• Is 35,1-6a.8a.10 – Il nostro Dio viene a salvarci.
• Dal salmo 145 – Rit.: Vieni, Signore, a salvarci (oppure: Alleluia, alleluia, alleluia).
• Gc 5,7-10 – Rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
• Canto al Vangelo – Alleluia, alleluia. Lo spirito del Signore è su di me, mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri. Alleluia.
• Mt 11,2-11 – Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo attenderne un altro?
PER COMPRENDERE LA PAROLA
PRIMA LETTURA
Destinatario e occasione della profezia: il popolo esiliato a Babilonia, umiliato dalla prova. La terra degli antenati è abbandonata e ridotta a un deserto incolto, la città santa in rovina nelle mani dello straniero.
Il movimento del messaggio
– Le immagini brillanti di un paese che riprende vita: il paese deserto, la terra arida, si ricoprano di fiori di campo, come i prosperi paesi vicini: il Libano, il Carmelo, il Saron. Questa rappresentazione idilliaca si può avvicinare al quadro delineato da Is 11,6-9: «Il lupo dimorerà insieme con l’agnello».
– Un invito al coraggio: «Irrobustite le mani fiacche…».
– I segni del rinnovamento: «Si apriranno gli occhi dei ciechi…». È il rinnovamento di cui parlano Is 43,19 e Ap 21,5.
– Dietro a tutto ciò sta l’intervento meraviglioso del Signore: «Essi vedranno la gloria del Signore»… «Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». È una «teofania»: la salvezza dei poveri è una manifestazione di Dio.
Per accettare questa presentazione di un Dio vendicatore, è necessario valutare e in certo modo condividere la sofferenza dei deportati. Molti oracoli profetici presentano la loro situazione come un castigo meritato dall’infedeltà. Qui Dio è solidale con i poveri: «Ecco il vostro Dio». Egli è con loro, annuncia loro la sua rivincita, il rovesciamento del disordine stabilito, il ritorno a Gerusalemme nella gioia. È un capovolgimento di situazione (cf le beatitudini).
La guarigione degli infermi è contemporaneamente fisica e morale: la gioia restituisce le gambe non soltanto agli storpi, ma anche ai pigri, rende loquaci coloro che erano rassegnati a tacere. I ciechi, che rifiutavano di vedere l’azione di Dio, devono arrendersi all’evidenza. Coloro che si turavano gli orecchi finiscono per sentire la Buona Novella della salvezza.
La profezia di Isaia serve da riferimento al Vangelo di Matteo che viene letto oggi. Essa era familiare agli uditori di Gesù; sicché, sentendo dire ai discepoli di Giovanni: «i ciechi ricuperano la vista…», gli uditori non intendono soltanto: «Ecco i miracoli che io compio», ma anche: «Oggi si compie fra voi la manifestazione di Dio annunciata da Isaia».
Nel periodo di Avvento questo «oggi» ridiventa attuale; noi dobbiamo intendere la profezia per questo momento della storia della salvezza.
SALMO
Fa il confronto tra il ricorso deludente ai potenti della terra e la fiducia posta in Dio.
I versetti proclamati oggi fanno eco alle promesse di Isaia: Dio rende giustizia a tutti gli oppressi.
All’immagine abituale del Signore protettore di Israele si sostituisce quella di protettore dei poveri: la vedova, l’orfano e anche lo straniero. Ma anche Israele è povero, quindi è il protetto del Signore.
SECONDA LETTURA
Per le comunità della Chiesa primitiva, la venuta del Signore è il suo ritorno finale che deve por fine alle nostre prove e stabilire la giustizia definitiva. Nell’attesa, si impongono due consigli:
– Siate pazienti. L’apostolo Giacomo suggerisce l’esempio di pazienza dato dagli agricoltori. Si vedano le parabole della zizzania e del granellino di senape (Mt 13,24ss).
– Non lamentatevi gli uni degli altri. Lasciate il giudizio al Signore. «Non giudicate e non sarete giudicati» (Lc 6,37; cf 1 Cor 4,3).
Per giustificare questo consiglio, l’Apostolo afferma: «Il giudice è alle porte». È in certo qual modo un correttivo all’invito alla pazienza, che, preso isolatamente, rischia di «smobilitare», di intorpidire l’attesa.
Nel tempo di Avvento la Chiesa deve contemporaneamente alimentare la sua pazienza e ridestare la sua impazienza, poiché il Signore è alle porte, anche se tarda a manifestarsi. Sottolineiamo infine la continuità in questo invito alla pazienza: s. Giacomo si fonda sull’esempio dei «profeti», cioè dei santi dell’Antico Testamento (egli pensa particolarmente a Giobbe), i quali, pur coinvolti in tutte le sventure, non hanno mai perduto la speranza.
VANGELO
Questo passo riferisce l’intervista che i discepoli di Giovanni Battista fanno a Gesù.
La missione del Precursore si conclude nell’umiltà. Egli non è lo sposo, ma soltanto l’amico dello sposo che «è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo»… «Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3,29-30). Forse tradisce anche una certa inquietudine: quella dell’uomo che avanza negli anni e si domanda in che modo si compirà la sua missione.
