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3. Commento alle Letture – 12 OTTOBRE 28ª DOMENICA T.O.

12 OTTOBRE

28ª DOMENICA T.O.

DISPONIBILI ALLA SALVEZZA

COMMENTO

Nel Vangelo di domenica scorsa era contenuta la richiesta degli apostoli a Gesù di accrescere la loro fede. Ne avevano terribilmente bisogno. La loro formazione religiosa era imbalsamata in un formalismo nazionalista controllato dai cultori della tradizione e dal potere onnipresente del “clero” di allora,  annidato nel Tempio di Gerusalemme. Questa loro chiusura mentale li rendeva dei semplici origlianti della Parola e non degli ascoltatori.
Essi seguono il Messia, ma non lo accompagnano, per questo l’evangelista non li menziona facendo così risaltare la solitudine spirituale del Maestro nel suo camminare verso Gerusalemme. Luca nel suo racconto ci presenta uno svarione geografico. Ci narra che Gesù attraversa prima la Samaria e poi la Galilea. Questo è un “no sense” geografico. Scendendo da nord verso sud, prima bisogna attraversare la Galilea. Perché la Samaria come punto di partenza? L’errore geografico è intenzionale.
Con questo Luca, essendo la Samaria allora considerata la terra dei Samaritani considerati degli scomunicati perché adoravano Dio sul Garizim e non a Gerusalemme, vuole far risaltare che anche la fede dei suoi accompagnatori non si discostava molto dalla fede samaritana. Inoltre nella Scrittura, il villaggio significa il luogo in cui si privilegia la credulità devozionistica e tradizionale a scapito della fede viva e vera. In esso tutto è regolato dal “si è fatto sempre così “. Non c’è movimento.
Gli unici che danno segno di vita sono dieci disgraziati malati di lebbra condannati a vivere nella solitudine e nel degrado. Nella loro disperazione violano il divieto di avvicinarsi alle persone sane. Tenute le debite distanze, urlano la loro disperazione supplicando un po’ di pietà nei loro riguardi.
Gesù non li guarisce subito ma fa una cosa scandalosa. Parla a loro. Raccoglie il loro grido. Li considera persone degne della sua attenzione e ordina loro di andare e presentarsi dai sacerdoti. Ma questo non ha senso. Era un qualcosa che solo chi era guarito dalla lebbra era obbligato a fare per essere riammesso nella società civile del tempo. Eseguire l’ordine era illogico e pericoloso per la loro stessa vita. Nonostante la loro immensa perplessità si fidano, obbediscono, si dirigono verso i sacerdoti e durante il loro andare si ritrovano guariti. Erano in dieci. Solo uno ritorna per ringraziare. Si getta ai piedi del Signore. Non avrebbe dovuto permetterselo perché era samaritano a cui era severamente proibito avvicinarsi ad un ebreo. La legge, osservata dagli altri nove, è spazzata via dalla fede sotto forma di gratitudine riconoscente. Gesù ne prende atto e lo addita come modello ai suoi apostoli che di fede non ne hanno molta,  trasformandoli così da discepoli in semplici accompagnatori distratti.
E noi in relazione alla Parola siamo attenti ascoltatori che la trasformano in regola di vita o dei semplici origlianti svagati? Facciamo parte dei nove guariti ingrati ma osservanti della legge o ci riconosciamo nell’unico che per amore riconoscente è disposto a violare la legge.
La fede si radica solo nell’amore che non conosce limiti.

MEDITAZIONE

Luca esordisce ricordando, ogni tanto lo fa a partire dal capitolo 9, che Gesù era «lungo il cammino verso Gerusalemme» (Lc 17,11). È in viaggio verso il luogo dove egli compirà la sua missione di salvezza a vantaggio di tutta l’umanità. Su questa strada incontra dei bisognosi di salvezza di natura particolare: dei lebbrosi.
Si sa che la lebbra comportava una situazione particolarmente marginalizzante per chi ne era affetto. Considerati impuri, affetti da una malattia religiosamente connotata, i lebbrosi erano in condizione di totale esclusione, sia sociale sia religiosa. Nessuna speranza dunque per loro; tranne la guarigione, ovviamente.

