• Sap 18,3.6-9 – Come punisti gli avversari, così ci rendesti gloriosi, chiamandoci a te.
• Dal Salmo 32 – Rit.: Beato il popolo che appartiene al Signore.
• Eb 11,1-2.8-19 – Aspettava la città il cui architetto e costruttore è Dio.
• Canto al Vangelo – Alleluia, alleluia. Vegliate e state pronti, perché non sapete in quale giorno verrà il Signore. Alleluia.
• Lc 12,32-48 – Anche voi tenetevi pronti.
PER COMPRENDERE LA PAROLA
La notte, il Signore passa: beato colui che sa riconoscerlo e accoglierlo. La 1ª lettura ricorda la Pasqua ebraica, la notte della liberazione pasquale. Il Vangelo annuncia il ritorno del Signore, la grande speranza dei discepoli. La sua risurrezione è l’inizio del suo ritorno.
PRIMA LETTURA
Il popolo dell’Antico Testamento vive del ricordo e del richiamo dell’Esodo, tipo e garanzia di ogni liberazione. Nella Diaspora, nel secolo I avanti Cristo, il popolo era tentato di dubitare del passaggio del Signore e della liberazione. L’autore invita tutti a comportarsi da “figli santi dei giusti, sicuri delle promesse di Dio”.
Dio libera il suo popolo perché gli renda gloria. L’intervento di Dio che risparmia i figli degli Ebrei è dato come risposta alla speranza dei Padri, dei Patriarchi. La realtà supera sempre ciò che si intravede chiaramente.
SALMO
Un salmo sapienziale, un inno alla provvidenza di Dio, che ricorda le opere di Dio nel passato. Dio continua la sua opera: “Egli libera dalla morte e nutre in tempo di fame”. Quanto più nella Nuova Alleanza: beato il popolo che Dio si è “scelto come erede”.
SECONDA LETTURA
L’elogio della fede dei patriarchi arriva a proposito nella lettera: da una parte Gesù ci apre l’accesso a un santuario nel quale il sacerdozio dell’Antico Testamento ci impediva di entrare; dall’altra parte, i credenti in Gesù sono messi alla prova.
È il caso dei destinatari di questa lettera (10,23-29). Essi non devono capitolare. Gli antenati sono per loro un esempio: essi non hanno conseguito i beni promessi: “Avendoli solo veduti e salutati di lontano”. Erano spinti in avanti da un avvenire mal conosciuto (cf 1ª lettura). Cristo è stato il culmine di questo moto di speranza (cf 20ª domenica, 2ª lettura).
“Se l’illusione ha già nella vita umana un potere così grande da tenere in piedi la vita, quanto deve essere grande il potere per la vita di una speranza assolutamente fondata e come deve essere invincibile una vita che la possieda. “Cristo, nostra speranza”: la formula di Paolo è la forza della nostra vita” (D. Bonhoeffer, Lettera del 25.7.1944, in Resistenza e resa, Bompiani 1969, p. 272).
VANGELO
Luca ricorda ai suoi lettori la necessità dell’attesa vigilante del Signore. Essi erano già portati a dimenticare, per volgersi ad altre ricchezze.
L’espressione “piccolo gregge” forse accenna a una qualche delusione nel popolo, che aveva pensato e sperato un’estensione più rapida della Chiesa. È un richiamo del tema del “piccolo resto” dell’Antico Testamento (cf Is 30,17; Ger 44,12-14; Gl 3,5). Il piccolo resto è il nucleo della speranza che è assicurata dal continuo interessamento del Padre.
I diversi elementi di questo Vangelo:
– vv. 32-34: Un invito alla fiducia nell’avvenire. L’elemosina mette il nostro tesoro al sicuro e fa tendere verso il cielo. Il Regno esige tale investimento.
– vv. 35-38: La parabola dei servi che aspettano fedelmente il padrone. Il v. 37b è l’elemento centrale: al banchetto escatologico è il Signore che passa a servire i suoi servi (a differenza di altre parabole, però cf Ap 3,20). Nell’ultima Cena, Cristo, in veste di servo, lava i piedi degli apostoli. Una caratteristica di ogni Eucaristia.
– vv. 39-40: Un invito a vigilare con prudenza. Il Figlio dell’uomo si comporterà come un ladro… uno spunto di parabola da reinventare per armonizzare i due versetti.
– vv. 41-48: Un’altra parabola.
v. 42: Chi meriterà la fiducia?
vv. 43-44: È il servo coscienzioso. A lui sarà affidata la responsabilità.
vv. 45-46: Colui che abusa dei beni del padrone sarà messo da parte.
vv. 47-48: Ci sono due tipi di infedeltà e di abuso: quello di chi conosce la volontà del padrone e quello di chi non la conosce. Si noti che a parlare di castigo è sempre la parabola, della quale non ci vien data l’applicazione.
Luca ha uno scopo: dare un insegnamento ai pastori o agli aspiranti pastori della Chiesa primitiva. Vuole che siano diversi dai capi pagani che si fanno servire. È il tema che ritorna nelle lettere pastorali e nella prima lettera di Pietro.
PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)
Di appello in appello
Noi sappiamo qual è, in linea di principio, il mondo che cerchiamo: un mondo nel quale regni l’amore di Cristo. Non conosciamo però i particolari dell’itinerario. Bisogna mettersi in viaggio come Abramo, il quale “partì senza sapere dove andava”. Ma sapeva perché partiva.
Quando dei prigionieri (come gli Ebrei o altri) riescono a evadere dal paese della loro detenzione, sono ben lungi dal conoscere tutte le scelte che dovranno fare, le astuzie o gli eroismi che saranno necessari per arrivare alla meta. Sanno però di andare verso il loro paese, verso coloro che li aspettano. E ciò è sufficiente. “O terra beata, dove finalmente potremo amare!”.
Da parte sua il credente cerca con tutte le forze di raggiungere Gesù Cristo. Come i personaggi di Beckett (Aspettando Godot), egli aspetta il maestro che non ha mai visto. Tuttavia sa che la sua attesa non è vana. Non ha mai visto Gesù, però lo conosce. Lo conosce così bene che lo riconosce a colpo sicuro sotto le vesti del mendicante o negli occhi del bimbo che si maltratta o al quale si fa paura. Riconosce la sua voce – senza timore d’errare – nell’appello umano che sollecita il dono della sua persona. In tal modo, un po’ alla volta, si compone per il credente il volto di Gesù. Attraverso ogni accettazione (e anche rifiuto) si avvicina al Regno di Dio. Più contribuisce alla trasformazione del mondo, più comprende a che cosa rassomiglia il mondo “il cui architetto e costruttore è Dio stesso” (2ª lettura). Di appello in appello, il credente avanza sulla sua strada.
Il Figlio dell’uomo verrà
Il credente è in cammino verso Dio, almeno in linea di principio. Per fortuna anche Dio è in cammino. Viene incontro a noi. Bisogna certamente andare alla ricerca di Dio: ma bisogna ancor più accettare che Dio sia alla nostra ricerca.
È Dio che chiama Abramo. È Dio che manda Mosè, e il Signore viene personalmente da noi in Gesù Cristo. Le sue parole continuano a cercare la strada del nostro cuore.
Non mancano gli ostacoli: il lavoro, il frastuono, le preoccupazioni per tutto e per niente, la fretta, i piaceri sempre nuovi, il denaro. Dio cerca il nostro cuore. Talvolta una parola ci colpisce. Quante altre però le abbiamo ignorate?
Le circostanze, gli incontri sono altrettanti passi di Dio verso di noi, con tutte le domande che solleva nel nostro cuore.
Se costruiamo secondo il suo spirito, con coraggio e onestà, ci ricompensa facendoci capire meglio quale dovrebbe essere la città che vuol realizzare per gli uomini.
Cristo tuttavia ci raggiunge pienamente soltanto nel mistero della morte. Morte comune a lui e a noi. “Il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate”.
Bisogna insomma accettare che Dio sia il costruttore, che porti a compimento questo mondo di cui non arriveremo mai al termine. E che, eliminando il peccato, ci introduca personalmente in esso.
Che significa oggi “aspettare Gesù Cristo”?
Non vuol dire mettersi in regola per l’incontro eventuale (in senso puramente escatologico e individualista). La vicinanza cristiana non è fatta di sfiducia e paura, ma di speranza e fiducia. Colui che ha puntato tutto sulla speranza, riconosce i veri valori negli avvenimenti e nelle persone. A ogni cosa dà il giusto peso. Non ogni avvenimento è automaticamente passaggio del Signore. La fede rende capaci di interrogare gli avvenimenti e affrontarli alla luce della Parola di Dio.
La vigilanza mette in uno stato di tensione inevitabile fra ciò che esiste e ciò che esisterà, fra ciò che la vita è e ciò che sarà. È una prova costante, di tutti i tempi (Abramo, Israele, prima comunità cristiana), l’attesa della salvezza è vissuta in una gioiosa speranza, perché Dio è fedele alle sue promesse. Essa è vissuta da una comunità. Altri hanno atteso prima di noi, con meno luce (Abramo…). La loro attesa non è stata vana: hanno la loro discendenza.
“Non temere, piccolo gregge”. Forse dietro a queste parole si nasconde una delusione che cominciava a paralizzare la speranza dei primi cristiani. Piccolo gregge anche oggi: non necessariamente la massa, la maggioranza, la cristianità… Una comunità di persone che aspettano Dio e che hanno il coraggio di vegliare. Non è cosa facile: vegliare, come a dire che altri preferiscono dormire. Piccolo gregge: cioè non solo una comunità poco numerosa, ma un popolo aperto ai piccoli, alle persone senza influenza e senza potere, ai poveri.
(tratto da: M. Gobbin, Omelie per un anno – vol. 2, anno C, tempo ordinario – Elledici 2003)