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3. Annunciare la Parola – Corpus C, 23 giu ’19

• Gn 14,18-20 – Offrì pane e vino.
• Dal Salmo 109 – Rit.: Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.
• 1 Cor 11,23-26 – Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore.
• Canto al Vangelo – Alleluia, alleluia. Io sono il pane vivo disceso dal cielo, dice il Signore; chi mangia di questo pane vivrà in eterno. Alleluia.
• Lc 9,11b-17 – Tutti mangiarono e si saziarono.

PER COMPRENDERE LA PAROLA

PRIMA LETTURA
In questo breve e misterioso passo della Genesi ci troviamo agli albori della Prima Alleanza. Abramo, Padre dei credenti, ha già dimostrato la sua sottomissione a Dio. Ha ottenuto alcune vittorie. Adesso Melchisedek, re di Gerusalemme, lo inizia al culto del Dio altissimo, offrendo pane e vino. Abramo riceve la benedizione e impara a benedire Dio. L’offerta della decima al sacerdote dell’Altissimo è segno della sua riconoscenza e della sua accettazione del culto “secondo Melchisedek”.
Gesù nel momento in cui a Gerusalemme inaugura la Nuova Alleanza mette in atto il sacerdozio “secondo l’ordine di Melchisedek”, col pane e il calice. Anch’egli benedice Dio (“Rese grazie”) e dà la benedizione a coloro che celebrano il culto con fede. Ma in questo caso c’è ben di più del pane e del vino: in forza delle parole di Cristo, essi sono diventati “il suo corpo” e “il suo sangue”.
Il nuovo culto conferisce realtà a ciò che era soltanto figura. Allo stesso modo l’offerta richiesta al credente supera la semplice offerta della decima: ormai si tratta del dono di sé e non soltanto dei propri beni materiali.

SALMO
È un salmo messianico che canta Cristo:
– uguale a Dio, “siedi alla mia destra” (cf il nostro Credo);
– vittorioso su tutti coloro che gli si oppongono, universalmente;
– Principe, nella forza e nella santità, Figlio di Dio;
– Sacerdote per sempre, in forza del giuramento di Dio, al modo di Melchisedek.
Nella lettera agli Ebrei 7, troviamo un commento sia della 1ª lettura, sia del salmo.

SECONDA LETTURA
Riferisce il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia secondo san Paolo.
Ordinando agli apostoli di fare ciò “in memoria” di lui (formula che troviamo qui e in Luca), Gesù stabilisce un memoriale, proprio come il culto dell’Antico Testamento voleva essere memoriale dell’uscita dall’Egitto, della liberazione del popolo di Dio. Non quindi un semplice mezzo per ravvivare il ricordo, ma gesti e parole che significhino oggi la presenza dell’Amore eterno di Dio, che si offre per noi come per i suoi contemporanei. Insomma, nelle nostre mani, mentre attendiamo il ritorno del Signore, abbiamo il mistero della Pasqua, morte e vita nuova.
Stando al contesto della lettera, Paolo vuole biasimare i Corinzi per il cattivo andamento delle loro assemblee che non sono propriamente “cena del Signore”. Questa avvenne “nella notte in cui veniva tradito”, in segno del sacrificio che stava per compiere sulla croce. Il pane è il corpo offerto… Il calice quello del sangue dell’Alleanza. Non si tratta quindi di fare una cena ognuno per conto suo.

VANGELO
Con questo brano siamo apparentemente lontani dal mistero dell’Alleanza conclusa col popolo di Dio.
La moltiplicazione dei pani manifesta la bontà di Gesù per la folla affamata, è il segno del Dio che nutre, che dà il pane quotidiano, a profusione, fino a saziare tutti, nonostante il loro numero, e persino oltre.
Tuttavia, le circostanze di luogo (il deserto), l’ordine di riunire la folla in gruppi di cinquanta (come aveva fatto Mosè col popolo), il numero delle ceste (che evoca i 12 apostoli e anche le 12 tribù) aprono la strada a una comprensione nuova del miracolo: vi cogliamo quasi il ricordo della Prima Alleanza, di Dio che ha nutrito il suo popolo nel deserto, e quasi il primo germoglio della Chiesa, del popolo della Nuova Alleanza, che riceve la vita dalle mani dei servi di Cristo, in forza della sua parola. Appunto ciò che l’Eucaristia realizza lungo la storia della Chiesa.


PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)

Sappiamo dire grazie?
Non è molto frequente dire grazie, soprattutto a Dio. Quando otteniamo qualche “vittoria” ce ne attribuiamo facilmente il merito. Quando ci avviciniamo a Dio, persino a Messa, il più delle volte lo facciamo da questuanti, con la nostra fame e le nostre suppliche.
Il culto “secondo Melchisedek” è anzitutto una lode. Il sacerdote benedice Dio: la benedizione di Abramo è infatti lode di Dio; Gesù, nel momento in cui si abbandona alla morte, rende grazie; nel momento in cui moltiplica i pani, alza gli occhi al cielo e benedice.
Il Santo Sacramento del corpo e del sangue di Cristo dev’essere per noi scuola di ringraziamento, per l’alleanza che Dio ha concluso con noi nel suo sangue, per il cibo di vita che ci elargisce, per la speranza di cui è caparra. Ritrovare la lode di Cristo, nostro sommo sacerdote splendente di santità, con gli accenti trionfanti del salmo, significa metterci sul cammino dell’Amore. Il linguaggio dell’amore è l’unico che si confà veramente ai nostri rapporti con Dio.

La vita quotidiana, materia di consacrazione
La nostra vita è piena di cose senza importanza. I gesti quotidiani ritornano con monotonia. Che cosa c’è di più banale del pane, così facilmente sprecato? Che cosa di più ordinario del mangiare e bere? Eppure, per il sacrificio al Dio altissimo Melchisedek usa proprio pane e vino, e Gesù li utilizzerà per il memoriale della sua morte per amore. Egli prese cinque pani e due pesci, in parole povere degli avanzi, per nutrire la folla e preparare il popolo nuovo a ricevere il “pane di vita”. Il Santo Sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo può essere per noi scuola di trasfigurazione del quotidiano. Tutte le banalità della nostra vita, gli impegni abituali, gli incontri quotidiani, la solita porzione di piccole miserie o di umili gioie… tutto può essere consacrato in Gesù Cristo, diventare la nostra offerta al Padre, il nostro contributo alla vita dei fratelli, il nostro modo di offrirci con Cristo perché il mondo viva in alleanza con Dio. Il mio cibo, diceva Cristo, è fare la volontà del Padre. Nutriti dell’Eucaristia, anche noi troviamo il nostro cibo nella vita di tutti i giorni.

L’Eucaristia, memoriale di Cristo e sacramento del futuro
Forse siamo più sensibili all’atmosfera del pic-nic nel deserto che alla solennità della cena “nella notte in cui Cristo veniva tradito”. Più sensibili al calore fraterno d’un’assemblea comunitaria, che al mistero di Dio che si offre. Noi rischiamo sempre di “appiattire” l’Eucaristia, di dimenticare il sacrificio della croce che essa rappresenta. Rischiamo di vivere l’istante fraterno senza accoglierlo come il memoriale dell’Alleanza conclusa nel sangue di Cristo e senza aprirci al futuro che ci lascia sperare. Ciò può spiegare le nostre reticenze nei riguardi delle assemblee eucaristiche dove la conoscenza reciproca è limitata, la fraternità meno sensibile, l’esistenza di differenze, e persino di opposizioni, evidente. E tuttavia, se è “la Chiesa che fa I’Eucaristia”, è anzitutto “l’Eucaristia che fa la Chiesa”, in quanto è per noi, sull’esempio di Cristo, scuola di Amore esigente, scuola della Croce. Donandosi a noi, Gesù ci porta con sé sul cammino del dono e del perdono reciproci, ci fa scoprire che in lui le nostre differenze, le nostre opposizioni un giorno saranno superate, nel Regno.


(tratto da: M. Gobbin, Omelie per un anno – vol. 1, anno C, tempi forti – Elledici 2003)