Si riporta la recensione pubblicata sul settimanale Gazzetta d’Asti del 21 giugno 2019 dedicata al libro di Vittorio Croce Allora Dio sarà tutto in tutti.
In seconda edizione con la ElleDiCi il libro di don Croce sull’escatologia o realtà ultima “Allora Dio sarà tutto in tutti": la prospettiva della speranza L’atteggiamento dominante nei confronti del futuro oltre la morte sembra essere oggi quello del silenzio. Un silenzio artificioso, però, perché la domanda si pone a forza di fronte all’evento sempre incombente della morte. Un silenzio perlopiù sovrastato dal logorroico discorso sulle cause di quella tale morte e sulle presunte responsabilità di questo o di quello. Dopo le doverose onoranze funebri si torna rapidamente all’ordinario, al pensiero circa il lavoro, la famiglia, la politica, lo sport, la malattia, il vestito, la dieta, soprattutto i soldi. Sul dopo torna a permanere il silenzio. Non messo in crisi perlopiù neanche dalla riflessione proposta dalla liturgia funebre, doverosa ma ininfluente. La vita va avanti. Deve andare avanti. Ma in quale direzione e con quale prospettiva? Per quella presente domina, nell’età attiva, la volontà di programmazione. Volontà che permane anche nell’età della pensione, per tenersi vivi a tutti i costi. La speranza riguarda soltanto la salute, fisica e mentale, col conseguente impegno alimentare, medico e ginnico. Per il resto rimane la rassegnazione, sia nei confronti del distacco dal defunto sia della propria situazione personale. Ma per il sincero credente in Uristo la prospettiva passa, sull’aldilà della morte, alla considerazione del giudizio di Dio e alla conseguente triplice possibilità di esito personale: paradiso, inferno o purgatorio. Nella normale supposizione secondo cui “l’inferno è solo per i supposizione peccatori" e il paradiso solamente per i santi , l’idea comune veleggia verso il purgatorio e quindi verso il dovere della preghiera di suffragio per il defunto e dell’impegno personale nelle opere buone per “salvarsi l’anima“. Il messaggio cristiano circa il futuro dopo la morte chiede di risuonare incisivo per chi copre col silenzio forzato il pensiero sul senso della vita e di echeggiare più chiaro per chi è aperto al discorso della fede in Cristo risorto. Compito della teologia è di lavorare nell’una e nell’altra direzione, studiando il messaggio biblico perché risulti anche oggi incisivo e illuminante. Impegno tutt’altro che facile, perché si tratta di capire e interpretare un linguaggio molto spesso cifrato, addirittura ermetico, sempre comunque puntato a parlare di realtà che non hanno riferimento a un’esperienza data come descrivibile e raccontabile. Il futuro è ignoto per definizione, proprio perché futuro. Ma il credente in Cristo è convinto, con buone ragioni, di trovare in lui un fascio di luce che indica una meta e il cammino di avvicinamento, partendo dall’evento della sua risurrezione. Una luce più che sufficiente a far sperare nella vita, una vita vera più che mai, oltre la morte. Una vita però talmente nuova che non può essere descritta se non allusivamente mediante parole e simboli desunti dalla Scrittura tutta intera nel suo cammino di ascolto e ricerca culminante nella vicenda di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio fattosi nostro fratello per accompagnarci fino alle soglie della morte e annullandone il pungiglione. Il trattato di escatologia, che raccoglie l’eredità del preconciliare De novissímis (Sulle ultime realtà), si presenta apparentemente meno determinato rispetto a quello, più sobrio e meno “informato". Ma è certamente più radicato nel linguaggio biblico, ricco di narrazioni e di simboli che suggeriscono più che definire, indicano più che delineare, lasciando aperta la porta alla novità dell’ultimo evento, la manifestazione di Gesù. Cristo come Pantocratore, signore e giudice della storia. Sempre nell’intento di alimentare la virtù o