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3. Annunciare la Parola – 10 maggio 2020


10 maggio

5ª DOMENICA DI PASQUA

Io sono la via, la verità e la vita


PER RIFLETTERE E MEDITARE

Il contesto del brano evangelico di quest’oggi è quello del giorno degli addii, la sera del giovedì di Pasqua, vigilia delle ore drammatiche in cui Gesù sarà tradito e imprigionato. Gesù lava i piedi ai suoi apostoli. Giuda è appena uscito per consegnare il Maestro alle autorità ebraiche. Pietro rifiuta di vedere Gesù umiliato e non vuole lasciarsi lavare i piedi, ma presto lo rinnegherà: Gesù lo sa e glielo fa capire.

Gesù si rivela

Gesù parla del rapporto strettissimo che lo lega al Padre e agli apostoli. E, nello stesso tempo, rivela la sua più profonda identità: «Chi ha visto me ha visto il Padre… Io sono nel Padre e il Padre è in me». Dice di essere la strada, la via, la verità, la vita. E, proprio perché conosce bene gli apostoli, pare dire a loro, proprio nel momento che li sta abbandonando fisicamente, che potranno sempre contare su di lui e sulla sua presenza: «Se chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò», dice. E pensando ai problemi, alle difficoltà future e alle loro debolezze, li rassicura dicendo: «Chi crede in me compirà le opere che compio io e ne farà di più grandi». Aggiunge poi in modo esplicito che se saranno fedeli, condivideranno un posto insieme a lui presso il Padre: «Nella casa del Padre mio vi sono molti posti!».

Queste parole voglio infondere serenità e sicurezza e possiamo considerarle anche rivolte a noi. Perché anche noi siamo chiamati a condividere la missione di Gesù e a raggiungere la salvezza. E di questa salvezza conosciamo la strada, che è lui, Gesù.

Ci siamo messi anche noi al suo seguito e non dobbiamo turbarci, né arrenderci di fronte alle inevitabili difficoltà della vita.

Gesù affida agli apostoli la sua stessa missione

Gli apostoli sembrano assediarlo con le loro domande. Vogliono sapere, ma appaiono come li abbiamo sempre conosciuti: duri nel comprendere, poco lucidi soprattutto nell’accettazione piena di ciò che si compie attorno a Gesù. Tommaso, ma anche Filippo, più di altri, si rivelano stranamente stonati.

Del resto il Vangelo non risparmia agli apostoli l’immagine di persone incapaci di comprendere e tardi di cuore e nel complesso non sembrano fare bella figura. Eppure sono episodi raccontati da loro nel momento della predicazione e della nascita della Chiesa. E questo naturalmente depone a favore dell’autenticità storica di questi fatti.

Gesù invita gli apostoli, in vista della missione che affida a loro, a non turbarsi. Questo verbo indica molto più che la semplice paura. Chi si turba vacilla, dubita nel profondo, non ha più una visione lineare delle cose. E li incoraggia ad avere più fiducia nel Padre, ad avere più fede anche in lui. Ad essi che si disperderanno durante la passione e lo potrebbero essere anche nel momento in cui Gesù li abbandonerà in modo visibile e definitivo con l’ascensione, affida il compito di costruire la Chiesa e di assumere la sua missione.

L’istituzione dei diaconi

Il brano tratto dagli Atti degli apostoli ci parla dei diaconi, una figura che è stata rivalutata dal Concilio Vaticano II, e che poco alla volta sta trovando una buona valorizzazione nelle comunità.

La Chiesa degli apostoli si organizza e di fronte a un nuovo problema lo affronta con fantasia e senza paura di intraprendere qualcosa di inedito. Una Chiesa che ci piace, una comunità che è un organismo vivo.

Nascono da questa Chiesa i diaconi e la loro elezione appare solenne: di loro si elencano i nomi, così come per la scelta dei dodici apostoli: «Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia» (At 6,5).

Nella storia tra i diaconi ricordiamo figure straordinarie come san Lorenzo e Francesco d’Assisi.

Nella Chiesa di oggi per poter essere ordi­nato diacono permanente il candidato deve aver dato prova di essere impegnato in qualche servizio apostolico, essersi distinto tra i fedeli per lo spirito di fede, per l’amore alla Chiesa, e per una particolare disponibilità al servizio, al dialogo, alla collaborazione. Deve avere maturità e senso di responsabilità, predisposizione a comunicare con i poveri.

Inoltre deve avere almeno 25 anni se è celibe, e 35 se è sposato. Chi è celibe in seguito non potrà più sposarsi; chi invece è sposato deve avere il con­senso della moglie. Invece non hanno importanza né la classe so­ciale, né il titolo di studio del nuovo diacono, anche se in ogni diocesi si tengono corsi per qualificarli nel loro futuro ministero.

Il diaconato permanente è stata davvero una magnifica intuizione della Chiesa primitiva, e oggi viene rivalutato. Dobbiamo aspettarci in futuro altre novità? Certamente. Per esempio, riconoscere nella comunità cristiana maggior rilievo alla donna ai fini di una nuova evangelizzazione.

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

Il diacono Gino fa il camionista da tutta la vita in giro per il nord d’Italia. Il suo incarico è di preparare gli adulti al battesimo e alla cresima. «È un impegno che mi dà l’occasione di andare nelle case, di avvicinare famiglie di ogni tipo», dice. Mario invece fa il commercialista a Napoli, ed è amico di molti professionisti. Da giovane è stato ufficiale di marina. Albert è professore di pedagogia religiosa all’Università di Tübingen in Germania. Ha tre figli e fa il diacono nella parrocchia St. Laurentius, dove ha introdotto la catechesi familiare. André è un poliziotto parigino che ha avuto sin da ragazzo un posto fisso in parrocchia. Giuseppe fa il tranviere in una grande città del nord d’Italia Vive in un quartiere particolarmente bisognoso e cominciò a occuparsi dei ragazzi abbandonati, coinvol­gendo anche la moglie e gli amici. Diventare diacono per lui è stata una cosa naturale. I suoi compagni di lavoro gli dicono: «Ecco, accetterem­mo volentieri uno come te come nostro prete!».