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3. Annunciare la Parola – 11 ottobre 2020


11 ottobre
28ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Invitati alla festa di nozze del Figlio di Dio


PER RIFLETTERE E MEDITARE

Alcune parabole di Gesù hanno come sfondo un banchetto. Quella di questa domenica racconta di un re che organizza una grandiosa festa di nozze per il figlio e fa tutto il possibile per renderla memorabile. Invita i più ragguardevoli della città, le persone ricche e facoltose, che però incredibilmente rifiutano. Alcuni lo fanno perché hanno altri impegni (il lavoro dei campi, i propri affari…), ma altri reagiscono con la violenza all’invito: maltrattano i servi e li uccidono.

Festa di nozze per il figlio del re

La parabola è la fotografia di una storia ben conosciuta, quella di Gesù, messia e Figlio di Dio, rifiutato dai capi di Israele, sacerdoti e farisei. La reazione del re è durissima: si sdegna, fa uccidere gli invitati scortesi e mette a ferro e fuoco la città. Luca invece, che racconta la stessa parabola con alcune varianti, conclude dicendo che vengono invitati quanti più si può a partecipare al banchetto: poveri, storpi, ciechi e zoppi. E non c’è alcuna vendetta nei confronti di chi non accetta l’invito.
Matteo usa un linguaggio profetico: più degli altri evangelisti dà il senso della drammaticità della chiamata, del giudizio di Dio sugli atteggiamenti che gli uomini, ebrei o cristiani, assumono nei confronti della proposta evangelica. Matteo si è legato alla storia d’Israele e ha voluto dire di più, ricordando probabilmente l’incendio di Gerusalemme del 70 d.C.
Oltre ad avere una finalità storica, Matteo ne avrebbe anche una pedagogica. Usa quelle similitudini come farebbe una madre, che allerta il figlio che esce di casa e gli dice di stare attento alle macchine per non essere investito. E glielo dice proprio perché non vuole che questo avvenga.
C’è in Matteo un altro particolare che non compare nel racconto di Luca: tra gli ultimi invitati, buoni e cattivi, c’è uno che non ha indossato l’abito nuziale e anche in questo caso la reazione del re è severissima: l’uomo viene legato mani e piedi e gettato fuori nelle tenebre. L’invitato infatti, presentandosi in quel modo, era presente alla festa, ma senza parteciparvi davvero. Matteo aggiunge questo particolare in riferimento alla comunità cristiana delle origini, nella quale qualcuno poteva trovarsi nella Chiesa come per caso, non ben motivato, magari per secondi fini.

Dio ci convoca alla festa della vita

Evidentemente il re è Dio, che chiama tutti indistintamente alla festa della vita. Se nella parabola questo invito allargato a tutti è dovuto al rifiuto da parte dei primi, in realtà di fronte alla salvezza siamo tutti invitati.
Si tratta anche di una chiamata urgente, unica, irripetibile, che esige risposta: non vuoi venire tu? Chiamo un altro. Dio non forza la mano, non ti manda le guardie a costringerti a entrare.
Naturalmente il banchetto a cui Dio chiama è quello della vita cristiana, la costruzione del regno di Dio. La partecipazione a questo banchetto esige la veste della conversione. Invece quello che non indossa l’abito nuziale è uno che si trova tra i salvati per caso, che vive tra i cristiani senza sentirsi a casa sua. Si pensa cristiano perché battezzato, ma non ne condivide gli ideali, non rinuncia al proprio modo sbagliato di vivere.
Pensiamo al caso limite dei grandi camorristi o dei mafiosi: tutte persone battezzate, che nei loro covi conservano immaginette di padre Pio e della Madonna, ma non hanno scrupoli a tiranneggiare la gente e a usare violenze di ogni tipo.

Nella comunità cristiana

Ritornando alla prima parte della parabola e attualizzandone al massimo il significato, possiamo affermare che Dio chiama oggi al suo banchetto concretamente nella comunità cristiana. E possiamo chiederci qual è la nostra risposta, quale la nostra disponibilità nei suoi confronti. Da qualche anno gli inviti si moltiplicano: si organizzano incontri di ogni tipo. Ma chi partecipa? C’è chi dice: siamo sempre gli stessi. Molti si accontentano di vivere ai margini, dicono di non avere tempo. Ma davvero è il tempo che manca?
Sta di fatto che anche oggi, come nella parabola, è difficile convocare la gente al banchetto. Ma se si perdono i contatti con la comunità parrocchiale si corre il rischio di vivere una vita di fede individuale, di diventare spiritualmente sottoalimentati. Oggi si sente di tutto − pensiamo a quante ore dedichiamo alla televisione – ed è necessario ascoltare di più la parola di Dio.
Dobbiamo però sicuramente domandarci se quello della Chiesa è l’invito a una festa. «Dovrebbero farci sentire altri canti», diceva Nietzsche, parlando dei cattolici; e Moravia: «La religione è noiosa. Nelle chiese la gente si annoia». Eppure le parole di Gesù fanno pensare al regno di Dio come a qualcosa di gioioso, a una splendida festa senza fine.
In realtà non si tratta di organizzare qualcosa di effervescente e di festoso, ma qualcosa che risponda davvero ai bisogni profondi dell’uomo d’oggi, alla sua curiosità esistenziale, alla sua sete di felicità. Nelle parrocchie infatti a volte c’è tempo per iniziative di contorno, ma non per incontri seri sulla parola di Dio.
È comunque difficile oggi convocare i cristiani. Troppa gente ha quasi tagliato i ponti con la Chiesa e si limita ad avere nei suoi confronti soltanto i contatti inevitabili. E l’unica cosa che può funzionare è spesso la testimonianza personale. Ognuno di noi allora deve farsi portatore di Dio e della sua salvezza, far arrivare il regno di Dio dove la gente vive.

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

Durante la visita di Giovanni Paolo II a Reims (Francia) dovettero scegliere cinquanta persone per ricevere la comunione dalle mani del papa. L’arcivescovo decise di scegliere le 50 persone più coinvolte nelle attività parrocchiali. In questo modo furono escluse molte persone ragguardevoli, tra cui una ricchissima nobildonna francese, che, per poter esserci aveva assicurato un bel assegno per le opere diocesane. Ma il vescovo non cambiò idea. Il giorno prima però uno di quelli che erano stati scelti si ammalò. Con chi sostituirlo? Il parroco si rivolse al vescovo, che disse: «Faremo come dice il Vangelo: esci di qui e la prima persona che incontrerai l’inviterai a ricevere la comunione dal papa». Così fece. Il Signore dimostrò un bel senso dell’umorismo, perché il cinquantesimo invitato fu André, il barbone che chiedeva l’elemosina all’uscita della cattedrale (il primo che il parroco aveva incontrato), che ricevette quindi con sorpresa la comunione dalle mani di Giovanni Paolo II.