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3. Commento alle Letture – 1 GIUGNO 2025 ASCENSIONE DEL SIGNORE

1 GIUGNO 2025

ASCENSIONE DEL SIGNORE

(Giornata mondiale per le comunicazioni sociali)

DALLA RISURREZIONE ALLA CHIESA

COMMENTO

Per sei domeniche la liturgia ci ha accompagnato, nel nostro cammino post-pasquale, con la lettura del Vangelo di Giovanni.
Alla settima tappa compie una svolta presentandoci la parte finale della narrazione evangelica di Luca.
Giovanni, fra gli evangelisti, è il fine teologo per eccellenza. Luca, invece, è’ un forbito letterato che sfoggia una magistrale padronanza della lingua e della cultura greca.
La narrazione dell’ascensione del racconto evangelico di questa domenica dobbiamo innestarla nella visione cosmologica  religiosa del tempo. Dio risiedeva nell’alto dei cieli, gli uomini abitavano la terra. Il divino scendeva dall’alto, l’umano saliva verso l’alto. Ascendere non voleva dire separarsi dall’imano piuttosto indicava rendere il divino una presenza costante nella storia.  Ascendendo Gesù non si allontana ma si radica per sempre, come Spirito Santo, nel nostro cuore
Questo momento importante non avviene in Gerusalemme, ma a Betania, poco distante dalla città santa, perché dopo la Risurrezione non è più la città di Davide, con il suo Tempio, con la sua Legge, con i suoi sacrifici e con la sua ossessiva e nevrotica osservanza del Sabato, ad occupare il centro della relazione con Dio, ma l’amore testimoniato e vissuto fino alla morte e alla Risurrezione dal Figlio di Dio.
Per questo Luca nel descrivere l’uscita di Gesù e dei discepoli verso Betania adopera lo stesso verbo (“condusse fuori”) usato nell’Esodo per narrare l’uscita dall’Egitto del popolo di Israele guidato da Mosè. Credere nella morte e risurrezione comporta uscire dal formalismo legale del culto, per camminare con intelligenza e libertà  nel mondo della carità del perdono, della giustizia e della pace.
Gli apostoli come al solito prendono fischi per fiaschi. Giulivi ritornano a Gerusalemme per  rifugiarsi sotto la protezione del Tempio, della Legge e della tradizione. Solo l’intervento diretto dello Spirito Santo scioglierà i loro blocchi mentali, vincerà le paure che li impietriscono e aprirà, finalmente, i loro occhi. Ma questo Luca ce lo racconterà negli Atti degli Apostoli al  capitolo 2 dove Pietro, finalmente convertito, sintetizza l’essere cristiano con queste parole: «Cambiate mentalità’ e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per il perdono dei vostri peccati e riceverete lo Spirito Santo» (Atti 2,38).
La discesa dello Spirito Santo è il sigillo e la garanzia dell’eterna nuova Alleanza tra il divino e l’umano che tocca a noi vivere ed incarnare nella storia.

MEDITAZIONE

Nella liturgia della Parola di questa solennità ciò che crea un po’ di disorientamento è che lo stesso evento, l’ascensione al cielo di Gesù, è narrato in due versioni leggermente differenti dallo stesso autore (cf Lc 24,51 e At 1,9-10). L’evento in sé è il medesimo: il Risorto è con i suoi discepoli e, salendo al cielo, scompare alla loro vista. Nei due racconti, però, il fatto accade secondo cronologie notevolmente diverse.

Due diverse intenzioni teologiche

Luca scrive due opere che concepisce in continuità. Gli Atti cominciano, infatti, con un richiamo al Vangelo. I due libri sono dedicati allo stesso lettore fittizio, Teofilo (cf Lc 1,3 e At 1,1), e narrano di due periodi storici diversi ma contigui. Il Vangelo, la vita di Gesù. Gli Atti, la storia successiva alla sua risurrezione (cf At 1,1-2).
Ritornando alla cronologia dell’ascensione, nel Vangelo essa avviene la sera dello stesso giorno di Pasqua, negli Atti degli Apostoli quaranta giorni dopo la sua risurrezione (At 1,3). La ragione di questa differenza consiste nel fatto che nel Vangelo l’attenzione è rivolta all’unità di risurrezione e ascensione. Con la risurrezione Gesù è già entrato nella sfera della gloria divina e non ritorna alla condizione di vita precedente alla passione. Ed essendo l’attenzione del vangelo rivolta alla vicenda di Gesù, dall’incarnazione alla sua risurrezione, l’ascensione, che è parte integrante di quest’ultima, è legata alla risurrezione. Negli Atti degli Apostoli, invece, l’attenzione è rivolta al periodo successivo alla risurrezione, al futuro della comunità cristiana. Il distanziamento temporale di risurrezione e ascensione (e successivamente ancora della Pentecoste) è, per Luca, un modo per inserire un importante elemento tematico in vista della missione della Chiesa: quello della preparazione a essa (cf At 1,3;6,7).
Da tutto ciò deriva una conclusione. Sia in una versione che nell’altra l’ascensione è il termine del tempo caratterizzato dalla presenza di Gesù e con essa inizia il tempo della Chiesa, il tempo della missione per la quale il Risorto deve abilitare la sua comunità.

Il tempo della Chiesa

La caratteristica fondamentale di questo tempo è di essere un «tempo di mezzo» perché sta tra la risurrezione-ascensione e la parusia, il ritorno del Figlio dell’Uomo, tra il ministero di Gesù che è compiuto e la fine dei tempi (cf At 1,11). Il «tempo di mezzo» è il nostro tempo.
Pensare la storia che viviamo in termini di «tempo di mezzo» dà a essa particolari connotazioni.
In primo luogo, significa che la storia di cui facciamo parte è orientata a un fine, l’incontro con il Risorto alla fine dei tempi. Questo dà un significato particolare alla parola progresso, che è lo sviluppo della storia intera verso un fine che non realizza ma che le viene incontro. D’altra parte, però, rende ragione della presenza del male. La storia ha un orientamento verso la pienezza, ma il percorso è interrotto e frammentato. L’esito è certo, il cammino, dove prevale il peccato, soggetto a interruzioni e ritorni indietro.
In secondo luogo il tempo di mezzo è il tempo della Chiesa. Questo significa che la Chiesa non è il Regno di Dio ma solamente funzionale a esso.
In terzo luogo il tempo di mezzo, essendo il tempo della Chiesa, è per essa tempo di responsabilità sulla storia e di missione. Le letture di oggi sul tema missione danno delle indicazioni. Sono detti esplicitamente: l’estensione della missione (cf At 1,8) e i suoi contenuti (cf Lc 24,46).
In quarto luogo il tempo di mezzo è il tempo dell’attesa vigilante e gioiosa (cf Lc 24,52) perché, come recita l’Orazione di Colletta, la risurrezione e ascensione al cielo non è un privilegio di Gesù, ma per mezzo di lui è il destino di ciascuno di noi. Di quest’orizzonte si nutre la speranza nella quale viviamo.
L’ultimo aspetto del tempo di mezzo è che Gesù, in entrambi i testi (Vangelo e Atti), prima di lasciare i discepoli fa loro una promessa. Gesù si sottrae alla vista dei discepoli, ma non li lascia orfani. Promette lo Spirito Santo. Questo è il punto che ci rimanda alla Pentecoste, e che unisce risurrezione, ascensione e Pentecoste. Il protagonista del tempo di mezzo, infatti, è lo Spirito Santo.