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3. Annunciare la Parola – 5 luglio 2020


5 luglio

14ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Io sono mite e umile di cuore


PER RIFLETTERE E MEDITARE

Matteo ci fa conoscere questa stupenda preghiera di Gesù, che ci rivela in modo sorprendente la sua identità di Figlio e come intende presentarsi al mondo. È un brano fresco e immediato, teologicamente significativo, «una meteora che proviene dal Vangelo di Giovanni», così è stata definito questo passo di Matteo. Ci rivela come Gesù si rivolge al Padre, ma ci fa comprendere come il Padre interviene nella storia e dona la salvezza.

La preghiera di Gesù

Gesù ha scelto gli apostoli (Mt cap. 9), ha chiesto a loro una grande disponibilità e di non ver paura dei rischi e della stessa persecuzione (Mt cap. 10). Ora si apre in questa preghiera di lode e ringraziamento al Padre, proprio per questa straordinaria risposta positiva degli apostoli, che lo hanno seguito mettendosi in gioco sulla sua parola.

In questa preghiera Gesù rivela il rapporto di comunione che c’è tra lui e il Padre. Tra Padre e Figlio c’è conoscenza perfetta. Ma questa conoscenza ora viene condivisa con chi è ben disposto, con chi è povero e semplice di fronte a Dio. Di fatto con Gesù entrano nella logica di Dio i semplici, le categorie umili della società, ma anche i peccatori pubblici, i poco raccomandabili. Quelli che non fanno parte di nessuna «casta» né politica, né economica, né sociale. Coloro invece che non accolgono Gesù e la sua parola sono gli scribi, i farisei, i maestri della legge, la classe dirigente ebraica. Essi reagiscono con la massima durezza nei suoi confronti, difendendosi fino alla violenza dalle parole di novità di que­sto messia inatteso.

La salvezza che nei progetti di Dio era destinata a tutti, ma che in pratica era diventata appannaggio dei privilegiati, con Gesù appare slegata dal potere e dalla ricchezza, condizionata unicamente dalla dispo­nibilità a entrare in sintonia con Dio. È il Padre che ha voluto così.

 Venire a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi

La seconda parte del passo di Matteo, più che ai discepoli è rivolta alla tanta gen­te che lo segue, ebrei che sono «stanchi e scorag­giati, come pecore che non hanno pastore» (Mc 6,34) e Gesù prova verso di loro una sincera commozione. Essi sono oppressi in particolare dal giogo della leg­ge: centinaia di minuziose prescrizioni insopportabili. Gesù li invita a seguire lui e la sua nuova legge.

«Il mio giogo è dolce e il mio peso leggero…», dice loro Gesù. Infatti ciò che Gesù propone risponde intimamente alle esigenze più profonde dell’uomo e costituisce un giogo meno pe­sante da portare.

Il brano è sicuramente polemico nei confronti di quelle classi che vedono nella parola di Gesù una minaccia alla loro posizione di prestigio e che sono più attente all’osservanza legale che disponibili al pensiero di Dio.

La scelta preferenziale di Gesù

Al tempo di Gesù l’uomo riuscito era chi era diventato ricco e potente, con una bella famiglia e tanti figli. Erano le categorie privilegiate, che dominavano sul popolo. Mentre i poveri, gli ammalati, le prostitute, i pubblicani, il popolino erano considerati persone piene di peccati e dovevano offrire sacrifici per chiedere perdono.

Gesù guarda la situazione e sceglie: si schiera per i poveri, gli anawim, i miti, i peccatori. Lui stesso si fa uno di loro. E dice: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita».

Gesù si presenta come grande consolatore per gli uomini di ogni tempo. E «la Chiesa è chiamata a fare la scelta preferenziale dei poveri e a testimoniare al mondo di oggi “la benevolenza di Dio verso i piccoli, gli stanchi e gli oppressi”», dice mons. Giovanni Nervo, fondatore della Caritas italiana.

Così si sono regolati i cristiani lungo i secoli. Da san Francesco a Madre Teresa, da san Vincenzo de’ Paoli a don Bosco, la storia della Chiesa è costellata di cristiani che hanno compreso le parole di Gesù e le hanno vissute.

Non sono sicuramente mancati nei duemila anni della Chiesa credenti anche tra le classi più benestanti e ricche, di grande intelligenza e di studio, che hanno vissuto con semplicità e autenticità la loro fede. Basta pensare al genio di Agostino, di san Tommaso d’Aquino, di Dante Alighieri, di Pascal, e a uno stuolo di scienziati, artisti, sovrani e uomini politici che hanno messo l’intera loro intelligenza e il frutto delle loro competenze nella costruzione del regno di Dio. Costoro hanno capito che il Padre si rivela a chi si fa piccolo come Gesù; che è più importante ciò che siamo di fronte a Dio, del prestigio sociale e della ricchezza che abbiamo raggiunta.

 UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

Nel suo breve pontificato, papa Luciani ebbe a dire: «Mi limito a raccomandare una virtù, tanto cara al Signore: ha detto: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”. Io rischio di dire uno sproposito, ma lo dico: il Signore tanto ama l’umiltà che, a volte, permette dei peccati gravi. Perché? perché quelli che li hanno commessi, questi peccati, dopo, pentiti, restino umili. Non vien voglia di credersi dei mezzi santi, dei mezzi angeli, quando si sa di aver commesso delle mancanze gravi. Il Signore ha tanto raccomandato: siate umili. Anche se avete fatto delle grandi cose, dite: siamo servi inutili. Invece la tendenza, in noi tutti, è piuttosto al contrario: mettersi in mostra. Bassi, bassi: è la virtù cristiana che riguarda noi stessi».