meglio il dono della speranza, quella biblicamente rappresentata con l’àncora in mano, un’ancora che aggancia però in alto, all’angolo del tempio del cielo dove Cristo risorto è stato accolto dal Padre, con il compito di preparare un posto anche per ciascuno di noi. Notando subito, come esempio delle deviazioni possibili in questa delicata materia che non si tratterà di tornare alla casa del Padre, perché nessuno di noi ci è mai ancora stato. Solo Gesù ci ritorna, perché ne è disceso per la nostra illuminazione e salvezza. Questo libro di don Vittorio Croce, che costituisce la seconda edizione rispetto a quello pubblicato nel 1998, intende mettere in campo le possibili risposte, almeno quelle dimostrate come più accettabili, ai pesanti interrogativi sul futuro ultrastorico dell’umanità e di ogni persona umana nella forma dell’illustrazione possibile del messaggio che viene dal Nuovo Testamento. Ciò almeno nello sforzo di stilare con la maggiore chiarezza possibile lo status quaestionis alla luce delle attuali ricerche teologiche con relativi anche vivaci dibattiti. Un riesame complessivo della situazione teologica, che non dà conto di ogni dibattito in dettaglio, ma cerca di cogliere l’essenziale delle risposte, molte volte in forma congetturale, come è normale che sia in una materia così sfuggente. Il panorama spazia dalla visione biblica e teologica della virtù della speranza per fondare poi il discorso sul messaggio centrale del Nuovo Testamento, quello della manifestazione finale di Cristo come Signore e giudice, passando a illustrarne la ricaduta sulla decisione umana circa il senso della propria vita, tra riuscita piena (paradiso) e fallimento radicale (inferno), e quindi esaminare la dimensione comunitaria del futuro che è già presente (comunione dei santi) e la realtà ultramondana di angeli e demoni con il loro influsso sugli umani. “Non c’è questione – afferma don Croce, docente di teologia per oltre 40 anni- che non sia affrontata in riferimento all’interpretazione biblica nella forma più completa, come alla lettura patristica in forma più essenziale, cosi come per quanto riguarda gli interventi magisteriali del passato e pure quelli recenti. Su questi ultimi, tutti sostanzialmente di ispirazione ratzingeriana, mi sono permesso anche qualche osservazione critica non trattandosi di dichiarazioni dogmatiche vere e proprie. Vorrei tanto che questa pubblicazione, che credo rigorosamente professionale ma insieme abbordabile da molti, non lasci stagnare il dibattito teologico. E non solo per interesse accademico. Ne va di mezzo la corretteza della fede e la serietà della vita di fronte alla morte e al giudizio che con essa incombe sul futuro personale e sociale". Don Vittorio Croce ha al suo attivo molti libri di teologia, oltre a pubblicazioni di storia locale e personaggi astigiani come il cardinal Massaja. Gli ultimi con la ELLEDICI: Trattato sul Dio cristiano. Dall’esperienza del sacro alla rivelazione della Trinità (2004), Gesù il Figlio e il mistero della croce. Cristologia e soteriologia (2010), Il principio carità e il divino umanesimo di Gesù (2016), Il sacramento della nuova alleanza. L’Eucaristia fonte e culmine della liturgia e della vita cristiana (2015).
Allora Dio sarà tutto in tutti
Escatologia cristiana
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Recensione del libro I giovani di Benedetto a cura di Matteo Liut
I giovani di Benedetto
Una rilettura del pensiero di Ratzinger e il mondo giovanile
Riportiamo qui la recensione pubblicata sul quotidiano nazionale italiano AVVENIRE del 12 giugno 2019 a cura di Matteo Liut, dedicata al libro I giovani di Benedetto.
C'è una speranza sulla nostra via
Fede, gioia, vocazione: quattro guide autorevoli per i giovani si confrontano con i grandi temi dell'educazione alla vita cristiana. In un libro i loro appunti sugli insegnamenti di papa Benedetto alle nuove generazioni.
