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3. Annunciare la Parola – 18 luglio 2021

18 luglio

16ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Venite qui in disparte e riposate

PER RIFLETTERE E MEDITARE

Gesù è un «buon pastore» e così ha voluto i suoi apostoli, che ha inviato a predicare e che ora esorta a riposare e a riflettere sulla loro esperienza. Gesù li accoglie con gioia: quella loro prima impresa è stato un piccolo trionfo, ora hanno bisogno di vivere in intimità con lui, per comprendere appieno il significato di ciò che hanno vissuto.

 Gesù, buon pastore
Gesù conduce gli apostoli in disparte, per stare con lui e riposare. Hanno predicato, hanno camminato, è stata un’esperienza impegnativa e faticosa, anche se entusiasmante. Adesso è bello riposare, e la solitudine li aiuterà a ricuperare se stessi, a valutare con maggior equilibrio la loro esperienza. Attraversano il lago in barca, ma giunti di là ecco di nuovo una grande folla che li ha preceduti e li circonda. Gesù con la sua predicazione e i miracoli ha accesso in loro tanta speranza, come può lasciarli proprio ora? Infatti non si scompone, non pensa: «Non si può stare tranquilli nemmeno mezz’ora!», ma prova compassione per quella gente. La parola compassione è resa in greco con esplagchnisthē ed è parola usata per la sede delle emozioni e anche per il cuore: significa che Gesù è rimasto personalmente preso nell’animo. Quella gente è alla ricerca di una guida, di un punto di riferimento. Sono come pecore che non hanno pastore, oppressi dalla dipendenza dai Romani e dal giogo della legge.
Sono nelle mani di pastori che, secondo la parola di Geremia, fanno perire e disperdono il gregge, scacciano le pecore e non se ne preoccupano.
Gesù anche questa volta si rimette a predicare e parla loro di Dio come di un Padre, di amore e di perdono, della sua bontà che provvede a ciascuno di noi. Dice che ai suoi occhi siamo più importanti degli uccelli del cielo e dei fiori dei campi. Le sue parole non invitano alla ribellione o alla protesta, ma prese sul serio risultano rivoluzionarie, liberano il corpo e lo spirito.

Pecore senza pastore
Nella prima lettura, Dio per bocca di Geremia rimprovera i cattivi pastori, i re d’Israele. Parole che oggi vanno rivolte a chi è in posizione di comando nella società civile o religiosa. Un invito impegnativo e concretissimo: quello di radunare, accogliere, occuparsi del popolo a loro affidato.
In ogni tempo è forte il bisogno di poter contare su un’autorità sociale, religiosa, morale che si imponga per la propria dedizione verso il “gregge”, di qualcuno che come Gesù veda, si commuova e intervenga. Mentre è così frequente l’accusa che chi esercita il potere lo fa più per affermare e arricchire se stesso che per ben governare. Fino a trasformarsi in una gonfia e intoccabile “casta”.
Ma a pensarci bene, è una questione che ci riguarda un po’ tutti, perché ognuno di noi ha rapporti più o meno di superiorità e di dipendenza con altri. E nello stesso tempo viviamo anche noi l’esperienza di sentirci «come pecore senza pastore», bisognosi di maestri di vita, di guide che ci aiutino a vivere meglio il nostro quotidiano. 

Venite in disparte e riposatevi un po’
Viviamo i nostri giorni con l’assillo delle cose da fare, con l’agenda e il cellulare sempre tra mano. Ma è un nostro diritto sentire il desiderio di fermarci, di fare un po’ di deserto. «Trovati un posticino adatto», diceva già san Girolamo, «un po’ lontano dal rumore, dove tu possa raccoglierti come in un porto, dopo tutto il trambusto degli affari domestici». La fatica dell’uomo ha i suoi ritmi e la sua misura. Un corpo che venga sistematicamente sfruttato si ribella e cessa di essere utile. «Bisogna avere l’umiltà di concedersi degli spazi di riposo», ha detto Benedetto XVI. Il sospendere l’attività di ogni giorno ci aiuta a rifarci gli occhi, a ricuperare il gusto delle cose semplici, dei gesti più genuini, ci fa trovare II coraggio di liberarci da certe schiavitù inutili.
Il tempo del riposo, la domenica, la vacanza, le cosiddette ferie, non sono una parentesi della vita. «Il riposo ci fa ammirare l’opera di Dio in noi e ci conduce all’adorazione, come faceva Gesù nelle notti di preghiera. Anche le vacanze sono un tempo di silenzio in cui la mente, più libera, impara a osservare più a lungo le tracce del Creatore» (Chistian De Chergé).
Lo staccarci dalle cose ci fa riconoscere il valore relativo della nostra presenza, ridimensiona la portata di ciò che facciamo. Spesso viviamo nella insoddisfazione o nell’affanno per ciò che non riusciamo a realizzare. Il riposo ci fa capire che è più importante preoccuparci della qualità delle nostre azioni che non del numero delle iniziative che riusciamo a mandare avanti.
Chi ha fede, trova nel riposo anche la possibilità di rinnovare il rapporto con Dio attraverso una preghiera più sentita. Ancora san Girolamo diceva: «Nel riposo applicarti a riflettere sulla divina scrittura, prega frequentemente a vari intervalli, pensa alle realtà future». In questo senso il riposo diventa un momento di ricarica capace di infondere un’anima nuova all’impegno quotidiano.

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

«Gesù ci appare, in questo vangelo, come un vescovo ideale che si intrattiene volentieri e a lungo in disparte con il suo clero, senza, tuttavia, dimenticare un istante solo il resto del suo gregge, ma anzi pronto a lasciare tutto per correre incontro ad esso. Così facendo, Gesù non abbandona il popolo per coltivare una élite; non si stacca dalle masse; solo provvede a loro in modo diverso; vede al futuro del Regno. Oggi diremmo: si preoccupa dell’avvenire della chiesa. È dunque squisitamente pastore anche qui» (Raniero Cantalamessa).