maria e della sua verginità; lo fa nel quadro preciso della sua comunione nuziale con Dio e in vista del frutto di questa comunione: il Messia.
Ad ogni modo, credere a questa verginità di Maria nelle sue nozze spirituali con Dio è affermare qualche cosa su Cristo. La visuale rimane fondamentalmente cristologica.


PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)

Maria e la storia della salvezza
Il dogma dell’Immacolata Concezione svela, alla sua sorgente, il ruolo eccezionale della Vergine Maria nell’«Avvento» dell’umanità in cerca della sua salvezza. Che la madre del Salvatore sia esente dal peccato originale costituisce certo un privilegio unico, che dipende dalla grazia onnipotente di Dio! Ma il cristiano non si può accontentare di cogliere questo dogma mariano in termini di privilegio; ci sarebbe il rischio di strappare la Vergine alla condizione comune degli uomini, di farne un caso isolato senza che ne derivi una maggiore comprensione della storia della salvezza in cui tutti siamo impegnati.
Al contrario, cogliendo il privilegio dell’Immacolata Concezione non soltanto da parte della benevolenza onnipotente di Dio, che prepara in Maria una dimora degna del Figlio, ma soprattutto da parte di Maria stessa e della risposta attiva e libera al disegno di Dio sull’uomo, ci si procura il mezzo di comprendere quale luce questo dogma proietti su tutta l’avventura spirituale dell’umanità.
Le Scritture non ci parlano dell’Immacolata Concezione come tale. Grandi teologi hanno manifestato al riguardo forti esitazioni, e la Chiesa non si è pronunciata solennemente se non nel sec. xix. Se l’ha fatto è perché questa proclamazione dogmatica le è sembrata essenziale al giusto equilibrio del mondo della fede.

La Vergine Immacolata alla sommità della religione dell’Attesa
L’arrivo di Israele al regime della fede costituisce una svolta nella storia religiosa dell’umanità. La religione dell’Attesa prende definitivamente corpo.
Sotto la guida dei profeti, l’uomo giudaico impara a gettare sull’esistenza uno sguardo assai più realistico dell’uomo pagano. Della realtà che vive, egli non si accontenta più di ritenere i valori stabili e ricorrenti, i cicli cosmici, le leggi naturali, il dominio dell’immobile e del prevedibile, tutto ciò che fa della vita un «eterno ritorno» e fonda una sicurezza commisurata alle risorse umane; al contrario, egli si dà a considerare l’evento stesso con il suo peso di non-senso e di imprevedibile. È sul terreno della storia che Israele scopre il suo Dio che gli viene incontro. Un incontro eminentemente attuale e concreto!
L’esperienza religiosa di Israele lo invita ad approfondire i rapporti inaugurati dall’Alleanza del Sinai. Iahvè è il Dio Assolutamente-Altro, padrone della storia concreta del popolo che si è scelto, il solo che conosce in lungo e in largo gli eventi che la compongono. Egli è il creatore di tutte le cose, visibili e invisibili, e non deve rendere conto a nessuno del proprio agire. Egli guida il suo popolo, ed è il Fedele per eccellenza, perché ama. Di fronte a Dio, l’uomo è un niente, una creatura fallibile, a cui però Dio richiede una risposta attiva e libera. Una risposta del cuore, che impegna la parte più intima dell’essere!
Scoprendo che Iahvè può salvare l’uomo, Israele percepisce che l’atto divino che lo salva non l’aliena; Iahvè ricerca nell’uomo un interlocutore in un dialogo di amore. Ma a quali condizioni l’uomo può essere un partner di Dio? Queste condizioni non gli sembrano adempiute nel presente; Israele si volge verso l’avvenire, nell’attesa di un uomo che potrà dire a Dio il «sì» del partner. Il regime della fede si sviluppa in una religione dell’Attesa.
Questa religione dell’Attesa, Maria l’ha vissuta fin nelle sue ultime conseguenze. La sua domanda circa l’avvenire non conosce compromesso. Se Iahvè è l’Assolutamente-Altro, la risposta che si attende dall’uomo sarà tutt’altra da quello che possono produrre le risorse dell’uomo: nessuna realtà umana, si tratti dell’appartenenza ad Israele o dell’osservanza della Legge, può costruire questa risposta. La povertà richiesta all’uomo è il rinnegamento di se stesso e la disponibilità all’intervento divino. Il peccato non ha alcun posto in Maria.