La pedagogia di Giovanni consiste nel condurre i suoi discepoli a porre essi stessi le domande, nel metterli alla presenza di Gesù. Lo ha indicato a Giovanni e ad Andrea, che sono andati a domandargli: «Rabbi, dove abiti?» (Gv 1,38).
Giovanni avrebbe potuto facilmente tenere i suoi discepoli intorno a sé; in certo modo, egli faceva più impressione di Gesù con il suo ascetismo, meglio appropriato all’immagine del profeta che fustiga e minaccia.
La pedagogia di Gesù con i discepoli di Giovanni: li rimanda contemporaneamente ai fatti e alla Parola di Dio. Egli cita (liberamente) Isaia come farà nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,21): «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi». È proprio ciò che ogni omelia deve mettere in luce. Accanto ai segni che coincidono, ci sono quelli che disorientano; Gesù è completamente diverso da Giovanni il Battista e rischia di sconcertare i discepoli di Giovanni, se non lo stesso Giovanni. È un profeta di stile nuovo: beato chi non si scandalizzerà di lui!
Con la folla Gesù si serve della circostanza, dell’attualità, per educare i testimoni della scena. Li riporta a se stessi: «Che cosa siete andati a vedere?». Purifica l’intenzione, il significato dell’essersi recati ad ascoltare Giovanni. Probabilmente essi erano stati spinti dalla curiosità, ma anche da qualcosa di più. Perché sono andati a vedere quel pover’uomo, vestito di pelli di cammello?
È l’occasione di situare la missione di Giovanni Battista: è il più grande dei profeti. Ma adesso, con Gesù, incomincia un fatto nuovo: il regno dei cieli.
PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)
Preparerà la tua via davanti a te!
In questa settimana ci si prepara al Natale; non soltanto nella Chiesa, ma anche nel mondo: strade illuminate, negozi, ecc.
Ma chi è «colui che deve venire»? Si rischia di festeggiare soltanto il «re del consumismo». È uno scandalo! «Beato colui che non si scandalizza di me!». Nel Vangelo, la preparazione avviene nel deserto; non perché sia il luogo della felicità voluta da Dio (il deserto deve «rifiorire»), ma perché bisogna passare di lì: è il luogo della prova, della tentazione, della sete e quindi del desiderio; è il luogo dove le parole di speranza acquistano un significato.
In questo tempo di Avvento dobbiamo ritornare nel deserto: i luoghi dai quali la vita si è ritirata, miseria fisica e morale, ingiustizia, scoraggiamento e smarrimento. Non si deve andare tanto lontano: anche i bus stracolmi e i grandi agglomerati sono, a modo loro, dei deserti. Dobbiamo fare l’inventario del nostro deserto interiore.
In questo tempo di Avvento dobbiamo sentire le parole di speranza: «Coraggio! Non temete»; credere che il rinnovamento verrà in primo luogo da Dio: «Ecco il vostro Dio!»; ma verrà anche da noi, trasformati e rinvigoriti da Dio: «I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano».
Pazienza e impazienza
Sono i due modi con cui gli uomini affrontano i problemi, e ciascuno ha le sue possibilità e i suoi rischi.
I pazienti agiscono lentamente, si rassegnano, accettano i compromessi con troppa facilità. Gli impazienti vogliono tutto subito, sono intransigenti, talvolta mancano di realismo.
Durante l’Avvento la Chiesa trova nella Bibbia tutte le espressioni dell’urgenza e dell’imminenza della salvezza. «Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta» (1a lettura). «Ecco, il giudice è alle porte» (2a lettura). «Sei tu colui che deve venire?» (Vangelo).
Essa scuote la nostra apatia, ravviva la nostra sete, si unisce agli impazienti. Ma il Vangelo è ben diverso dalla rivoluzione o dalla conquista del mondo. Esso deve guarire in profondità, cambiare veramente il mondo, far «rifiorire il deserto».
La Chiesa predica anche la pazienza, come s. Giacomo, non per paura, ma per rispetto dell’azione di Dio, che agisce nel tempo e con il tempo.
La pazienza non è rassegnazione; già oggi dobbiamo farci coraggio e metterci al lavoro; fin d’ora i ciechi vedono e gli storpi camminano.
Ma l’opera di Dio è misteriosa e soltanto nel tempo escatologico sarà pienamente compiuta.
Sei tu colui che deve venire?
La nostra fede si vive e si rafforza affrontando i problemi della vita. I timidi ne sono turbati; non si devono mettere in discussione le certezze rassicuranti: il Messia è venuto; non pensiamoci più. Ma molti uomini, molti cristiani si interrogano e sono i più vivi: «Se il Messia non ha cambiato il mondo, non è il vero Messia». Gesù accetta di essere interrogato, non teme la prova dei fatti e invoca per sé la duplice testimonianza della Scrittura e delle opere.
Oggi questa testimonianza mette in discussione la vita dei credenti: sono essi dei ciechi che vedono, degli zoppi che camminano? Come al tempo del Vangelo, i fatti da soli non sono sufficienti a convincere tutti. È necessario che la parola li metta in luce. Cerchiamo insieme la manifestazione attuale della potenza del Salvatore e la testimonianza della parola che la mette in luce.
(tratto da: M. Gobbin, Omelie per un anno – vol. 1, anno A, tempi forti – Elledici 2003)