1 8 A P R I L E
5ª DOMENICA DI PASQUA
UN AMORE SENZA LIMITI
COMMENTO
Il capitolo 13 del Vangelo di Giovanni è fondamentale per capire e fare nostra l’essenza del messaggio che Gesù vuole lasciarci al termine della sua vita. Il Signore è perfettamente conscio dei pericoli mortali che incombono su di lui. La sua missione tra gli uomini è giunta al suo termine. È arrivato il momento di trarre delle conclusioni e di soppesare i risultati ottenuti. Il bilancio finale ha il sapore amaro del fallimento: Giuda lo tradisce; Pietro lo rinnega; tutti gli altri sono paralizzati dal dubbio e dalla paura.
È l’ora del commiato definitivo. Lo fa durante l’ultima cena consumata insieme agli apostoli. Non conosciamo la località in cui avviene, .Giovanni non ce lo dice. Non è la cena pasquale, la Pesah ebraica, perché viene consumata prima della festa e non ne segue le rigide prescrizioni. È una cena di commiato che Lui vive con angoscia e che i discepoli consumano sorpresi. Sono seduti a tavola. Gesù compie un gesto che li spiazza e sorprende. Si alza, lascia cadere il mantello, cinge un grembiule, prende un catino con dell’acqua dentro, si inginocchia davanti, fa togliere loro i calzari e lava a tutti i piedi. Cala un silenzio gonfio di stupore muto. Rimangono impietriti e scandalizzati dalla sorpresa.
Il gesto compiuto nei loro confronti li sconvolge ed irrita. Mai un ebreo avrebbe lavato i piedi ad un altro ebreo. I piedi erano considerati la parte più impura dell’intero corpo umano.
È un compito esclusivo riservato agli schiavi. L’atto di Gesù è blasfemo. Lui, il Figlio di Dio, invece di farsi servire si mette a servizio di tutti, anche del traditore, di Pietro che lo rinnegherà e di tutti gli altri paurosi e pusillanimi. Non Dio che si fa servire dagli uomini, ma che li serve.
Pazzesco! “Amatevi come io ho amato voi”. Questo significa per noi di amarci “perché io vi ho amato”.
La lavanda dei piedi è seguita dalla distribuzione del pane, che simboleggia l’eucarestia. Anche Giuda lo riceve direttamente dalle mani del Messia. Questo fa crollare un certo modo in cui ci e’ stato presentato il sacramento eucaristico. La comunione non è’ riservata ai santi, ma soprattutto ai peccatori, a tutti i Giuda nostrani. La morte di Gesù’ non è’ stata un sacrificio imposto da altri ma un gesto di amore, libero, cosciente e definitivo che abbraccia l’umanità intera.
Il credere in Cristo non comporta avere delle buone motivazioni per vivere coerentemente la carità ed il perdono vicendevole. Noi dobbiamo amare perché Cristo lo ha fatto senza se o ma. Chi crede non è uno che parla, esorta o predica l’amore vicendevole, ma uno che ama e basta nel silenzio di una condotta che fa della carità verso tutti, senza distinzione, la sua unica ragione. La sola motivazione è’ dovuta alla trasparente testimonianza dataci da Gesù.
Tutto il resto non conta nulla.
MEDITAZIONE
Confrontarsi con questo brano di vangelo, come credenti, significa confrontarsi con il tema dell’amore cristiano. Farlo vuol dire principalmente due cose: contemplarlo in Gesù; praticarlo secondo il suo insegnamento.
Il contesto drammatico dell’ultima cena
Il contesto in cui vengono pronunciate queste parole è tutt’altro che romantico. È il momento tragico dell’ultima cena. L’estremo limite dell’amore fino al quale giunge Gesù, al compimento della sua «ora» (Gv 13,1), è illustrato da lui stesso con un gesto: la lavanda dei piedi. A questa segue il tradimento di Giuda. Uscito l’apostolo dal cenacolo Gesù pronuncia le parole con le quali lui stesso illumina tutto quanto sta per compiersi (cf Gv 13,31). La glorificazione reciproca di Padre e Figlio consiste nell’atto estremo dell’amore con il quale Gesù affronta la passione, offrendo se stesso per la salvezza dell’uomo, associando la sua volontà a quella del Padre.
