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3. Commento alle Letture – 22ª DOMENICA T.O.

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22ª DOMENICA T.O.
L’UMILTÀ, PRINCIPIO
DI CONVERSIONE E DI SPERANZA

Per comprendere il significato dei detti di Gesù è necessario partire dal monito del vangelo di domenica scorsa, dove egli esortava a «entrare per la porta stretta» (Lc 13,24). Per il discepolo è necessario plasmare la propria vita secondo la vita di Gesù. Questa è la conversione che, concretamente, avviene quando il Regno diventa il centro del proprio sistema di valori; quando in base ad esso si stabiliscono le proprie priorità esistenziali, rendendo in tal mondo i valori del Regno determinanti nel proprio desiderare, deliberare ed agire.

Invitati per grazia al banchetto del Regno
Il vangelo di questa domenica è un discorso di Gesù tenuto durante un pranzo. L’immagine del banchetto è, sia nell’Antico Testamento sia nel Nuovo, una delle più consuete per parlare del Regno. L’occasione del banchetto, cioè, offre lo spunto per una catechesi sulla conversione dai modelli di comportamento umani a quelli che s’ispirano al Regno.
Gesù osserva gli invitati e «come sceglievano i primi posti» (Lc 14,7). Qui si inquadra l’insegnamento sulla ricerca dell’ultimo posto. Al banchetto del Regno si è invitati per la grazia e per la misericordia di Dio, non come risultato del proprio mettersi in mostra davanti a Dio o agli uomini. Il principio è «chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,11). Il Regno è dono gratuito che resiste sia agli orgogliosi che ai presuntuosi che agli istrioni. L’ingresso al Regno è riservato a coloro che plasmano la loro vita secondo la vita di Cristo. Ed è stato proprio Gesù, nascendo in umiltà e povertà, in una mangiatoia e fra i pastori, a scegliere questo posto fra gli ultimi come inizio di reiterate scelte di vita, fino a essere crocifisso fra due malfattori. La scelta dell’ultimo posto, per Gesù, è stata programmatica.

Scegliere i prediletti dal Signore
Il secondo gruppo d’insegnamenti riguarda i criteri con cui invitare gli ospiti alla propria mensa. Gesù anche in questo caso ribalta la prospettiva. Non s’invitano i propri amici, parenti, ricchi vicini «perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio» (Lc 14,12). Piuttosto bisogna invitare chi non può contraccambiare: «poveri, storpi, zoppi, ciechi» (Lc 14,13). L’elenco non è casuale, nella logica del Regno. Erano le categorie degli esclusi dalla vita cultuale di Israele. Ma ancor più erano i prediletti da Gesù, quegli ultimi ed esclusi, emarginati e bisognosi a cui rivolgeva il proprio ministero messianico di speranza (cf Lc 4,18-19). Anche in questo caso la forma Christi è il riferimento della vita del discepolo.
Chi si attiene a questi principi è raggiunto da una nuova beatitudine (cf Lc 14,14). È una beatitudine che si realizza già nell’oggi, perché è oggi profezia e anticipo del Regno di Dio; ed è una beatitudine che si compie alla fine dei tempi.

L’umiltà di Cristo e del cristiano
Il modello di questo ribaltamento di criteri esistenziali e operativi è Gesù. In ciò consiste l’umiltà di Cristo, paradigma dell’umiltà cristiana.
Come insegna il libro del Siracide, l’umiltà è principio della sapienza (cf Sir 3,19-20). È sapienza perché è conoscenza realistica di sé davanti a Dio. In questo senso è certamente una ferita mortale inferta al proprio narcisismo. Ma è anche, per converso, la sola occasione di speranza.
Chi è cosciente di sé dinnanzi agli occhi di Dio è cosciente del proprio limite e del proprio peccato. Ma lo vede con gli occhi di Dio, che non teme il peccato dell’uomo e offre la sua grazia. Chi conosce il proprio peccato e lo riconosce umilmente davanti a Dio viene perdonato.
L’umiltà, conoscenza di sé e del proprio limite, colloca nella giusta relazione con Dio e consente di sentirsi amati da lui. E chi si sente amato da Dio si pone nella giusta relazione con i propri fratelli. Si rende amabile agli altri ed è capace di amare. Tutti feriti dal peccato, dunque, tutti bisognosi della stessa misericordia. Ciascuno bisognoso del perdono e dell’amore fraterno.
L’umiltà, dunque, ponendoci di fronte a Gesù come riferimento, è principio della conversione. Per questo è anche principio di speranza. Perché nessuno si può auto-giustificare, ma nella conversione e nella grazia troviamo giustificazione e perdono.