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3. Annunciare la Parola – 30 agosto 2020


30 agosto
22ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

La croce di Cristo e la nostra


PER RIFLETTERE E MEDITARE

Ancora una volta è Pietro il protagonista. Ha appena ricevuto da Gesù parole speciali che lo riguardano e lo responsabilizzano, ma subito dopo sente altre parole che gelano lui e gli altri apostoli. Gesù infatti dice loro che dovrà finire nelle mani dei suoi nemici, essere condannato e ucciso. Ma Pietro reagisce, lo chiama in disparte, gli spiega che trova assurdo che un messia finisca così. Ma Gesù prima prende le distanze da lui e lo tratta come un «tentatore», poi lo invita a farsi genuinamente suo discepolo e a seguirlo, anche nelle scelte difficili.

La croce di Gesù

Più volte Gesù ha detto ai suoi apostoli che avrebbe concluso la sua vita in modo tragico, ma che il terzo giorno sarebbe risorto. E sempre i suoi apostoli non hanno capito. Forse non era possibile capire: come poteva un messia finire sconfitto? E che cosa voleva dire «risorgere dai morti»?
Pietro ha appena detto: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!» (Mt 16,16), professando apertamente la sua fede in Gesù, ma subito Matteo non teme di rendere piccola la fede di Pietro con questo nuova rivelazione di Gesù.
La Chiesa ebraica si fa sempre più minacciosa e Gesù vuole preparare i suoi amici a quella che apparirà come una sua tragica sconfitta. Ma ogni volta che Gesù dice questa cose, anche adesso, gli apostoli manifestano la loro delusione e il loro disorientamento. È sempre Pietro che prende la parola, il generoso e l’entusiasta Pietro: «Dio non voglia, Signore; questo non accadrà mai!», dice. È la sua reazione e quella degli altri, ed è carica di tutta l’amicizia e l’affetto di cui era capace.
Ma questa frase è anche in linea con la fede appena manifestata a Cesarea: una fede vincente, fondata sul riconoscimento della grandezza di Gesù. Per ogni buon ebreo il messia non poteva non essere un vincente.
Gesù però non sembra cogliere gli aspetti positivi della frase di Pietro e ha verso di lui parole durissime: «Va’ dietro a me, Satana!». Sa che la croce sarà per lui l’occasione di portare a termine fino in fondo il piano di Dio; che è così che dimostrerà la serietà di quanto ha predicato e il suo amore profondo per l’uomo. Gesù non ama la croce, ne ha paura, e Pietro con le sue parole glielo ricorda, gli si pone come tentazione con i suoi ragionamenti umani.

La nostra croce

La vocazione di Gesù è anche la vocazione di ogni vero discepolo di Cristo: seguire il suo stile di vita, fare le sue scelte, accettare la logica del Vangelo. Scrive Paolo ai cristiani di Filippi: «A voi è stata data la grazia non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui» (1,29).
Prendere la croce, nelle affermazioni di Gesù, vuol dire orientarsi decisamente verso un tipo di esistenza che può comportare lotte, umiliazioni, povertà e priva­zioni per rimanere fedeli, anche a costo di rimetterci ogni cosa, compresa la vita.
Una croce che non è cercata per se stessa, frutto di autolesionismo. Neanche per Gesù. La croce diventa semplicemente il segno di un amore senza misura e per questo apre a una vita che non è persa ma realizzata.
Come Cristo ha salvato il mondo con il suo apparente fallimento, giungendo al culmine della sua azione salvifica proprio nel momento della sua Pasqua, così anche per i discepoli, ogni volta che sopportano sofferenza e annientamento per non cedere al compromesso, per essere fedeli, diventano causa di salvezza, manifestazione della potenza di Dio, che dona al mondo la vita per mezzo della loro morte: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto», ha detto Gesù (Gv 12,24).

La croce è il sì dell’uomo alla vita

Quello della croce è diventato un discorso duro per le nostre comunità. Se ne parla con una certa rassegnazione e diventa un fatto incomprensibile, accettato spesso con cuore chiuso. È necessario quindi un vero cambiamento di mentalità, una conversione. La via della croce, che era vista come una maledizione per l’uomo, un supplizio infamante, è motivo di onore e di gloria per il cristiano. Se nella sua vita mancasse questa componente dovrebbe probabilmente dubitare della verità del suo amore e della sua scelta di fede.
«Cari amici», ha detto Benedetto XVI ai giovani della GMG di Madrid, «spesso la croce ci fa paura, perché sembra essere la negazione della vita. In realtà, al contrario, è il sì di Dio all’uomo, l’espressione massima del suo amore».
Passiamo gran parte delle nostre giornate a liberarci dalle sofferenze, a cercare di curarci per stare meglio, a migliorare il nostro benessere e quello della nostra famiglia. Tutte cose legittime. Ma se vivremo una vita aperta e ci impegneremo a fondo mettendoci del nostro per far sì che le cose nella società e nel mondo attorno a noi cambino in meglio, sappiamo che tutto questo avrà un prezzo.
Anche solo sul piano dell’efficienza umana, nulla si ottiene senza sforzo: dal voler provare la gioia di un’escursione in montagna, al miracolo del mettere al mondo una nuova vita, al semplice superamento di un esame scolastico, è solo andando contro se stessi e al proprio istinto che si possono raggiungere questi obiettivi.
Chi ha fede sul serio, di fronte alla croce non si ribella e non bestemmia: sa che la croce è la conseguenza di una donazione a Dio senza riserve. Non l’accetta quindi come un’eventualità indesiderata, ma come conseguenza di una fedeltà.

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

«Scelsi di essere per gli altri, i poveri, i sofferenti, gli abbandonati, i non amati, che ero una bambina e così sono stata, e confido di continuare a essere, fino alla fine della mia vita» (Annalena Tonelli).

«Il male prende la forma di una croce che scava la carne, che piega sotto il dolore: sembra solo sofferenza e umiliazione, e lo è effettivamente, ma è la forma di un amore totale che si fa dono di sé fino alla fine…» (Paola Bignardi).