Gesù Salvatore, figlio di Maria
La qualità della fede di Maria è tale che in lei si può realizzare il passaggio dall’Attesa al Compimento. In questa fede culmina la ricerca religiosa dell’umanità. Che cosa significa la maternità di Maria per la comprensione dell’umanità di Cristo?
L’incarnazione del Figlio di Dio significa anzitutto che egli ha preso carne da una donna in un popolo determinato e in un preciso momento della storia. L’Incarnazione non si è prodotta sulla terra d’Israele per caso, circa dodici secoli dopo che il popolo eletto era stato costituito nel deserto, e più di cinque secoli dopo l’esilio di Babilonia, dopo che una serie di profeti ha permesso a questo popolo di approfondire il cammino della fede, nel momento in cui la diaspora giudaica è penetrata in tutto il mondo allora conosciuto. In quanto è possibile accostare l’itinerario spirituale di Israele, si può affermare che il Figlio di Dio è intervenuto nella storia nel momento più adatto alla sua missione.
Ciò che sappiamo di Maria ci permette di progredire oltre nell’intelligenza del mistero di Cristo. Dando i natali al Messia, Maria non si è limitata a dargli un corpo; ella è stata sua madre in tutta la pienezza del termine. Ciò vuol dire che il Figlio di Dio si è inserito nell’itinerario spirituale di Israele come uno che doveva anzitutto essere modellato da una tradizione vivente; da sua madre Gesù ha ricevuto i tesori di fede accumulati da generazioni di credenti in Israele ed è stato lungamente educato nella fede dei suoi padri.
Di più, la maternità di Maria comporta qualche cosa di unico, in ragione della sua stessa Concezione Immacolata. Essendo senza peccato, Maria ha vissuto in una religione dell’Attesa la povertà spirituale che sarebbe stata quella di suo Figlio nella religione del Compimento. Dando a Gesù quanto di meglio ella aveva in sé, Maria ha realmente preparato Gesù ad entrare nella via dell’obbedienza fino alla morte di croce.
Dio manifesta nell’Incarnazione di suo Figlio un infinito rispetto dell’umanità e della sua ricerca spirituale: al livello della sua umanità Gesù ha ricevuto tutto da Maria, a parte quel dono di vita eterna che egli vi incarna perché è il Figlio eterno del Padre. Questo ci rivela il dogma dell’Immacolata Concezione: fino a questo livello di profondità il Salvatore ha sposato la ricerca spirituale dell’umanità!

Il ruolo materno di Maria e la Chiesa
La maternità di Maria immacolata ci aiuta pure ad approfondire il mistero della Chiesa, di cui Maria è la prima credente. Quantunque eccezionale, la fede di Maria ottiene il suo valore salvifico soltanto da Cristo; lo stesso si dica della fede della Chiesa. Ma, di riscontro, la qualità stessa della fede di Maria rivela a che punto Dio chiami l’uomo a contribuire alla realizzazione del suo disegno di salvezza; la fede della Chiesa ha questo stesso significato. La Chiesa è il Corpo di Cristo, ma ne è pure la Sposa, colei che collabora e reca il suo contributo unico ed insostituibile alla costruzione della salvezza.
Per salvaguardare l’assoluta trascendenza dell’essere e dell’agire di Cristo, si può essere tentati di considerare la Chiesa soltanto come la «zona di espansione» del Risuscitato, di non vedere in essa che lo strumento di cui si serve Cristo glorioso. La maternità di Maria non ce lo permette. La Chiesa è il Corpo di Cristo, ma questo corpo prende la sua «materia» dagli uomini concreti che lo compongono. Come Maria ha generato il corpo del Figlio di Dio, la Chiesa non cessa, lungo il corso della storia, di generare il Corpo di Cristo.

