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3. Annunciare la Parola – 8 agosto 2021

8 agosto

19ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Io sono il pane vivo disceso dal cielo

PER RIFLETTERE E MEDITARE

Nel brano di Vangelo della settimana scorsa Gesù ha invitato la folla a cercare un altro pane, quello che sfama per sempre e che sarà lui a darlo. E concludeva dicendo di essere lui questo pane disceso dal cielo. Ed ecco che i giudei si mettono a mormorare. È un’abitudine antica quella di mormorare da parte di questo “popolo di Dio”, che pure è stato accompagnato in modo speciale lungo la storia della salvezza, fino a vedere con i propri occhi l’atteso messia, il Figlio di Dio fatto uomo.

Chi credi di essere?
Gesù ha detto: «Io sono il pane vivo disceso dal cielo», e non dobbiamo stupirci troppo per la reazione della folla. Essi capiscono chiaramente tutta la portata di quella frase e pensano che chi lo dice non può essere preso sul serio. O è un esaltato, o è un essere superiore. Ma essi non potrebbero accettare che un uomo sia così coinvolto con il divino. Per loro la purezza della divinità è un valore assoluto, non possono immaginare che Dio si renda presente in un uomo .
Gesù dice di essere inviato dal Padre e chiede di avere fede in lui. Ma essi non ce la fanno ad aprirsi fino a questo punto, tanto più che afferma di essere più importante di Mosè.
Per accogliere la parola di Gesù fino in fondo, ci vorrebbe già la fede, che è un dono del Padre. «Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre…», dice Gesù (Gv 6,44).
E al fondo di questo brano compare per la prima volta in modo esplicito il verbo «mangiare», su cui si rifletterà ancora in un’altra domenica. Gesù dichiara che per avere la vita è necessario mangiare un altro pane. La manna che gli ebrei hanno mangiato durante la loro fuga dall’Egitto non li ha sottratti alla morte. Chi invece mangia questo pane, che è la sua carne, vivrà per sempre.

Il pane vivo è la mia carne per la vita del mondo
È evidente che il pane è necessario, essendo per tutti il sostegno quotidiano materiale, indispensabile per la vita di ogni giorno. Ma altre sono le esigenze dell’uomo e altrove va trovato il senso della vita. Perché il pane sazia la fame di oggi, ma domani è un altro giorno e ciascuno dovrà trovare la forza di superare le nuove difficoltà con la giusta motivazione.
«Il pane che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo», dice Gesù, che è ben più di un pezzo di pane. Chi mangia di me non avrà più fame, e chi crede in me non avrà più sete. Gesù è colui di cui noi abbiamo bisogno più del pane: è lui il vero dono di Dio capace di colmare le nostre attese più profonde.
È così facile, anche oggi, fermarsi al Gesù umanamente ricco, al profeta, all’uomo nuovo, al testimone. Ma Gesù non può essere preso soltanto in alcuni aspetti di ciò che ha detto e fatto: perché è il Figlio di Dio, l’unico in grado di sfamare il nostro cuore, di saziarci oggi e nell’eternità. Noi, come i giudei, preferiremmo forse messaggi meno impegnativi, ci basterebbe anche solo un tozzo di pane senza troppe pretese.
A Gesù che dice «Io sono il pane vivo disceso dal cielo», i giudei rispondono con lo stupore: «Come, disceso dal cielo? Ma se conosciamo benissimo tuo padre e tua madre! E conosciamo anche te, ti abbiamo visto crescere. Gesù li disorienta con la sua normalità, con la sua umanità.
È lo scandalo della «incarnazione». Il Figlio di Dio si è fatto visibile nella carne per parlarci, per diventare trasparente di Dio, per diventare per noi uno strumento di salvezza, per darci la vita. «Vita» è la parola che ricorre più spesso in questo brano di Vangelo, e la si trova per ben sette volte in vari contesti.
«Il pane che io darò», precisa Gesù. Ed è inevitabile il riferimento all’Eucaristia, su cui ritorneremo tra quindici giorni in modo esplicito. Il pane è una realtà modesta e quotidiana, non ha nulla di straordinario, anche se ha una grande valenza psicologica: quando manca il pane si direbbe che manca tutto. E Gesù ha scelto proprio il pane per rimanere tra noi.

Nei nostri giorni
In questo momento, che è per noi probabilmente tempo di ferie, si direbbe che siamo già contenti del modesto prodigio di un po’ di tranquillità, di una tavola imbandita, di trovarci bene tra i nostri cari e amici. Ma dovremmo invece approfittare proprio di questo tempo di vacanza per scoprire qualcosa che ci tocchi profondamente dentro. Non ci può bastare ciò che ogni giorno troviamo sulla nostra tavola e sulla nostra strada: siamo fatti per Dio e questo bisogno dobbiamo coltivarlo. È la nostalgia dell’altro pane che Gesù promette di donarci: pane che è la vita del mondo e che ci rende simili a lui.
Di fatto noi, presenti qui alla celebrazione eucaristica, siamo in attesa di mangiare il pane che Gesù spezza per noi, per rimanere tra noi, in noi. Lo abbiamo seguito: venendo qui ci siamo messi all’ascolto della sua parola. Ora siamo affamati non tanto di pane materiale, che anzi a volte ne abbiamo anche troppo e lo sprechiamo; siamo affamati e assetati del cibo che non perisce, che dà la vita eterna.

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

Il vescovo vietnamita François Xavier Nguyen Van Thuan fu imprigionato nel 1975. Rimase in carcere per 13 anni e per 9 anni visse in isolamento, in una stanza senza finestre e a cui toglievano la luce per farlo crollare. Con uno stratagemma dirà la messa quotidiana con tre gocce di vino e una briciola di pane. Gli cambiavano i sorveglianti di continuo, perché entrava in dialogo con tutti e in qualche modo se li faceva amici e li convertiva.