Matteo Liut
Come fili sottili partiti da lontano e poi intrecciatisi a disvelare una tela complessa ma organica, testimonianza dei tempi attuali: così si mostrano i temi della pastorale giovanile nel libro I giovani di Benedetto. Una rilettura del pensiero di Ratzinger sul mondo giovanile (Elledici, 88 pagine; 6.90 euro). Si tratta di un volumetto pubblicato da poco, che si propone come omaggio a Benedetto XVI e che rintraccia le radici delle attuali sfide della pastorale giovanile, emerse in modo organico al Sinodo dell'ottobre scorso.
A guidare il lettore in questa ricerca sono sei voci autorevoli. La prefazione del libro, curato da don Giacomo Ruggeri, è di padre Federico Lombardi, già direttore della Sala stampa vaticana e presidente della Fondazione Ratzinger. Seguono poi gli interventi dei responsabili del Servizio nazionale per la pastorale giovanile che si sono succeduti nel tempo (riportiamo alcuni stralci delle loro riflessioni in questa pagina):
- Domenico Sigalini, vescovo emerito di Palestrina, sul tema «Riscoprite la vostra vocazione nella società»;
- Paolo Giulietti, ideatore del libro, arcivescovo di Lucca, sul tema «La fede non è un'idea ma una vita»;
- Nicolò Anselmi, vescovo ausiliare di Genova, sul tema «Seguire Gesù è camminare nella comunione della Chiesa»;
- Michele Falabretti, attuale responsabile del Servizio, sul tema «La verità è dialogica perché cerca il meglio».
La ricerca della verità, percorso quotidiano faticoso e affascinante
Michele Falabretti
Papa Benedetto XVI non ha mai fatto un suo discorso senza accennare al tema della verità: c'è voluto del coraggio (o della convinzione) per farlo in un contesto culturale come questo, per ché anche chi si trova sotto al casco della parrucchiera vuole poter dire ciò che pensa. Purtroppo, sempre più spesso, si è scambiatala libertà con la sensazione che basta aprire la bocca per poter toccare la verità. E sembrato, nei suoi discorsi ai giovani, che questo fosse ben presente nella mente del Papa… La sera della veglia della Gmg di Sydney (2008) ero sulla spianata con i giovani della mia diocesi. Il tema non era dei più semplici: lo Spirito Santo… Benedetto iniziò a raccontare di come sant'Agostino spiega l'azione dello Spirito Santo. Da buoni italiani, facevamo fatica a seguire il discorso in inglese; ma quello che mi sorprese fu a un certo punto notare la concentrazione dei ragazzi che con stupore si scambiavano qualche occhiata ed erano sempre più concentrati sulle parole pronunciate dal Papa… Fece davvero impressione vedere come si potesse parlare di sant'Agostino a dei giovani, seduti sul loro sacco a pelo, in un ippodromo dall'altra parte del mondo, con delle cuffie infilate nelle orecchie nel tentativo di seguire il filo del discorso. La traduzione simultanea procedeva con il tono freddo e piatto di chi sembrava stesse leggendo l'elenco del telefono. Ma il cuore dei giovani si scaldava: laggiù era una sera d'inverno; a caratteri cubitali i giornali locali (molto diffidenti nei giorni precedenti) titolarono la mattina seguente: «Holy Night». Non fu il professore di teologia, a parlare quella sera. Era un Papa che stava dimostrando come la ricerca della verità fosse un percorso di vita faticoso, ma affascinante. Era il Papa che stava offrendo ai suoi giovani uno squarcio della propria biografia, proponendo tutto il valore di una ricerca intellettuale che sa trasformarsi in una decisione di vita, nel gioco della propria libertà. direttore del Servizio nazionale per la pastorale giovanile
Un messaggio chiaro Gesù come amico ma amando la Chiesa
Nicolò Anselmi
