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3. Annunciare la Parola – XIV C, 7 lug ’19

• Is 66,10-14c – Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la prosperità.
• Dal Salmo 65 – Rit.: Grandi sono le opere del Signore.
• Gal 6,14-18 – Porto le stigmate di Gesù nel mio corpo.
• Canto al Vangelo – Alleluia, alleluia. Dio ha riconciliato il mondo in Cristo, affidando a noi la parola della riconciliazione. Oppure: La pace di Cristo regni nei vostri cuori; la Parola di Cristo dimori tra voi con abbondanza. Alleluia.
• Lc 10,1-12.17-20 – La vostra pace scenderà su di lui.

PER COMPRENDERE LA PAROLA

Il legame fra la profezia di Isaia e il Vangelo sta nell’annuncio della salvezza e della pace: ciò che il profeta promette, Gesù lo realizza mandando in missione gli apostoli.

PRIMA LETTURA
Profezia d’un lirismo gioioso. Può essere collocata al momento del ritorno a Gerusalemme, quando, dopo l’editto di Ciro, si comincia a ricostruire la città santa. È il ritorno alla terra materna.
La città ripopolata evoca l’immagine d’una madre di famiglia numerosa, di cui i figli godono il latte e la tenerezza.
Spesso i profeti si rivolgono a Gerusalemme come a una persona, sia per compiangerla, sia per consolarla (Bar 2,30) e invitarla alla gioia (Is 54). Ciò dipende dal fatto che il suo destino, devastazione o ricostruzione, s’identifica con quello del popolo tutto intero.
La pace evocata dal nome di Gerusalemme riassume tutti i doni di Dio al suo popolo: salute, fecondità, prosperità, amicizia con Dio e con tutti gli uomini.

SALMO
È un canto di ringraziamento, che associa tutta la terra alle opere compiute da Dio in favore del popolo da lui scelto, soprattutto il passaggio del mar Rosso e del Giordano.

SECONDA LETTURA
È la conclusione della lettera, scritta di propria mano da Paolo (6,11). Di fronte ai giudaizzanti che vogliono imporre la circoncisione ai pagani convertiti, Paolo ripete l’essenziale: non conta la circoncisione, bensì la fede in Cristo crocifisso. Questa fede impegna profondamente: è una nuova creazione.
L’apostolo quindi è un uomo nuovo che ha rotto col mondo antico, perché il mondo ha rotto con Gesù mettendolo in croce. Di qui la formula sorprendente: “Il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo”. Paolo “partecipa alle sofferenze (di Gesù), diventandogli conforme nella morte” (Fil 3,10). Egli è veramente morto con lui e, nella speranza, già risorto con lui. Si veda Rm 6,4; Col 2,12; Ef 2,6.

VANGELO
Luca è l’unico a riferire di questa missione.
Le consegne di Gesù sono in parte quelle che Matteo e Marco indicano parlando della missione dei Dodici (Mt 9,37-38 e 10,7-16.40; Mc 6,7-11).
Luca riporta questa tradizione per dimostrare che la missione non è riservata ai Dodici, mentre il numero dei discepoli – quello che Gn 10 attribuisce ai popoli pagani, discendenti dai figli di Noè – simboleggia la missione verso i pagani, sulla quale insiste il suo Vangelo.
La missione è limitata: preparare la venuta dello stesso Gesù, annunciare l’arrivo del Regno.
La prima consegna riguarda la preghiera perché aumenti il numero dei messaggeri. È forse il segno d’una penuria di evangelizzatori già al tempo di Luca?
I rischi della missione: agnelli in mezzo ai lupi; il servo non è da più del padrone.
Il comportamento dei missionari: distacco, discrezione, semplicità. Nessuna vergogna a ricevere il necessario per vivere.
I segni della missione: l’annuncio del Regno viene fatto con parole e con segni: guarigione dei malati, potere sugli spiriti maligni. Tali segni però sono di per se stessi relativi: non è di essi che bisogna rallegrarsi.
Il contenuto della missione, in conformità all’annuncio del profeta, è la pace e le beatitudini.
La dignità del missionario: uguale a quella di colui che lo manda. “Chi ascolta voi ascolta me” (v. 16 omesso).
Infine, l’annuncio del Regno determina un giudizio che anticipa l’escatologia. Alcuni accolgono la pace, altri la rifiutano. Come nella Storia sacra, alcune città sono benedette per la loro accoglienza, altre condannate per il loro rifiuto.
La pericope liturgica omette i versetti che applicano queste sentenze a città determinate, ma conserva il castigo della polvere scossa contro le città ribelli (v. 11)


PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)

La gioia o la croce?

