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3. Commento alle Letture – 29ª DOMENICA T.O.

16       O T T O B R E
29ª DOMENICA T.O.
LA PREGHIERA PERSEVERANTE

Da quando si sono diffusi i telefoni cellulari e l’uso delle e-mail, la nostra vita è tutto un clic e un drin. Se anche tutto questo ci ha facilitato le relazioni, non si può negare che abbia introdotto uno stile relazionale più frenetico e frettoloso. Questo si riverbera sulle relazioni con Dio. Noi preghiamo, ma Dio non risponde. Preoccupazione e sofferenza di molti, ma su cui è forse opportuno sollevare due sospetti. Il primo riguarda il significato dell’attesa, il secondo riguarda ciò che domandiamo.

Il significato dell’attesa
Il vangelo parla della «necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1). Per insegnare questa necessità Gesù racconta una parabola che vede due protagonisti. Il primo è il giudice, iniquo per la sua inadempienza al proprio ruolo. Con grande finezza introspettiva la parabola lo descrive con il suo stesso monologo (cf Lc 18,4).
Non per benevoli motivi, ma semplicemente per togliersi una persona fastidiosa di torno, il giudice decide di intervenire (cf Lc 18,5).
La parabola è un’argomentazione a fortiori: se il giudice, che è iniquo, agisce a vantaggio della vedova mosso dalla di lei insistenza, a maggior ragione Dio sarà mosso a intervenire a vostro soccorso dall’insistenza della vostra preghiera.
Il secondo personaggio è la vedova. Insistente, petulante, non si scoraggia di fronte alla mancanza di soddisfazione delle sue richieste da parte del giudice. La sua preghiera è il grido del debole, così spesso menzionato nei Salmi, e che Dio ascolta con sollecitudine. In ordine alla motivazione della parabola (cf Lc 18,1), la vedova è esemplare per la sua tenacia e persistenza. «Pregare sempre» è pregare insistentemente, senza scoraggiarsi nella prova, in ogni occasione della vita.
L’insegnamento sulla preghiera di questa domenica, però, deve essere armonizzato con quanto il Vangelo dice sulla preghiera in altri passi. Per esempio: pregare sempre non è pregare con tante parole (cf Mt 6,7). Ciò che conta non è il numero delle parole inutili, quanto l’intensità e la verità della relazione che origina la preghiera.
La preghiera si appoggia su tale relazione. Sa attendere perché sa riconoscere che la preghiera stessa è uno spazio di attesa. Perché la preghiera non è una telefonata al cellulare di Dio; non è una mail a Dio. Non segue, né può seguire, le stesse logiche.  E se la preghiera esige una disciplina delle relazioni a noi ormai inconsueta, non è un problema della preghiera: è un problema nostro.

Purificare la domanda
L’attesa non è dovuta al fatto che Dio è capriccioso e ha i suoi tempi, e si fa aspettare come le fidanzate al primo appuntamento. Forse Dio non risponde non perché non sente, ma perché sente bene. Forse quello che è domandato a Dio nella preghiera nasce dalla pancia degli umori umani, ma poco corrispondenti al Vangelo. Dunque l’attesa della preghiera è tempo per convertire la domanda.
Se la preghiera deve avere l’insistenza della richiesta della vedova, il suo contenuto deve essere plasmato dalla Scrittura. Solo se il pregare è assumere le parole della Scrittura e farle proprie la preghiera è espressione della fede e non semplicemente delle nostre proiezioni nevrotiche. È dunque la Scrittura che converte le domande, a volte anche negandone la legittimità. La meditazione della Scrittura, che richiede quel tempo che ci è così inconsueto, trasforma il tempo di attesa in spazio di conversione.
La seconda lettura richiama alla centralità della Scrittura nella vita del credente. Con la Scrittura il credente instaura un rapporto dialogico, in cui essa è norma di vita, pedagoga e strumento di educazione (cf 2 Tm 3,17). All’uomo di Dio è affidata una responsabilità sulla Parola: egli deve conoscerla rimanendo saldo in essa, annunciarla e testimoniarla.
La parabola della vedova e del giudice rimanda a questo complesso e fecondo intreccio di temi: al rapporto fra preghiera e Parola; fra Parola e vita; fra preghiera e vita; fra vita e fede. Gesù, infatti, su questo tema conclude dicendo: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). La conclusione del Vangelo sembra essere un monito di grande concretezza: non preoccupatevi di quello che fa Dio. Preoccupatevi piuttosto di custodire e avere cura della vostra fede.