5 GENNAIO
II DOMENICA DOPO NATALE
CRISTO LUCE DELLA STORIA E BENEDIZIONE DI DIO
COMMENTO
La liturgia della seconda domenica di Natale ci invita a riflettere su tre modalità’ di essere cristiani oggi. I credenti devono avere una tenda (vita quotidiana) ben piantata , in modo da non essere schiavi di un qualunquismo omologante. Devono avere delle radici (motivazioni esistenziali) innervate di intelligenza e libertà’ che ci rendono immagine e somiglianza di Dio. Le nostre parole (come fa il Verbo che si incarna nella natura umana) non realizzano un progetto di vita fatto di buone intenzioni, pii desideri e facili e soporifere devozioni , ma costruiscono ed alimentano un nuovo modo di relazionarsi ( con la natura e gli altri esseri viventi) fatto di rispetto, solidarietà’, giustizia e pace. Le parole del Prologo di Giovanni “il Verbo si fece carne” quale valore e che significano? Che cosa comportano? Sono la conferma che Dio entra in prima persona nella natura e nella storia umana adottandoci come figli. Nella Bibbia il termine adozione è molto più denso del significato che noi generalmente diamo. Si tratta di una adozione che comporta non solo di avere una famiglia, ma anche di avere un compito preciso da adempiere. Come gli imperatori romani ( Traiano, Adriano, Marco Aurelio…) furono adottati dai predecessori perché ritenuti i più adatti nel compiere la missione imperiale, così noi veniamo adottati da Dio perché considerati capaci di imitare il Verbo nel costruire fra di noi nuove relazioni giuste e fraterne. Di questa adozione da parte divina che uso ne facciamo nella nostra quotidianità di vita? Nel silenzio della coscienza? Chiediamocelo per qualche istante.
SECONDA MEDITAZIONE
Celebriamo il Natale del Signore il 25 dicembre. Tuttavia, non è per nulla certo che sia proprio il giorno del «compleanno» di Gesù, anzi è quasi del tutto certo che Gesù non è nato il 25 dicembre. Le tradizioni cristiane antiche e quelle orientali, per esempio, celebrano ancora oggi in date diverse il Natale.
In occidente si è imposta questa data. Vi sono varie ipotesi sul perché, una delle quali afferma che il giorno della nascita del Signore sia celebrato il 25 dicembre per sostituire, o meglio cristianizzare, una festa pagana: il Natalis Solis Invicti.
Dietro quest’efficace strategia culturale vi è un’intuizione teologica. È Cristo il sole che sorge; è lui la luce del mondo. Dice così anche il cantico di Zaccaria: «ci visiterà un sole che sorge dall’alto» (Lc 1,78); oppure il cantico di Simeone: «luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,32). Ribadisce la medesima idea l’orazione di Colletta: «Dio onnipotente ed eterno, luce dei credenti».
Cristo luce
Già dalle citazioni sopra riportate è evidente un’ambiguità. È luce Cristo; è luce Dio. La luce è un significativo simbolo del trascendente in quasi tutte le religioni umane. C’è, dunque, una diffusa base antropologica, che l’evangelista Giovanni riprende e sviluppa in modo proprio.
Negli scritti giovannei è luce Dio: «Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna» (1 Gv 1,5), per dire la sua santità. Anche Gesù, però, è luce: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). Di questo sviluppo cristologico è data anticipazione nel Prologo.
Contemplando l’origine eterna di Gesù (cf Gv 1,1) Giovanni afferma che «in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini» (Gv 1,4). La vita di cui parla Giovanni non è quella biologica, ma quella pienezza di vita che possiamo intendere con l’espressione «vita eterna». È in Gesù che si trova la pienezza della vita che ci è donata per mezzo di lui.
Questa vita è luce, poiché Cristo, nella sua opera d’illuminazione, rivela il volto di Dio agli uomini (cf Gv 1,18). La conoscenza dell’identità di Dio è rivelata da Gesù e in ciò consiste uno dei motivi dell’incarnazione. Da questa conoscenza viene per gli uomini la salvezza, la vita eterna.
Luce e tenebre
Già nel prologo è annunciato il destino di Gesù (cf Gv 1,9-11). Nei primi versetti cioè, che contemplano non tanto l’evento quanto il significato salvifico dell’incarnazione, si prefigura il tema dell’incredulità per il quale gli uomini possono, liberamente, rifiutare il dono e non accogliere il rivelatore e la sua rivelazione. Il fatto, però, non è senza conseguenze perché l’accoglienza comporta la partecipazione alla vita eterna, la non accoglienza l’esclusione (cf Gv 1,12-13).
Accoglienza e sequela
Accogliere la luce significa credere in Gesù e mettersi alla sua sequela. Diventare suoi discepoli significa entrare in relazione con lui e farne il centro della propria vita. Per questa relazione, in virtù della grazia del battesimo, diventiamo figli di Dio (cf Gv 1,12).
Sotto diverso profilo la figliolanza divina è oggetto di meditazione e di lode anche della lettera di Paolo, sia nella sua origine nell’eternità (cf Ef 1,3-6), sia nelle conseguenze nella storia di ciascuno: dona speranza e dignità al credente (cf Ef 1,18).
Seguire Cristo luce, essere suoi discepoli, è essere nella luce (cf Gv 1,9); rifiutare Cristo luce è essere nelle tenebre (cf 1 Gv 1,5). In Giovanni non c’è distinzione, come avviene per noi moderni, fra linguaggio dogmatico e linguaggio morale. Perché le due dimensioni, quello della fede e quello della vita, sono saldamente legate.
La meditazione del tema della luce comporta questo spunto per noi oggi: recuperare e ricercare la necessaria ricomposizione fra fede e vita, al fine di non cadere in un moralismo senza fondamento nella fede o in un intellettualismo senza ricadute nella prassi.