Riflettendo sulle letture di questa domenica è difficile sottrarsi all’impressione d’un certo contrasto fra i vari insegnamenti che ci dà la Parola di Dio. Nella 1ª lettura il profeta c’invita alla gioia, promette consolazione e prosperità. Gesù manda i suoi discepoli come agnelli in mezzo ai lupi, ma li incarica di portare la pace; minaccia il castigo a chi non li accoglierà; al ritorno, li invita a rallegrarsi perché i demoni sono loro sottomessi. Paolo si vanta nella croce del Signore, dichiara d’essere crocifisso per il mondo e di portare le stigmate di Gesù nel suo corpo, invoca pace e misericordia e conchiude augurando ai fratelli la grazia del Signore nostro Gesù Cristo. Se è vero che Dio “rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso” (2 Tm 2,13), bisognerà pur trovare una spiegazione di queste apparenti contraddizioni.

“Rallegratevi… sfavillate di gioia”
Dopo il lungo esilio di Babilonia gli Ebrei potevano finalmente ritornare in patria. La parola del profeta è un messaggio di consolazione e di gioia, è promessa di pace, di abbondanza, di prosperità. Egli presenta il Signore come una madre piena di tenerezza verso i suoi figli. È un preludio all’annunzio che portano i 72 discepoli a nome di Gesù: “È vicino a voi il regno di Dio”: anch’essi annunziano la liberazione, guarendo i malati, recando la pace ai “figli della pace” che accolgono il dono. Soprattutto le promesse di consolazione e di gioia si avvereranno, come ci ricorda la colletta, nella “gioia pasquale”, nell’attesa che, “liberati dall’oppressione della colpa, possiamo partecipare alla felicità eterna”.
Crediamo veramente che il Vangelo è Vangelo, cioè buona novella, annunzio e dono di liberazione, di pace e di gioia? Crediamo all’amore di Dio che si manifesta nel Figlio che egli ci ha dato come Salvatore? “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!” (1 Gv 3,1). Come non bastasse questa gioiosa ed esaltante rivelazione, il Signore si presenta qui con la tenerezza di una madre: “Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò”. E prima, a Sion che aveva detto: “Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato”, egli aveva dichiarato solennemente: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,14-15). È un invito a credere, a confidare in Dio che ci ama: “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi” (1 Gv 4,16). È un invito a coloro che il Signore manda “avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi” perché portino il messaggio di misericordia, di pace e d’amore.

La croce e le stigmate
In tutta la lettera ai Galati Paolo ha spiegato che il regno di Dio non consiste nell’osservanza della legge mosaica, di cui la circoncisione era il segno caratteristico che discriminava Israele dagli altri popoli. “In Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità” (Gal 5,6). Come Dio aveva liberato il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto e dall’esilio di Babilonia, “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” (5,1). Ma la libertà vera non consiste nel lasciarsi dominare dalle passioni: “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne”; la libertà è ordinata all’amore: “Mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso” (5,13-14). “Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri” (5,24).
Ciò che Paolo esige dai cristiani egli ha coscienza di praticarlo: questo ci dice nella lettura di oggi. Cosa significhi gloriarsi della croce e portare le stigmate di Gesù, lo spiega s. Girolamo: “Può gloriarsi nella croce di Cristo solo chi se ne carica e segue il Salvatore (Mc 8,34 e par.), che ha crocifisso la sua carne con le passioni e i suoi desideri, che è morto e fissa lo sguardo non nelle cose che si vedono, ma in quelle che non si vedono (cf 2 Cor 4,18)”. E ancora: “Colui che subisce percosse su percosse, è gettato spesso in prigione, tre volte battuto con le verghe, una volta lapidato, e tutto il resto che è scritto nell’elenco dei suoi vanti (cf 2 Cor 11,17-33), questi porta nel suo corpo le stigmate del Signore Gesù. Forse anche chi macera il suo corpo e l’assoggetta a servitù per non essere riprovato mentre predica agli altri (cf 1 Cor 9,27), questi porta le stigmate del Signore Gesù”.
Lezione dura, ma lezione chiara e vincolante per chiunque voglia prendere sul serio il Vangelo, essere discepolo di Gesù, testimoniarlo davanti al mondo e recare il suo messaggio di pace. Inviando i Dodici, il Maestro non ha predetto loro il successo, ma ha dichiarato di mandarli “come agnelli in mezzo ai lupi”, poveri e liberi. Così i cristiani porteranno “il frutto dello Spirito Santo”, indicato poco prima dall’Apostolo: “Amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22).
Benvenute le vacanze – per quelli che se le possono concedere – come un periodo di riposo e di svago: ma che cristiano sarebbe chi credesse lecito dimenticarsi, perché si è in vacanza, della “norma” che l’apostolo propone a nome di Cristo, dando libero corso alle “opere della carne” (Gal 5,19)? Quello che conta è “l’essere nuova creatura”: è ciò che chiediamo nella preghiera sull’offerta che presentiamo alla Messa: che “ci conduca di giorno in giorno a esprimere in noi la vita nuova del Cristo”.


(tratto da: M. Gobbin, Omelie per un anno – vol. 2, anno C, tempo ordinario – Elledici 2003)