L’invocazione di salvezza

Luca dice che i lebbrosi «si fermarono a distanza» (Lc 17,12), come prescrive la Legge. Tuttavia non sono altrettanto rispettosi della Legge con le loro parole. Il libro del Levitico impone di gridare «Impuro! Impuro!» (cf Lv 13,45). I dieci lebbrosi, invece, innalzano una preghiera d’invocazione: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi» (Lc 17,13). La Legge, anche se a scopo protettivo del benessere della comunità, comporta l’annuncio della condanna; l’uomo bisognoso, nella necessità, invoca salvezza. Nelle parole dei dieci lebbrosi, più che le parole della Legge risuonano i salmi d’invocazione. Ma sono proprio queste parole che esprimono sofferenza e bisogno che colmano la distanza creata dalla Legge. Sono le invocazioni che, nella preghiera, salgono dalla miseria della terra alla misericordia che è nei cieli.

Credere alla promessa, sottomettersi alla Parola

Proprio questo è l’effetto. Gesù si volge verso di loro. Lo sguardo di misericordia raggiunge chi è lontano. «Appena li vide» (Lc 17,14), dice il testo.
Gesù non tocca i malati (cf Lc 5,12-15); semplicemente, ancora in ossequio della Legge (cf Lv 14), ordina loro di andare dai sacerdoti. Tuttavia, quando Gesù li invia dai sacerdoti, essi non sono ancora guariti. Luca afferma, infatti, che «mentre essi andavano, furono purificati» (Lc 17,14). L’ordine di Gesù non è accompagnato da una guarigione immediata. Essa accade in modo oscuro, forse progressivo. Le parole di Gesù sono una promessa, non un miracolo. Perché la guarigione possa avvenire, essi devono fidarsi della promessa ma senza alcuna conferma che la promessa stessa. I dieci lebbrosi sono guariti perché si sottomettono alla Parola che li raggiunge.
L’atteggiamento dei lebbrosi è il medesimo di Naamàn. Il prode comandante dell’esercito arameo, lebbroso, per trovare la guarigione deve affrontare un lungo cammino. Al viaggio fisico si accompagna quello interiore di progressiva spogliazione. Una faticosa conversione che impone l’abbandono dell’orgoglio del nobile, delle richieste di appagamento estetico della propria religiosità, e l’accettazione dell’ordine del profeta. La guarigione avviene in virtù di questa conversione, più che in ragione dei gesti o dei lavacri. Il vertice della conversione di Naamàn è raggiunto quando egli perviene alla fede nel Dio di Israele, professata con le parole e celebrata nel culto (cf 2 Re 5,15;17).

Dalla guarigione alla salvezza

Se dunque la misericordia di Dio si offre a tutti, indipendentemente dalla nazionalità o dalla condizione, ma solo in ragione della fede, l’episodio dei dieci lebbrosi mostra che dinnanzi a tanta benevolenza le reazioni degli uomini possono essere diverse. Dei dieci solo uno torna a ringraziare. Qui è la vera fede, che prima crede e poi riconosce il beneficio ricevuto e ringrazia per esso.
La differenza sta nel fatto che tutti e dieci sono guariti, ma solo uno e salvato. «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato» (Lc 17,19).
La vicenda di questo unico lebbroso, per di più Samaritano, indica anche da chi viene la salvezza: non dalla Legge, bensì da Cristo, al quale si rivolge la fede del credente secondo la breve professione di fede scritta da Paolo a Timoteo (2 Tm 2,8). Poche parole con le quali l’apostolo lega messianicità, incarnazione e risurrezione di Gesù.
Solo in Cristo c’è salvezza. E deve far pensare che fra tutti solo un Samaritano giunga alla fede in lui. Non esistono credenziali nel cammino di fede; conta solo la disponibilità personale.