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3. Annunciare la Parola – XXIV C, 15 set ’19

• Es 32,7-11.13-14 – Il Signore abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo.
• Dal Salmo 50 – Rit.: Donaci, Padre, la gioia del perdono.
• 1 Tm 1,12-17 – Cristo venne a salvare i peccatori.
• Canto al Vangelo – Alleluia, alleluia. Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi: se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Alleluia.
• Lc 15,1-32 – Ci sarà gioia in cielo per un peccatore convertito.

PER COMPRENDERE LA PAROLA

Dio perdona il peccatore (il Nuovo Testamento si spinge molto più avanti dell’Esodo). Per coincidenza, la 2ª lettura affronta lo stesso tema: Paolo si presenta come il testimone della misericordia, un peccatore perdonato.

PRIMA LETTURA
Inizio dell’episodio (mescolanza di fonti) del vitello d’oro.
L’Alleanza, appena conclusa, viene rotta dall’uomo e Dio è sul punto di annullarla.
Mosè intercede (si noti che lo fa rifiutando di sciogliere il legame di solidarietà col popolo peccatore, mentre Dio gli propone un patto personale).
Dio cede, ma non a causa di Mosè, bensì a causa di se stesso e di ciò che ha già fatto. La preghiera di Mosè: “Ricordati…”. I doni di Dio si rivelano senza pentimento, irrevocabili. Preghiera e pentimento devono fondarsi su questa verità.

SALMO
Attribuito a Davide penitente. Vi sono scanditi i diversi momenti della richiesta di perdono: il peccatore invoca pietà da Dio per essere purificato; chiede la grazia della conversione del cuore e si apre al ringraziamento.

SECONDA LETTURA
La prima parte, una specie di confessione-ringraziamento di Paolo, è, almeno nel contenuto, decisamente paolina. Inoltre viene posto chiaramente (come in molti punti delle Pastorali) il rapporto fra il Vangelo da annunciare e la vita personale di colui che l’annuncia. Egli ha fatto tale esperienza in modo da esserne poi testimone.
Seconda parte (vv. 15-16): credo personale che comporta degli obblighi. Ci sono tracce dello stile e della teologia di Giovanni (“È venuto nel mondo per salvare i peccatori… di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna…”).
Terza parte (v. 17): dossologia liturgica.

VANGELO
Questo Vangelo viene analizzato in parte nella 4a domenica di Quaresima di quest’anno C, dove però l’accento è messo più sulla conversione che sul perdono.
“(Gesù) riceve i peccatori”: osservazione irritata che diventa la chiave del discorso. Comportandosi in quel modo, Gesù si presenta come rivelazione di Dio, che accoglie generosamente – e anche più – i peccatori.
Un uomo ricco (cento pecore), una donna povera (dieci dramme) rivelano due aspetti del cuore di Dio. Primo caso: quell’unica pecora perduta è insostituibile, ha la precedenza su tutte le altre. Secondo caso: Dio è come il povero… Ha bisogno di ritrovarci.
Il perdono di Dio è manifestazione del suo amore infinito, che valorizza e prende ciò che è positivo in una “passione” umana.
Gioia in cielo. Il peccato non è soltanto perdonato. La gioia consegue al peccato vinto da Dio. Il peccatore non è soltanto accolto al termine d’un lungo e penoso cammino. È cercato da Dio ancor prima della sua espiazione. Teologia indispensabile per la conversione cristiana.
Il prodigo. Si veda l’analisi di questa parabola nella 4a domenica di Quaresima.
La rottura è forse la condizione per una comunione ritrovata in una condivisione più profonda, più completa e soprattutto più gratuita di prima.


PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)

Dio di fronte all’uomo peccatore
Il peccato dell’uomo in rapporto a Dio
“Lavami da tutte le mie colpe… dal mio peccato…” (Salmo). È il riconoscimento del peccato personale: “Riconosco la mia colpa” (Sal 50,5). L’uomo è responsabile di fronte a Dio: perché è libero, perché è capace di dire di no a Dio, di respingerlo.
“L’uomo che perde una pecora… la donna che perde una dramma” (Vangelo). In questi paragoni, il peccato è visto soltanto dal punto di vista di Dio: quando pecchiamo, il Signore ci perde, le nostre colpe lo colpiscono nell’amore.
Il figlio prodigo (Vangelo): “II padre divise fra loro le sostanze”. Dio accetta di lasciar l’uomo libero sino alle estreme conseguenze, sino a lasciargli sprecare tutti i suoi beni.
“Quanti salariati in casa di mio padre…”. Nella sua miseria di peccatore, l’uomo conserva il ricordo dell’amore di Dio, suo Padre.
“Agivo senza saperlo, lontano dalla fede” (2ª lettura). L’uomo è peccatore perché avvolto nell’oscurità, nell’incoscienza; appena si sveglia alla fede riconosce sia le proprie colpe, sia Dio che lo salva.

