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3. Annunciare la Parola – 12 settembre 2021

12 settembre

24ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO                                                                             

Il Messia che non ti aspetti

PER RIFLETTERE E MEDITARE

Ogni anno la Chiesa pone ai suoi fedeli due domande, quelle che Gesù ha rivolto agli apostoli a Cesarea di Filippo e che si trovano con parole molto simili in tutti e tre i Vangeli sinottici. Sono domande importanti, che costringono gli apostoli a sbilanciarsi, ma anche a mettere a fuoco in modo più vero la persona del messia.

 «La gente, chi dice che io sia?»
Capita un po’ a tutti di avere la curiosità di conoscere che cosa pensa la gente di noi. Al capitolo ottavo di Marco si direbbe che se lo domanda anche Gesù e lo chiede agli apostoli. Ma lo fa per farsi conoscere meglio da loro, nella sua vera identità.
Da tempo gli apostoli condividono la sua esperienza, sono coinvolti nei suoi successi e se ne compiacciono. Impressionati dai miracoli e dalla fama che si è conquistata, si sono convinti che seguendo quest’uomo speciale andranno incontro a un sicuro successo.
È a questi apostoli che Gesù pone una doppia domanda: «La gente chi dice che io sia?». E gli apostoli si fanno interpreti dei tanti che vedono in lui come la reincarnazione di un grande profeta del passato; oppure come un nuovo Giovanni Battista. Ai loro occhi sembrano dichiarazioni importanti, ma Gesù è ben più di un profeta, ben più grande del Battista.
Gesù però non si ferma, e pone a loro una domanda più personale: «Ma voi, chi dite che io sia?». Risponde Pietro a nome di tutti: «Tu sei il Cristo». E nel Vangelo di Matteo aggiunge: «Il Figlio del Dio vivente». Difficilmente poteva dare una risposta più corretta e più centrata di questa. Gesù ne fa l’elogio: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli». E gli assicura che costruirà su di lui la Chiesa e gli darà le chiavi del regno dei cieli (Mt 16,13-20).

 Gesù parla della sua passione
È a questo punto che il racconto cambia registro. Gesù vede che l’atteggiamento della chiesa ebraica si fa sempre più minaccioso nei suoi confronti e vuole preparare i suoi a quella che apparirà come una tragica sconfitta. «Il figlio dell’uomo dovrà soffrire molto», dice. E le sue parole sono una doccia fredda per Pietro e gli altri. Ed è ancora Pietro a prendere la parola, il generoso Pietro. Prende Gesù in disparte e si mette rimproverarlo con tutta la carica di amicizia di cui è capace.
Gesù però non si compiace della sua bella dichiarazione di amicizia, e ha verso di lui parole durissime: «Va’ dietro a me, Satana!». Lo invita a stargli dietro, a seguire i suoi passi. Lo chiama satana perché gli suggerisce scelte in linea con chi, tentandolo nel deserto, lo aveva già invitato a un messianismo diverso (Mt 4,1-11).
Per Gesù sarà l’esperienza della croce che gli farà vivere fino in fondo i progetti di Dio, e dimostrerà la verità di quanto ha predicato. Gesù non ama la croce, ne ha paura, Pietro glielo ricorda e gli si pone come tentazione con i suoi ragionamenti umani.

Il fascino di Gesù
Ma ora a noi. Che cosa pensiamo noi di Gesù? Certo, stiamo celebrando l’Eucaristia e sembrerebbe una domanda inutile, se non addirittura provocatoria. Se siamo qui è perché siamo stati in qualche misura affascianti da lui. Gesù ci piace. Gesù piace a tutti, anche a chi non ha un buon rapporto con la Chiesa e con la propria parrocchia.
E nella nostra società? Qualcuno dice che di Gesù non si parla tra persone educate, perché è ancora un nome che mette a disagio in una conversazione. Si direbbe che sia rimasto l’ultimo tabù.
Al contrario, in ogni tempo moltissimi si sono lasciati prendere dalla persona di Gesù. Fëdor Dostoevskij scrive: «Il mio credo è molto semplice. Eccolo: credo che non esista niente di più bello, di più profondo, di più simpatico, di più virile e di più perfetto del Cristo». E il cardinal Carlo Maria Martini: «Ho conosciuto Gesù sin dalla mia prima adolescenza e ne sono stato grandemente affascinato, me ne sono innamorato. Ho avvertito subito che con una figura così non è possibile scherzare: o si prende tutto o si rifiuta tutto».
Oggi anche noi siamo chiamati a riconoscere l’assoluta unicità della persona di Gesù. Questa è la vera risposta alle due domande poste a Cesarea di Filippo. E noi siamo in grado di rispondere in modo più pieno rispetto a Pietro, che non aveva ancora fatto l’esperienza della Pasqua. Duemila anni di cristianesimo dovrebbero averci insegnato qualcosa. Se non vediamo Gesù nella sua vera identità, rischia di essere per noi un puro nome o un semplice richiamo religioso indistinto, non il Figlio del Dio vivente fatto uomo.

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

Nel 1955 andò in scena al Piccolo Teatro di Milano il dramma Processo a Gesù di Diego Fabbri. L’autore immagina una troupe di ebrei che, dopo la seconda guerra mondiale, si sposta di città in città per rifare davanti al pubblico il processo a Gesù, per verificare se fu condannato giustamente o ingiustamente. Vengono ascoltati i testimoni di allora: Pilato, Caifa, Giuda, gli apostoli e anche questa volta la sentenza si preannuncia di condan­na nei confronti di Gesù. E l’argomento principale della condanna è che nulla è cambiato con la sua venuta: tutto continua come prima e, pertanto, secondo il presidente del tribunale, non può essere stato il Figlio di Dio. A conclusione, il presidente rivolto al pubblico dice: «Pronunce­remo la sentenza, ma vorrei chiedere prima a voi cristiani qui presenti, chi era, chi è per voi Gesù di Nazaret». A questo punto tutto cambia. Si alza, infatti, un sacerdote che era lì in incognito; si alza un giovane fuggito di casa; si presenta una prostituta trascinata in teatro dal suo amante intellettuale; chiede la parola la donna delle pulizie del tea­tro: coraggiosamente ognuno grida chi è Gesù nel segreto della pro­pria vita, affermando decisamente di non poter fare a meno di lui. Appare chiaro che non è affatto vero che tutto è rimasto come prima, perché tante cose sono cam­biate! Il presidente del tribunale, allora, conclude: «Perché non lo gridate forte, dovunque e sempre, quello che avete detto stasera? Tutti dovreste gri­darlo! Tutti! Tutti! Perché altrimenti si ripete anche per voi quello che accadde per noi allora: di rinnegare, di condannare, di crocifiggere Gesù. Io debbo proclamare, al cospetto di tutti, che non so ancora se Gesù di Nazaret sia stato veramente quel Messia che noi aspettavamo, ma è certo che lui, lui solo, alimenta e sostiene tutte le speranze del mondo. Io lo proclamo innocente e martire!».