Rileggendo la grande quantità di discorsi, omelie, messaggi che Benedetto XVI, durante il suo Pontificato, ha rivolto ai giovani sembra quasi emergere un'ecclesiologia precisa; Benedetto XVI sembra voler proporre alle giovani generazioni un'idea molto chiara: la Chiesa e Gesù non sono fra loro separabili… Ai giovani Benedetto XVI chiede di amare Gesù e di amare la Chiesa. Questa proposta nasce ovviamente dalle certezze teologiche del Santo Padre ma anche da alcune convinzioni pastorali che il Papa certamente possiede: giovani e adulti dicono di essere credenti, si professano incamminati sulla strada di Gesù ma in nessun modo manifestano una disponibilità a collaborare nei fatti alla vita della comunità cristiana. Molti giovani credenti vedono in Gesù una figura di riferimento e s'impegnano in azioni di servizio e volontariato, ma faticano a partecipare alla vita della parrocchia, all'Eucaristia domenicale, agli incontri con il vescovo e, in alcuni casi, si dimostrano critici verso l'insegnamento del magistero riguardo a certi temi. Benedetto XVI chiede ai giovani di amare la Chiesa per amare Gesù…
Li invita ripetutamente a essere protagonisti della missione della Chiesa, li sprona a donare la fede, fonte di gioia, anche a chi l'ha smarrita o non l'ha mai avuta… Nei suoi discorsi ai giovani, Benedetto XVI li invita a essere protagonisti nella vita della Chiesa… La Chiesa è per i giovani una seconda famiglia, una famiglia spirituale che, come tutte le famiglie, accompagna la crescita dei suoi figli… Per la grandissima parte dei giovani la famiglia è il riferimento fondamentale della loro vita. In famiglia si vive quell'amore di cui ogni persona ha un bisogno insostituibile. In famiglia si celebrano i compleanni, si ama chi è malato, si aiuta chi è in difficoltà, si ascoltano e si risolvono i problemi, si prega per i nonni, si pranza, si fatica, si gioisce e si soffre insieme, si celebrano i matrimoni, le nascite, le promozioni e le lauree, ci si parla e ci si vuole bene. vescovo ausiliare di Genova.
La sfida di coltivare la relazione con Dio
Paolo Giuletti
In profonda continuità con il magistero di san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ha costruito il suo dialogo con i giovani attorno a un nucleo fondamentale: l'avvenimento di Cristo sperimentabile attualmente nella Chiesa… In più di un passaggio, Benedetto XVI mostra di avere ben presente da una parte il rischio di ridurre il cristianesimo a una morale o a un'ideologia, dall'altra la profonda ricerca di verità e di felicità che anima il mondo giovanile… Afferma quindi ripetutamente che il cristianesimo è Cristo, cioè una persona vivente con la quale entrare in relazione: è in lui che si schiude la verità su Dio, sull'uomo e sulla realtà; è in lui che diventa possibile creare un mondo nuovo, con la forza rivoluzionaria dell'amore; è in lui che trovano risposta le domande e le attese del cuore dei giovani…
La cristologia che Benedetto XVI offre alle nuove generazioni fa ampio uso della categoria della relazione. In Cristo, infatti, è Dio che si fa vicino all'uomo… Il conformarsi a Cristo è l'originale vocazione di ogni giovane cristiano… Ma qual è il “luogo” in cui oggi Cristo dà appuntamento ai giovani per poterli incontrare? Papa Benedetto ribadisce che tale opportunità si dà nella Chiesa, che egli descrive ai giovani come una comunità, una famiglia, una compagnia, una madre…
Benedetto XVI non manca di invitare i giovani a rinnovare la Chiesa, rendendosi protagonisti della sua vita e della sua missione. Riconosce la grazia della giovinezza come dono per la comunità ecclesiale, che ha necessità dell'entusiasmo, delle energie e delle intuizioni delle nuove generazioni. Esse rappresentano non solo il futuro, ma il presente della comunità cristiana; a loro infatti è dato di poter contribuire alla comprensione crescente della fede, alla vitalità delle proprie realtà ecclesiali e soprattutto all'annuncio del Vangelo presso i coetanei…
Nei discorsi rivolti da Papa Ratzinger ai giovani si apprezza l'arte del maestro, capace di dire cose difficili in maniera semplice, trovando le parole giuste per l'uditorio che si trova dinanzi. arcivescovo di Lucca.
