21 SETTEMBRE
25ª DOMENICA T.O.
AMMINISTRARE I BENI DI DIO
COMMENTO
La parabola proposta alla nostra riflessione, un po’ sorprendente e fantasiosa, la troviamo solo nel Vangelo di Luca. Dobbiamo ammettere che ci sorprende e spiazza. In essa Gesù sembra sbarellare.
Che senso ha lodare il comportamento di un amministratore disonesto? Il Signore è una persona concreta con i piedi per terra. Sa benissimo che “chi amministra, minestra”. I polpastrelli umani sono appiccicosi e, a volte, a contatto con i soldi diventano colla.
È quello che succede all’amministratore principale attore del brano evangelico. La sua avidità è tale che anche l’anonimo uomo ricco se ne accorge, lo convoca e lo licenzia. Nel Vangelo di Luca l’espressione “uomo ricco” ricorre solo tre volte ed ha sempre un significato negativo. La prima volta la troviamo nella parabola del ricco che tronfio per l’abbondanza dei suoi raccolti se la vuole egoisticamente spassare per il resto dei suoi giorni dimenticandosi che la morte non si dimentica di lui. La seconda volta laincontriamo nella parabola del ricco che non si accorge della fame del povero Lazzaro. La terza volta viene proposta nel brano odierno.
Per il Maestro la ricchezza finalizzata all’egoismo e al benessere individuale è sempre un male. Si trasforma in bene quando viene usata per il benessere proprio senza dimenticarsi degli altri. Questo lo sanno sia il ricco che il suo amministratore. È per questo che il padrone ammira la furbizia del suo dipendente infedele che si ravvede e non gli importa che questo avvenga contro i suoi propri interessi.
Dio non si arrabbia quando rubiamo del suo per fare del bene al prossimo. Neppure gli importa l’ammontare di quanto viene sottratto. Cento barili d’olio corrispondono alla spremitura delle olive di 146 alberi d’olivo; cento misure di frumento valevano 2500 denari (un denaro era la paga giornaliera di un operaio di allora).
Il ricco disonesto loda la disonestà dell’amministratore anche a costo di rimetterci del suo. È la regola degli affari anche oggi: se non sei onesto almeno sii furbo.
Tutto è lecito pur di salvarsi la faccia.
A questo punto cala come una mannaia il serio insegnamento del Messia; chi vuole essere cristiano non può servite due padroni. Deve scegliere fra Dio e Mammona.
Dio significa solidarietà, Mammona vuol dire ricchezza, accumulo egoistico, sfruttamento.
Nel versetto evangelico successivo, non riportato nel brano odierno, Luca scrive : “I farisei, che sono amanti del denaro, ascoltavano tutto questo e si facevano beffe di Lui”(Lc 16,14).
Per loro cantare i salmi nel Tempio e poi infierire sui poveri fuori andava benissimo. Il denaro non puzza, quindi tutto è lecito e non turba la coscienza.
Noi quale padrone seguiamo? Chiediamocelo nel silenzio della nostra coscienza, luogo sacro dove non possiamo barare.
MEDITAZIONE
Nella lettera a Timoteo san Paolo afferma che «[Dio] vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4) e che la realizzazione della sua volontà avviene per mezzo del Figlio, «il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,5). Al realizzarsi della salvezza, però, non è indifferente la libera scelta dell’uomo. Perché, anche se Dio desidera che ogni uomo si salvi, egli non vuole violare la sua libertà.
Nessuno è costretto alla salvezza. Per questo è necessaria la libera scelta di aderire e corrispondere alla volontà di Dio. Nel momento in cui si sceglie di aprirsi alla salvezza diventa necessità interiore approntare gli strumenti: identificare le priorità della propria vita e disporle in ordine d’importanza in relazione al fine che si desidera. È necessario, inoltre, individuare i mezzi più opportuni per vivere quelle priorità, siano esse valori o tappe del percorso spirituale.
L’esemplarità dell’amministratore disonesto
Questo procedimento richiede degli atteggiamenti che consentono di perseguire più sicuramente il fine. Ed è quanto Gesù loda nell’amministratore disonesto, che rimane disonesto, e l’aggettivo stesso lo giudica, ma, in ordine all’obiettivo che persegue, mostra una serie di caratteristiche che, queste sì, possono essere esemplari per chi cerca la salvezza.
Egli, infatti, comprendendo che la situazione per lui si è fatta critica, agisce con rapidità; con prudenza, secondo la definizione classica di adeguamento dei mezzi al conseguimento di un fine; con decisione e scaltrezza. C’è una certa grandezza umana in quest’uomo, ovviamente tralasciando il fine. Chi si dedica a fini migliori, qual è la salvezza della propria e dell’altrui anima, è capace di altrettanta grandezza?
Anche dall’aspetto negativo di quest’uomo si può imparare. Egli è un amministratore, cioè uno che gestisce beni che appartengono a un altro, il vero proprietario. Egli deve rendere conto della sua amministrazione, perché teoricamente, cioè non nel suo caso, il suo lavoro consiste nel ben amministrare i beni del vero proprietario e infine consegnarglieli.
L’amministratore è il prototipo di ogni uomo. Il mondo, in tutta la sua interezza, è affidato all’uomo perché ne abbia cura. Delle cose del mondo gli uomini non sono padroni, bensì amministratori. L’uso di quanto è stato loro affidato può essere d’aiuto o di ostacolo alla loro salvezza.
Le realtà del mondo, infatti, di per sé neutre, possono rivelarsi vischiose se vissute senza la necessaria sapienza. Se vissute in modo insipiente possono diventare addirittura occasione di perdizione e di condanna.
La denuncia del profeta Amos
Così accadeva ai tempi del profeta Amos. Il Regno del nord si stava stabilizzando e si prospettava una certa abbondanza economica. Nulla di malvagio in sé. Il positivo, però, era accompagnato dalla deriva inaccettabile della sopraffazione del povero e dello sgretolamento morale e religioso degli israeliti. In questo contesto si colloca la predicazione del profeta. Egli accusa i suoi connazionali (cf Am 8,4); smaschera la loro insofferenza per i precetti religiosi, vissuti come impedimento a perpetrare le loro lucrose e disoneste attività; infine annuncia il severo monito di Dio (cf Am 8,7).
Sottotraccia, nel discorso di Amos, c’è la preoccupazione tipica dei profeti per la rottura del rapporto di reciprocità fra religione e relazioni umane, personali e sociali. Una reciprocità che non significa sovrapposizione o sostituzione, bensì continuità, dove l’agire concreto è motivato ed è manifestazione della fedeltà a Dio. Infrangere questa reciprocità porta a una religiosità vissuta come pura forma, accompagnata dalla malvagità nelle relazioni personali e sociali.
La fedeltà premiata
Il richiamo all’onestà, alla difesa del povero, al lecito guadagno è per il credente l’esito richiesto e necessario perché la fede non sia pura apparenza. Per poco o per molto tutti siamo amministratori. È una buona pedagogia alla responsabilità, dunque, quella del Vangelo: «Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti» (Lc 16,10).
