Pubblicato il

3. Commento alle Letture – 25 MAGGIO 2025 6ª DOMENICA DI PASQUA

25    MAGGIO

6ª DOMENICA DI PASQUA

IL DONO DEL DISCERNIMENTO

COMMENTO

Per capire bene il messaggio che Gesù ci rivolge oggi, dobbiamo soffermarci a riflettere sul versetto 23 del capitolo 14 di Giovanni: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”.
È un messaggio che rivoluziona il modo di vivere la fede. La dimora di Dio non sono le basiliche , le  cattedrali, i santuari, le chiese, le abbazie, i templi, le sinagoghe o le moschee.
È il cuore di chi ascolta e vive la Parola con libertà , coerenza  e coraggio.  Il Signore non ci vuole proni in adorazione, ma in piedi con l’intelligenza inserita , le orecchie tese, il cuore disposto all’ascolto e la volontà pronta a trasformare in condotta le Parola annunciata.
La sacralità non risiede nelle magnifiche infrastrutture , ma nelle persone che accolgono e vivono il messaggio evangelico che appartiene a tutta l’umanità. L’esistenza umana si realizza non nel vivere per Lui, ma di Lui. In ebraico la parola non è solo un mezzo per comunicare , ma è un impegno di vita. Essa diventa l’identikit che rivela il nostro essere più intimo. È lo strumento con cui dimostriamo la nostra vera natura. È la verifica della nostro impegno e responsabilità.
Al tempo di Gesù la presenza di Dio era imprigionata nel Santo dei Santi inaccessibile alle persone. Il Tempio era dominato dalla classe sacerdotale che si era appropriata della relazione del popolo con Dio appesantendola di dazi, tributi, sacrifici ed offerte destinate non al Padre ma alle capaci tasche degli addetti al culto.
Gesù fa piazza pulita di tutto questo ciarpame. Semplifica la relazione con Dio. La colloca non nei luoghi di culto ma nella coscienza dell’uomo.
Sacralizza non le infrastrutture  ma la persona umana. Il culto ha bisogno di segni e manifestazioni umane. La fede necessita solo della Parola e del cuore di chi è disposto ad ascoltarla, meditarla, farla propria per viverla nella coerenza alimentata  dalla misericordia , dall’amore, dalla collaborazione e dal coraggio della testimonianza visibile e verificabile nella vita di tutti i giorni.
Di fronte al brano evangelico odierno viene spontaneo richiamare quanto diceva San Girolamo: “Ignorare la Parola significa ignorare Cristo”.
Forse che alla base della nostra poca fede c’è una robusta non conoscenza del Vangelo?

MEDITAZIONE

Lo Spirito Santo è il grande protagonista della vita del credente oggi. È lo Spirito l’animatore della vita del credente. Vivere secondo lo Spirito non significa vivere disincarnati, indifferenti alle vicende della storia degli uomini. Lo Spirito non estrae il credente dalla storia, bensì ne abita il cuore ponendolo in relazione con Dio, mentre egli è e rimane immerso nella storia.

Le funzioni dello Spirito

Nel tratto di vangelo di questa domenica Gesù attribuisce allo Spirito due funzioni: «lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26). Poiché «insegnerà», lo Spirito inserisce la sua azione in continuità con l’insegnamento e con la rivelazione di Gesù: porta a comprenderla in profondità e in estensione. Poiché «ricorderà», lo Spirito non solo riporta alla memoria ma, insieme e oltre ciò, fa rivivere le parole di Gesù nel cuore del credente, rendendole vive nella sua vita, carne nella sua carne.

Gli effetti della presenza dello Spirito

Per mezzo dello Spirito la Trinità prende dimora nella vita del credente, inserendolo nella sua stessa relazione di amore e di vita (cf Gv 14,23). Il Dio Trinità è un Dio che abita nel credente, legandosi in una così intima solidarietà con esso da trasfigurarne la vita. Per mezzo dello Spirito l’uomo ama Dio nello stesso flusso d’amore con cui Dio lo ama. La vita religiosa così non è più un sommarsi di pratiche più o meno devote o morali, atti scollegati e posti per accumulare meriti, finendo in tal modo solo per aumentare l’ansia da prestazione dinnanzi a Dio. La vita religiosa diventa vita animata dallo Spirito (vita spirituale appunto). E quegli atti, che una volta erano mero accumulo di pratiche, diventano modalità dell’amore, occasioni in cui si manifesta l’amore, e strumenti di supporto al suo accrescersi. Ciò significa passare dalla prestazione all’osservanza della Parola (cf Gv 14,23) Non si tratta di fare qua e là qualcosa di cristiano. Si tratta di lasciar imbibire l’intera propria esistenza dalla Parola.
In secondo luogo la presenza dello Spirito nella vita del credente e nella comunità cristiana instaura la pace, non a caso il primo dono del Risorto. La pace portata dallo Spirito è diversa da quella conseguita dagli strumenti di negoziazione o d’imposizione della forza di cui sono capaci gli uomini. La pace portata dallo Spirito è dono di Dio, è il compimento delle promesse messianiche, è il complesso dei beni che porterà il Messia.
In terzo luogo, lo Spirito, presente e attivo nella vita dei credenti, trasforma le scelte e le decisioni in «discernimento». Un caso tipico lo si vede nella lettura degli Atti degli Apostoli, il cosiddetto «concilio di Gerusalemme».

Discernimento spirituale nel singolo e nella comunità

Alla comunità cristiana si presenta il problema di conciliare la propria origine ebraica e l’apertura missionaria ai pagani. È un problema culturale, oggi diremmo d’inculturazione. Soprattutto, però, si tratta di comprendere correttamente l’opera redentrice di Gesù e di non tradirla. Alla predicazione giudaizzante di alcuni (cf At 15,1) si oppongono in maniera netta Paolo e Barnaba.
È un punto di svolta nella comunità: la conclusione del cosiddetto concilio di Gerusalemme è un’apertura nella direzione della missionarietà di Paolo. Ma il lungo e travagliato processo per giungere alla decisione non è solo opera delle discussioni (aspre) fra i rappresentanti delle varie parti. È apertura dell’intelligenza alle ispirazioni dello Spirito Santo (At 15,28).
Il concilio di Gerusalemme è «tipico» perché in esso una riflessione, una scelta, una decisione, sono momenti del discernimento. E dal discernimento dipende la qualità spirituale della vita della Chiesa: quella di ogni credente e quella della comunità nel suo complesso.
Anche oggi non si può rinunciare a questa caratteristica. Ne verrebbe pregiudicata la qualità spirituale della vita di ciascuno e, di fronte alle sfide che la storia ci pone – esattamente come alla comunità dei discepoli, ma forse trovandoci meno preparati ed entusiasti –, ne verrebbe pregiudicata la nostra capacità missionaria. Avrebbe allora ancora senso pregare, con il Salmo 67: «Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti»?