Tutta la, pastorale dev'essere «vocazionale»
Domenico Sigalini
La parola vocazione è da sdoganare da un ecclesialese, che j la riferisce quasi sempre alla proposta di diventare prete o suora… Lo sguardo di papa Benedetto si porta molto sulla vita della persona, uomo o donna, giovane o ragazza, intesa proprio come risposta generosa a una chiamata del Signore…
Potremmo dire che non c'è pastorale giovanile, formazione cristiana, educazione alla fede, sviluppo di ruoli e di impegni per i giovani, se non c'è un punto di partenza obbligatorio o un riferimento essenziale che è la chiamata di Gesù a ciascuno di noi. Ogni pastorale o è vocazionale o non lo è affatto. Papa Benedetto ritiene che gli attori principali della nostra esistenza non sono le nostre velleità o i nostri gusti indotti, oppure le elucubrazioni intellettuali, ma una esplicita chiamata personale di Gesù… La vocazione cristiana scaturisce da una proposta d'amore del Signore e può realizzarsi solo grazie a una risposta d'amore…
Se vuoi trovare una strada che è proprio la tua devi saper ascoltare; Dio ha collocato negli altri, nel mondo, nel sussurro dell'umanità la sua chiamata e devi tendere l'orecchio…
Il primo ascolto va dato a una Parola che non viene da noi, che viene da Dio e che si esprime nella persona di Gesù, nel suo Vangelo, nelle sue parole, nei suoi rapporti con le persone… Non possiamo non sentire il bisogno di tanti di una buona notizia, di una speranza, di una visione della vita che si apra a orizzonti ampi, ci tolga dai nostri loculi e noi la doniamo… Essere giovani significa per forza transitare o imprimere nella vita una esperienza d'amore…
La vocazione del giovane, se è così impostata, apre sicuramente proprio per come è data da Dio ad affrontare le sfide del mondo e a fare dono al mondo di una giovinezza che sa dedicarsi, sa sacrificarsi, sa dare la sua impronta… L'annuncio gioioso del Vangelo è destinato a tutti gli ambiti della nostra vita, senza alcun limite attraverso: il campo delle comunicazioni sociali, in particolare il mondo di internet; il campo della mobilità. presidente del Centro orientamento pastorale (Cop), vescovo emerito di Palestrina.
Recensione del libro I giovani di Benedetto a cura di Giacomo Ruggeri
I giovani di Benedetto
Una rilettura del pensiero di Ratzinger e il mondo giovanile
Riportiamo qui la recensione pubblicata sul settimanale TOSCANA OGGI del 9 giugno 2019 a cura di don Giacomo Ruggeri, dedicata al libro I giovani di Benedetto.
«Non è stato certo il suo unico gesto, né tantomeno l’ultimo. Ma per i giovani fu probabilmente quello più immediato e (ancora oggi) rimasto emblematicamente impresso nella loro memoria».
Prima di capire a quale «gesto» ci stiamo riferendo, anticipo subito la conclusione: i giovani italiani, e non solo, nei gesti appassionati di Ratzinger hanno trovato vie quotidiane per declinare il Vangelo. I giovani italiani non si sono lasciati schermare dalle etichette che vedevano il teologo tedesco freddo e rigido. La parola di Benedetto XVI ha lasciato traccia profonda ancor di più con i gesti da lui compiuti nel Pontificato, non da ultimo il giorno del decollo con l’elicottero dal Vaticano a Castel Gandolfo.
Il gesto impresso nella memoria dei giovani è raccontato da don Michele Falabretti nel suo contributo al testo «I giovani di Benedetto»:
«Ai giovani basta poco», scrive don Falabretti «soprattutto se un gesto è vero. Un momento così forte c’è stato: è successo durante la GMG di Madrid con la bufera di vento e di acqua. Papa Benedetto rimase seduto, col sorriso sulle labbra a ricevere la sua parte di acqua. Fu un’immagine indimenticabile».