Il mistero di Maria e l’«Avvento» dell’Umanità
La Tradizione ha evocato spesso il ruolo di Maria in quelle che vengono dette le «preparazioni provvidenziali» alla salvezza di Cristo. Immersa nella storia della salvezza d’Israele, ella ha detto l’ultima parola di una religione dell’Attesa; ella ha portato al suo punto estremo la ricerca spirituale del suo popolo. Avendolo percorso ella stessa, conosce meglio di chiunque altro l’itinerario da seguire per andare incontro al dono di Dio. Quando diventa la madre del Figlio di Dio ella misura quanto sia stretto il legame tra la religione dell’Attesa e quella del Compimento. Quando il Figlio di Dio s’incarna, tutto è nuovo: la storia della salvezza può cominciare; quella precedente era stata soltanto preistoria della salvezza. Tra la preistoria e la storia della salvezza la continuità è indissolubile.
Il ruolo unico che Maria ha avuto nella storia d’Israele lo continua segretamente durante tutta la storia della salvezza. Un lungo Avvento è necessario, perché il mistero di Cristo si incarni nell’itinerario spirituale di un popolo o di una cultura. Il mistero di Cristo, infatti, a poco a poco prende forma nella materia stessa di questo itinerario spirituale. Maria è presente in questa lenta maturazione. Ella possiede il segreto dell’Avvento che conduce ad accogliere il Signore; ella presagisce le vie per le quali passano le nuove generazioni del Verbo e, grazie alla comunione dei santi, svolge un ruolo determinante perché tali vie siano di fatto accettate dalle Nazioni.
La contemplazione del mistero di Maria è un’esigenza di tutta la spiritualità missionaria. La Vergine Maria ha preceduto il missionario.

La celebrazione eucaristica e la storia della salvezza
La festa dell’Immacolata Concezione è al suo posto nel tempo liturgico dell’Avvento. La sua celebrazione può permettere ai cristiani radunati di approfondire dei dati essenziali della partecipazione all’Eucaristia.
L’Eucaristia è un atto di Cristo; non avrebbe alcun valore senza di lui. Ma è pure l’atto di una comunità; e, in questo caso, essa ha il volto di coloro che si sono radunati. Non si viene all’Eucaristia soltanto per ricevere; ciascuno è invitato a recare la sua parte alla realizzazione di questo atto principale della storia della salvezza. Ciò che abbiamo detto del mistero della Chiesa, alla luce del mistero di Maria, vale in modo particolare per l’evento eucaristico. I «sì» che vi sono pronunciati impegnano il volto concreto della Chiesa e perciò il destino dell’umanità. I cristiani dovrebbero avere una coscienza acuta di ciò che avviene quando si radunano per l’Eucaristia. Partecipare del Pane e della Parola arreca oggettivamente il più intimo legame con Cristo vivo; per cui il «sì» pronunciato in questa partecipazione è quello che impegna più profondamente i membri del Corpo di Cristo.
Del resto, non si viene soli all’Eucaristia. Si viene carichi di una rappresentanza: quella delle comunità naturali cui si appartiene, quella di un popolo e di un mondo culturale. Si viene perciò portatori di un Avvento collettivo, di tutto ciò che costituisce la ricerca di queste comunità, di questo popolo, di questo mondo. Affinché la generazione di Cristo continui «fino a che egli ritorni»!


(tratto da: M. Gobbin, Omelie per un anno – vol. 1, anno A, tempi forti – Elledici 2003)