Inserito in questo contesto il comandamento dell’amore assume un significato più preciso. «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri […]. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34;35). Comandamento impegnativo in sé, l’amore reciproco lo diventa ancor di più perché dalla sua attuazione dipende la credibilità della testimonianza dei credenti.
Gesù modello d’amore
Il riferimento normativo di questo comandamento è Gesù stesso: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). E dunque su quel «come» che bisogna soffermarsi.
In primo luogo il come dice l’esemplarità di Gesù. Il suo è un amore senza riserve, totale e totalizzante, capace del sacrificio radicale si sé. Gesù per amore affronta la passione. Il suo è amore che redime e che salva. Anche quando è capace di accogliere l’atto tragico di libertà di Giuda. Solo un amore capace di accettare la libertà dall’amato è anche capace di redimerlo. Allo stesso modo per tutti gli uomini. Infine, l’amore di Gesù è veramente esemplare perché è la via della glorificazione del Padre nella scelta compiuta dal Figlio della dedizione totale all’umanità.
L’esemplarità dell’amore di Gesù non si riduce a domandarsi banalmente: «Cosa farebbe Gesù qui al mio posto?». È una domanda alla quale non c’è risposta, perché Gesù non ha vissuto la maggior parte delle situazioni che ci troviamo a vivere noi. Il rischio è di stabilire che Gesù farebbe quello che noi faremmo. L’esemplarità sta nell’irristrettezza con cui Gesù ama l’umanità e il Padre. Il resto è conseguenza. Limitarsi a vedere nel come del Vangelo una semplice esemplarità morale, significa ridurre Gesù a modello etico. Cristologia piuttosto povera.
La Pasqua condizione di possibilità dell’amore cristiano
Perché questo passo di vangelo, storicamente collocato prima della passione, può essere letto in tempo di Pasqua? Gesù dice che lascia ai suoi discepoli un comandamento «nuovo» (cf Gv 13,34). Lo stesso evangelista Giovanni definisce tale comandamento «antico» e «nuovo» (cf 1 Gv 2,7-8). «Antico» perché era già conosciuto dalle prime comunità cristiane, in quanto risalente a Gesù. «Nuovo» perché vissuto integralmente per la prima volta da Gesù. E perché per le comunità è possibile ottemperare ad esso solo in virtù della Pasqua di Cristo. È la stessa passione e risurrezione di Gesù che rende possibile vivere l’amore come lo insegna il Vangelo. In altri termini, la dimensione pasquale di questo comandamento consiste nel fatto che l’amore con cui Gesù ama è la condizione di possibilità perché l’umanità redenta viva l’amore del comandamento «nuovo».
La novità del comandamento è da intendersi quindi in senso escatologico. È per il suo amore che la creazione intera entra in una nuova dimensione, profezia di quella realizzata totalmente alla fine dei tempi. La visione dell’Apocalisse riguarda la creazione integralmente rinnovata (cf Ap 21,1). Nella creazione nuova non c’è il mare, simbolo della sconfitta definitiva del male e del peccato. Al centro di questa nuova creazione vi è la Gerusalemme celeste, che non è la Chiesa storica, poiché la Chiesa storica non è il Regno, ma funzionale a esso. La santa Gerusalemme è la comunità di tutti gli uomini finalmente radunati dall’amore del Padre.
Il nostro amore, così come lo pratichiamo a partire dalla contemplazione di Cristo, è modellato sulla irristrettezza del suo; ed è reso possibile dal suo. L’amarci secondo il suo comandamento è anticipo e profezia del Regno dei Cieli. Forse tutto ciò è meno struggente di quello sceneggiato in Ghost, ma certamente apre prospettive di vita più significative.
