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3. Annunciare la Parola – 8 novembre 2020


8 novembre

32ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Giornata del Ringraziamento

Con le lampade accese nell’attesa dello Sposo

PER RIFLETTERE E MEDITARE

La parabola delle dieci ragazze in attesa dello Sposo ha tutto il sapore dell’ambiente palestinese. Ed è così che il Vangelo ci invita a riflettere sul senso finale e decisivo della nostra vita, su cui san Paolo ai Tessalonicesi dice parole di particolare conforto: «Non possiamo essere tristi come gli altri che non hanno speranza!» (1Ts 4,13). Ma lo Sposo va atteso con le lampade accese, conservando viva la nostra fede.

Attendere lo Sposo

Quella delle dieci ragazze che attendono lo Sposo è una parabola curiosa, molto conosciuta. È attesa di una festa grande, è la bellezza della vita cristiana, che nel Vangelo tante volte viene presentata proprio come una magnifica festa di nozze.
Lo Sposo tarda a venire e si deve vigilare. Ma cinque di quelle ragazze si addormentano e poi non hanno più olio nelle loro lampade.
Anche la nostra vita è un susseguirsi di attese: del matrimonio, dei figli, di un viaggio, della pensione… Attesa di cose più banali: di una vincita alla lotteria, attesa di una persona che desideriamo o non desideriamo incontrare, di una telefonata che non arriva… Ma è soprattutto l’attesa del regno di Dio che dà senso a tutto, l’incontro con lo Sposo Gesù, che ci spinge a uscire da una vita vissuta senza alcun filo logico, senza prospettiva, una vita qualunque.
Così vigili dovrebbero essere i cristiani, che sanno che nella notte a mezzanotte arriverà lo Sposo e vogliono che li trovi svegli. Intendono vivere a occhi aperti, dando a Dio l’attenzione che merita. Per Dio si veglia, si fa l’alba: «O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia… Nel mio letto di te mi ricordo, e penso a te nelle veglie notturne», ci fa dire il salmo 63. Invece la nostra vita di fede conosce momenti di stanchezza, di sonno, di indifferenza.

Le cinque ragazze che si addormentano

San Giovanni Crisostomo afferma che la nostra vita è come una rappresentazione teatrale. Ciascuno recita la sua parte, ma alla fine dello spettacolo ci si libera delle maschere e restiamo quello che siamo di fronte a Dio.
Le cinque ragazze nell’attesa si addormentano. Sono il simbolo della nostra società che spesso vive nell’incoscienza, in una quotidianità piatta e sazia, che non si fa domande, che non attende sul serio nulla nella prospettiva di ciò che è veramente importante per l’eternità.
Queste ragazze in attesa dello Sposo sono così simili a tanti giovani d’oggi, incapaci di prendere le cose sul serio, di responsabilizzarsi. Giovani che preferiscono dormire in una quotidianità piena di colore, ma anche fatta di provvisorietà e di incognite.
E la dura chiusura della parabola, quel risentimento che induce lo Sposo a chiudere le porte, che gli fa dire «Non vi conosco», è quello dell’amante deluso, di chi non si sente atteso, cercato; di chi capisce che l’amore si è spento insieme alle loro lampade.
Dice san Vincenzo de’ Paoli: «La grazia della perseveranza è la più importante di tutte. È essa che corona tutte le altre grazie e la morte che ci trova con le armi in mano è la più gloriosa e la più desiderabile».

Quelle che lo Sposo trova sveglie

Ma diamo uno sguardo anche alle cinque ragazze vigilanti, che hanno mantenuta viva l’attesa dello Sposo con le lampade accese. Noi vogliamo essere tra queste. Noi che ci troviamo a messa quest’oggi possiamo pensare − perché no? − di far parte di queste ragazze prudenti. Noi che ogni domenica facciamo i nostri calcoli e alla fine decidiamo di lasciare altri impegni per venire in chiesa a celebrare l’Eucaristia e alimentare in questo modo la fiaccola della nostra fede e quella della comunità.
Nella celebrazione eucaristica realizziamo il nostro incontro con lo Sposo, perdiamo la paura, l’inquietudine di chi è sempre timoroso di come andrà a finire. Perché la nostra fede – ce lo conferma la parola di Paolo che abbiamo letto – ci dice che tutto andrà bene, che se manteniamo accese le nostre lampade entreremo nel regno di Dio e ci sentiremo chiamare per nome − «Maria!» − come è avvenuto alla Maddalena il mattino di Pasqua.
In questa parabola ci sono anche alcune incongruenze, alcuni particolari piuttosto strani: il ritardo eccessivo dello Sposo, l’indifferenza delle cinque ragazze che non vogliono dividere l’olio con le loro compagne. E poi c’è un’altra cosa, quella che ha detto acutamente una bambina a catechismo: «Manca la sposa in questa parabola!». Ma la catechista le risponde: «La sposa sei tu!». Sì, la sposa c’è, ed la Chiesa, siamo noi, ciascuno di noi. Gesù si serve di questa parabola per farci comprendere la tonalità alta del suo amore per ciascuno di noi.

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

Madre Teresa racconta che sua madre Drane, sempre in attività durante tutto il giorno, quando arrivava la sera metteva a posto la sua persona e si sedeva tranquilla, in attesa del ritorno dal lavoro del marito. «Voglio che mi trovi così», diceva. «Pronta a riceverlo».