1 1 A P R I L E
4ª DOMENICA DI PASQUA
(Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni)
CUSTODITI NELLA FEDE
COMMENTO
Tutte le volte che Gesù si trova nel tempio di Gerusalemme i detentori del potere ecclesiastico lo braccano per metterlo in difficoltà. Nell’episodio narrato da Giovanni puntualmente questo fatto si rinnova.
Siamo in inverno e si celebra la festa che ricorda la dedicazione del Tempio avvenuta nel 165 a.C. per mano di Giuda il Maccabeo. Per l’occasione veniva acceso un grande Candelabro fulcro della “Festa delle Luci”. Il messaggio che Gesù predica è pieno di libertà , di amore e di solidarietà . Esso si pone in antitesi con la Legge del Tempio che obbliga, che punisce e che schiavizza. Questo rende inconciliabile la convivenza fra i due modi di vivere la fede in Dio.
I custodi del Tempio lo capiscono perfettamente. Gesù ed i rappresentanti del Tempio entrano in rotta di collisione. Costoro, schiumando rabbia, pongono una rabbiosa domanda. La traduzione italiana non la rende bene.
Infatti digrignano: “Perché ci togli il respiro?” E non “fino a quando terrai l’animo nostro sospeso?”. Sono malvagi, ma non sprovveduti. Si rendono conto che i due modi di concepire la fede sono antitetici ed incompatibili.
Gesù non si sottrae al duro confronto.li accusa di essere ciechi e di non vedere le opere di bene che compie, perché non fanno parte del suo gregge e non ascoltano e non riconoscono la sua voce. Comportandosi cosi, rinnegano il Padre che ha affidato al Figlio la cura e la custodia delle sue pecore. Gesù calca la mano e pronuncia una frase che fa scapocchiare i suoi interlocutori. “Io ed il Padre siamo uno “.
Nella mentalità’ di allora l’uno stava ad indicare Dio. Dicendo questo il Messia si proclamava Dio. Questo suonava a terribile bestemmia passibile di morte.
La discussione è finita. Deve morire per lapidazione. Gesù deve fuggire di gran carriera e rifugiarsi di corsa nel deserto aldilà del Giordano nei luoghi in cui il Battista aveva vissuto e battezzato i suoi seguaci. Dio è Parola.
E la Parola deve essere ascoltata e vissuta.
È il fulcro della fede cristiana. I nostri timpani come rispondono all’annuncio del Vangelo?
Siamo degli attenti uditori o degli sbadati origlianti?. Chiediamocelo per alcuni istanti.
MEDITAZIONE
Uno dei motivi principali di difficoltà a comprendere il capitolo 10 del vangelo di Giovanni è che non riusciamo a penetrare nella dimensione profonda e affettiva che queste immagini evocano perché sono, per la maggior parte di noi, fuori dal nostro vissuto ordinario. Gesù, invece, proprio da questo vissuto concreto prendeva spunto per dire il rapporto fra pecore e pastore, e le sue conseguenze.
Le affermazioni di Gesù e lo scandalo dei Giudei
L’immagine del pastore non è inedita nella Bibbia. Si ricordi il profeta Ezechiele (cf Ez 34). Sommando le due cose: Gesù dice di essere lui il buon Pastore, compimento delle promesse dei profeti dell’Antico Testamento, che, in un rapporto di reciproco amore, conduce il gregge alla vita.
Nella prima parte del capitolo 10 del vangelo di Giovanni, Gesù, a partire dalla similitudine del pastore e da quelle a essa collegate, aveva già detto cose scandalose. Tutto ciò aveva provocato dissenso e ostilità negli uditori.
Finalmente gli viene rivolta la domanda cruciale: «Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente» (Gv 10,24). Domanda che rivela il vero nocciolo del problema: la fede.
La fede ci rende gregge di Gesù, immette in quel rapporto intimo di conoscenza reciproca resa dalle parole (cf Gv 10,27). La fede instaura il rapporto di reciproca appartenenza affettiva ed effettiva fra noi e Gesù. La fede consente a Dio di donare la vita eterna a chi crede, e al credente di non porre ostacoli a ricevere il dono.
La reciproca appartenenza generata dalla fede è sicura e affidabile, perché le pecore del gregge «non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano» (Gv 10,28). La «mano» significa la potenza di Dio che si dispiega per la salvezza dell’uomo. È la mano di Dio (cf Gv 10,29), e perciò quella con cui agisce Gesù, è la stessa potenza di Dio (cf Gv 10,28).
Qui si giunge al centro teologico del brano. «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30). L’affermazione di Gesù è insostenibile per i Giudei, lo accusano di blasfemia, e tentano di lapidarlo (cf Gv 10,31).
La fede operativa di Paolo e Barnaba
Nella potenza del Padre e nell’appartenere a Gesù sta la ragione della nostra sicurezza di fronte al pericolo. Solo questo senso di affidamento genera la solidità interiore che rende capaci di essere creativamente fedeli al Signore.
Quando Paolo e Barnaba entrano nella sinagoga di Antiochia, dopo esservi stati pure invitati, ricevono un’accoglienza avversa a causa della gelosia dei Giudei. Avrebbero potuto legittimamente spaventarsi. Per l’ostilità; perché erano ad Antiochia, una grande città che aveva già avuto un primo contatto con il cristianesimo, ma che rimaneva prevalentemente una città pagana. Paolo e Barnaba erano cacciati dalla sinagoga, l’unica presunta isola di sicurezza. Avrebbero potuto spaventarsi e invece reagiscono con fedeltà creativa di fronte all’ostacolo. Dopo aver annunciato il Vangelo ai loro connazionali, decidono di rivolgere il loro annuncio anche ai pagani. Lo fanno per fedeltà alla Parola di Dio (cf At 13,47). Luca cita Is 49,6, versetto che aveva già citato implicitamente per parlare di Gesù (Lc 2,32).
Accogliere le sfide del Vangelo
Cristo è il modello della Chiesa, non solo per il suo comportamento etico (troppo poco!), ma per la sua intera vicenda. La Chiesa modella il suo agire, la sua missione, in costante riferimento normativo a Cristo. Come Gesù, dopo la sua omelia nella sinagoga di Nazareth (cf Lc 4), era stato aggredito e andandosene cominciò a predicare per tutta la Palestina, così Paolo e Barnaba, rifiutati, trovano altri luoghi (fisici e culturali) a cui rivolgersi.
Qui sta l’interrogazione finale delle letture di oggi. Se siamo sicuri della protezione di Dio, se siamo, almeno nell’intenzione, fedeli alla Parola, perché si registra tanta perdita di creatività, tanta stanchezza a pensare e affrontare nuove sfide per l’annuncio del Vangelo? Perché da anni ripetiamo le stesse azioni senza l’entusiasmo di intraprendere nuove strade? Perché abbiamo perso lo slancio giovanile e la creatività fedele e coraggiosa della Chiesa apostolica? Pensiamo forse che Antiochia fosse meno problematica e sfidante dei panorami culturali e sociali di oggi?
