3 AGOSTO 2025
18ª DOMENICA T.O.
NECESSARIO ED ESSENZIALE
COMMENTO
- Due sono gli interrogativi che le letture dell’odierna domenica propongono alla nostra intelligenza: che cosa e’ la vita umana?; che differenza c’è’ tra essere ricchi ed essere signori?. La prima domanda e’ vecchia quanto il genere umano. “A che giova, a che serve, a che tende la vita?” si chiede Giacomo Leopardi nel suo “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”. Nella prima lettura l’ignoto saggio autore del libro del Qohelet mette in bocca a Salomone una sintesi dell’esistenza umana agghiacciante: “vanità’ delle vanità’: tutto e’ vanità'”. Durante la sua esistenza l’uomo si spacca la schiena per guadagnare il più’ possibile per lasciare tutto, alla morte, ad un altro che non ha fatto niente. Assurdo e’ tutto il suo affannarsi durante il giorno; inquieto e’ il suo riposo notturno assediato dalle preoccupazioni che il vivere quotidiano gli riserva. Quest’ansia del possedere che inquina l’esistenza, nell’antico Israele e’ personificata in una specie di divinità’ denominata Mammona che significa ricchezza, patrimonio. I rabbini contemporanei di Gesù distinguono tra la mammona menzognera, che e’ sempre negativa, e quella verace che è’ sempre positiva. Per Gesù’ la ricchezza fine a se’ stessa e’ sempre disonesta ed acquisita in maniera ingiusta. Essa non puo’ dare senso all’esistenza. Per esplicitare bene il suo pensiero ricorre alla parabola che la liturgia ci propone in questa domenica. In essa Gesù’ non condanna la ricchezza in quanto tale, ma la cupidigia umana che la inquina. San Paolo definisce lo sfrenato desiderio di possedere una “idolatria (Col 3,5; Ef 5,5). Gesù’ ridicolizza il ricco che fonda la sua felicità’ e la sua tranquillità’ sull’accumulo dei beni fine a se’ stesso. La pudica traduzione del testo mette in bocca al Messia l’epiteto “stolto”, la traduzione piu’ corretta sarebbe “scemo”: ” questa notte stessa ti sarà’ richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà ?”. Questa domanda e’ rivolta soprattutto ai farisei che mascherano la loro smodata bramosia di accaparrare dietro la maschera dell’ipocrita formalismo legale. Per loro contano i soldi non le relazioni. Anche oggi certe persone in chiesa cantano i salmi e contano i soldi, Ma questo e’ orribile. Non si puo’ seguire Dio e Mammona allo stesso tempo. Per entrare nel Regno dei Cieli non basta essere ricchi, ma bisogna essere signori. Ricco, nell’insegnamento evangelico, e’ chi e’ totalmente inquinato ed accecato dalla bramosia dell’avere; signore e’ chi usa quanto ha come strumento per il bene suo e del pros
MEDITAZIONE
Interpellato da uno della folla (cf Lc 12,13), Gesù rifiuta di assumere il ruolo del giudice. Da questo diniego, però, si capisce la consapevolezza che Gesù ha di sé e dell’orizzonte in cui colloca il proprio insegnamento.
La prospettiva è sapienziale e rivolta alle realtà celesti. Una vera rivoluzione copernicana, un ribaltamento di prospettiva che dà senso a tutti i fenomeni e anche alle anomalie che nella precedente prospettiva non trovavano spiegazione.
Gesù pone il Regno dei Cieli al centro e tutto il resto in relazione a esso. Non è una svalutazione della storia dell’uomo con tutte le sue dimensioni. Tutti gli aspetti della vita dell’uomo sono riconosciuti ma riconsiderati alla luce del Regno.
Il pericolo della ricchezza
Nella parabola lucana il protagonista è un uomo generico, senza nome, senza volto: chiunque. È un uomo ricco, che onestamente si guadagna la propria ricchezza. È un uomo previdente. Non scialacqua i propri beni in una vita dissoluta, ma saggiamente provvede al proprio futuro. Questo però è il punto cruciale: egli fonda le proprie speranze di futuro sui suoi beni. Si eternizza nei propri beni. La questione è qui. Un comportamento umanamente saggio è, di fatto, ancora miope: riscontro della miopia è la morte.
Tutti sappiamo che il tema della morte è l’argomento tabù della nostra cultura. Di tutto si può parlare, ed anche straparlare, tranne che della morte.
Al cospetto della morte si possono assumere tre atteggiamenti. Il primo consiste nel considerare la vita come un continuo apprestarsi alla morte, come avviene in molte tradizioni filosofiche e in quelle religiose. C’è il rischio, però, di eccedere e di svalutare la vita a favore della morte.
Il secondo consiste nel coltivare una mistica della morte. Fu parte della cultura europea della prima metà del Novecento, i cui effetti si sono visti nella seconda guerra mondiale e, oggi, nel terrorismo suicida.
Infine la terza possibilità: considerare la morte come un evento che verifica l’autenticità della vita intera. Qui la morte è considerata come il punto di riscontro della validità della vita vissuta e dei valori per cui ci si è spesi. In questo senso la morte restituisce alla vita tutta la sua serietà, e la vita diventa preparazione alla morte nella ricerca dell’autenticità.
Alla luce di questo terzo atteggiamento si può collocare, non moralisticamente, il discorso sulla ricchezza. Ciò che nella parabola è denunciato della ricchezza, e per estensione di tutte le realtà mondane, è la loro vischiosità, la loro potenzialità seduttiva, capace di ridurre l’orizzonte dell’esistenza umana alla sola esperienza terrena, senza rimando a un ulteriore che, invece, è il suo orizzonte più vero (cf Lc 12,15).
Ricchezza, idolatria, vita nuova
Questa è la rivoluzione copernicana operata da Gesù: la centralità del Regno dà la misura e il valore a tutte le realtà mondane e a tutte le dimensioni della vita. Non squalifica nulla dell’umano esistere, bensì tutto pone nell’orizzonte del Regno. Il valore dei beni terreni sta nella loro relatività. Il vero rischio è di assolutizzarli fondando su di essi la propria sicurezza. In altri termini il rischio è di idolatrarli.
San Paolo stesso parla della cupidigia come di «idolatria» (cf Col 3,5). Ma prima di giungere alle indicazioni morali, Paolo parte da una considerazione teologica: «se siete risorti con Cristo» (Col 3,1). Questa è la nuova dignità del cristiano, effetto della risurrezione di Cristo e del sacramento del battesimo.
È una dignità che ha effetti concreti, una nuova prospettiva di vita (cf Col 3,2). La nuova dignità data dal battesimo trasforma la vita del credente in una realtà totalmente nuova. Un’esistenza che già nell’oggi si lascia informare dalla prospettiva del futuro, non per svalutare il presente ma per qualificarlo e sostanziarlo (cf Col 3,9-10). In questa prospettiva positiva si può cogliere il senso della conclusione del vangelo (cf Lc 12,21). Non minaccia, ma esortazione all’autenticità.