Dio si china sul peccatore
Egli accoglie i peccatori e si lascia da loro accogliere. “Si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori… “Costui riceve i peccatori e mangia con loro””.
Egli ricerca il peccatore con pazienza: “finché non lo ritrova”, per la pecora e per la dramma d’argento. Ne aspetta il ritorno: “Quando era ancora lontano, il padre lo vide…”.
Gode del suo ritorno, fa festa: “Rallegratevi con me”, nelle prime due parabole. “Mangiamo e facciamo festa”.
Lo tormenta nell’intimo del cuore: “Mi leverò e andrò da mio padre”.
Il suo amore è più forte del peccato: il padre fa tacere i rimorsi del prodigo e invita tutti alla festa. “La grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù” (2ª lettura).
Si tratta quindi di un vero ritorno, di una conversione del peccatore operata da Dio. Da se stesso l’uomo non può liberarsi dal suo peccato. Solamente Dio può attirarlo verso di sé per rinnovarlo totalmente: i vestiti nuovi del prodigo al suo ritorno; la festa per il ritrovamento di ciò che era perduto: la pecora, la dramma, il figlio. È una vita nuova che trasforma il peccatore: “Lavami… mondami”; lo rinnova: “Crea in me un cuore puro…”; di¬spone al ringraziamento: “Apri le mie labbra” (Salmo).

Dopo il vitello d’oro
Situazione grave: il popolo non ha aspettato tanto per lasciarsi andare all’idolatria. Mosè era ancora sul Sinai… Il popolo non ci ha messo molto!… Cf il prodigo: “Dopo non molti giorni…”.
Questi tradimenti avvengono ancora oggi fra i cristiani: appena usciti dalla chiesa, ritornano agli “idoli” del tempo: il denaro, il sesso, il successo, il potere e in tale culto sfrenato dimenticano l’onore di Dio e la dignità dei fratelli.
Il Signore appare come un giustiziere, come un Dio vendicatore: “Ho visto che è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro”. Ciò sarebbe senz’altro normale in un contratto fra uomini, ma qui si tratta dell’Alleanza che impegna Dio di fronte al suo popolo; la forza di Dio non è quella degli uomini: egli si lascerà convincere dalla preghiera di Mosè.
Nella sua collera, Dio vuol distruggere il popolo e salvare Mosè: “Di te farò una grande nazione”. Mosè tutto preso dalla sua preghiera di intercessione non ci bada neppure: pensa soltanto al popolo.
Egli si fonda sulla fedeltà di Dio: gli ricorda la straordinaria liberazione dall’Egitto, gli ricorda soprattutto i patriarchi e le promesse fatte loro. Non è possibile alcuna rottura nel disegno di salvezza, il popolo non può distruggerlo. L’amore di Dio rimane per sempre ed è più forte del peccato degli uomini.
“Il Signore abbandonò il proposito di nuocere…”.
Non è più Mosè, ma Gesù che intercede per il suo popolo. E lo fa accettando di obbedire sino alla morte. La risurrezione ci garantisce che la sua intercessione è esaudita.

Il fratello maggiore del prodigo
Leggere la parabola interamente e non parlare del figlio maggiore vuol dire togliere una parte importantissima all’insegnamento del Signore.
Quegli rifiuta di partecipare alla festa per il ritorno del fratello; e lo dice anche al padre che è uscito apposta per invitarlo a entrare.
Addirittura si indigna, confrontando la sua sorte con quella del fratello: egli ha servito il padre per anni e non ha mai ricevuto niente, e adesso si fa festa per il fratello che ha divorato tutto allegramente…
Il padre gli apre gli occhi:
– gli fa anzitutto riscoprire la vita in comune, la condivisione, l’amore che li unisce: “Tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo”. Gesù userà queste stesse parole per rivelarci la comunione d’amore che lo lega al Padre (Gv 16,15; 17,10);
– gli fa riscoprire il fratello: poco prima il maggiore l’aveva chiamato con disprezzo: “Tuo figlio”; il padre gli ricorda semplicemente: “Questo tuo fratello”.
A questo punto il figlio maggiore è nella condizione di comprendere la conclusione della parabola: “Bisogna far festa e rallegrarsi… perché era perduto ed è stato ritrovato”. Questa conclusione è la risposta alla critica dei farisei e degli scribi; va ripetuta a ogni credente che voglia progredire come figlio di Dio nella vita filiale e fraterna.
Al tempo di Luca, il figlio maggiore era anzitutto il popolo ebraico, che confidava nei propri privilegi e disprezzava i pagani convertiti. Ai nostri giorni, la comunità dei cristiani rischia di assumere lo stesso atteggiamento nei riguardi dei nuovi convertiti che sono stati definiti una volta per sempre “peccatori”, soprattutto se sono contraddistinti da una cultura diversa.


(tratto da: M. Gobbin, Omelie per un anno – vol. 2, anno C, tempo ordinario – Elledici 2003)