L’immagine di un uomo che, come seme, diventa un tutt’uno con la terra. Senza passione nulla nasce, cresce, matura. La passione di Dio per l’uomo, la passione di Cristo per l’umanità, della Chiesa per tutti i suoi figli nessuno escluso. È ciò che don Falabretti ha rimarcato al convegno di Palermo: l’unica cosa che non deve mancare è
«la passione, la stessa passione che Dio coltiva nel proprio cuore per l’uomo».
Una passione che non è sentimentalismo, ma è ecclesiale, anzi ecclesiologica. Paolo Giulietti, nel suo contributo al libro, ricorda come
«nel contesto dei raduni giovanili – dalle grandi platee delle GMG agli incontri nelle diocesi – Papa Benedetto ha approfittato spesso della possibilità di far quasi “toccare con mano” la sua visione ecclesiologica, invitando i giovani a constatare la bellezza, l’utilità e il “mistero” della Chiesa, in cui Cristo si può ancor oggi incontrare».
Chiesa in uscita, dice Bergoglio, in uscita in primis nella stessa canonica, con mentalità e pensiero da rendere ancor più ecclesiale.
«Benedetto XVI» evidenzia Giulietti «tiene a dire che l’incontro con Cristo nella Chiesa è stato il fatto decisivo dei suoi anni giovanili e continua ad esserlo oggi. Un maestro e un testimone che tanti giovani non dimenticheranno».
E sul file rouge della Chiesa, traccia il suo contributo al libro Nicolò Anselmi:
«La Chiesa e Gesù non sono fra loro separabili. Ai giovani Benedetto XVI chiede di amare Gesù e di amare la Chiesa. Benedetto XVI chiede ai giovani di amare la Chiesa per amare Gesù».
Dopo il Sinodo con e per i giovani viene da dire che le scuse stanno a zero. E Anselmi mette il dito su un tasto che richiede concretezza non più rinviabile:
«Negli organismi di partecipazione della vita della Chiesa, i giovani sono spesso assenti e, in molti casi, la loro voce è poco ascoltata».
A ribadire la lungimiranza di Papa Benedetto sui giovani e sulla Chiesa è il contributo di Domenico Sigalini, pioniere della pastorale giovanile alla CEI. Con stile diretto, egli ricorda che
«non viviamo nella stratosfera, ma abbiamo i piedi ben piantati a terra, viviamo nel mondo, abbiamo relazioni con tutti, viviamo in una precisa epoca, siamo legati a una realtà che continuamente ci interpella, non possiamo decidere di noi senza collocarci in questo contesto, non per farci condizionare, ma per lasciarci interpellare. Tutti i giovani che annegano nel mediterraneo sono coetanei, con gli stessi ideali, la stessa sofferenza dell’impotenza, la decisione dell’andare, l’aspirazione alla felicità, che si seppellisce nell’ingordigia di altri uomini o nell’indifferenza che costruisce solo muri e non ponti».
La voce rosa del testo è affidata a Manuela Robazza, suora salesiana. Ella, nel testo, scrive:
«Traendo suggerimento dalla pedagogia salesiana credo che ogni progetto educativo di una comunità parrocchiale pensato per i giovani trovi il suo fondamento sul sentire la necessità di incontrarli de visu e non solo nelle bacheche social e nei profili digitali».
Una persona che ha avuto con Papa Benedetto XVI un rapporto intenso è il gesuita p. Federico Lombardi. A chiosa della sua Prefazione, egli traccia il ponte di continuità tra Ratzinger e Bergoglio:
«Ora, nella Chiesa in uscita di Francesco, i giovani sono lanciati con forza verso un rinnovato entusiasmo d’impegno di servizio. Ma l’impegno della ricerca della verità rimane un’eredità e un dono di valore permanente di cui i giovani saranno sempre grati a Papa Benedetto».
don Giacomo Ruggeri