13 settembre
24ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Il perdono qualifica il cristiano
PER RIFLETTERE E MEDITARE
Nelle ultime due domeniche la liturgia ci ha fatto riflettere sull’«accogliere la croce» (22ª domenica) e su come «correggere in modo evangelico chi sta sbagliando» (23ª). Queste due caratteristiche qualificano bene il cristiano. Ma Matteo, pensando alla prima comunità ecclesiale, presenta in questa domenica un’altra caratteristica che più che mai è tipica del cristiano: il saper perdonare. Poche cose infatti come il perdono rivelano veramente l’identità di un cristiano. Chi sa perdonare e dimentica i torti subìti, è grande della stessa grandezza di Dio.
Quante volte dovrò perdonargli?
Nei cinque versetti precedenti al nostro brano (Mt 18,15-20), Gesù dice come regolarsi verso coloro che nella comunità hanno sbagliato. Ma l’invito alla «correzione fraterna» dà a Pietro l’occasione di fare la domanda: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli?». E volendosi sbilanciare nella sua generosità, precisa: «Fino a sette volte?». Presso gli ebrei perdonare tre volte era già un fatto ritenuto virtuoso. Pietro fa il grande e si spinge anche oltre.
Umanamente parlando però, sia perdonare tre volte, sia farlo tantissime volte (sette) è un comportamento difficile da accettare e da vivere, sapendo che chi finora ci ha offesi tante volte, lo farà sicuramente ancora.
Per questo Gesù si pone su un piano completamente diverso e invita a perdonare «sempre», raccontando una parabola sicuramente paradossale, ma che rende bene l’idea. Perché quel re generoso rappresenta Dio, che nella sua infinita generosità perdona alla grande. I diecimila talenti condonati dal re rappresentano infatti un valore enorme. Pensiamo che il reddito annuale di Erode, re della Giudea, poteva essere di 900 talenti. E per un operaio comune quella cifra corrispondeva più o meno a vent’anni di lavoro.
L’altro servo, che è stato appena perdonato, si dimostra invece piccolo e meschino, non avendo capito nulla della grandezza d’animo del re. Non perdona chi aveva verso di lui un debito di gran lunga meno importante.
Perdonare come Gesù
Alzi la mano chi non ha mai avuto qualcosa da perdonare o da farsi perdonare. Gesù ci invita a un perdono illimitato, gioioso, generoso. Ci chiede di perdonare subito. Un rancore coltivato crea solchi spessi tra noi e chi ci ha offeso, si può trasformare in rabbia.
È difficile perdonare. Mons. Antonio Riboldi ha raccontato che un giorno si trovò presso il letto di un mafioso che era stato colpito da un suo nemico e stava morendo. Inveiva contro di lui. Mons. Riboldi, data la gravità della situazione, lo invitò con coraggio al perdono. Il mafioso gli disse: «Se muoio lo perdono, ma se non muoio lo ammazzo!».
Così siamo noi. Il perdono sarà sempre difficile se ci faremo guidare dal nostro orgoglio ferito, e non rifletteremo sulla misericordia che Dio da sempre ha avuto nei nostri confronti.
Si tratta di ricordare la fragilità umana, che vede il bene, ma sceglie il male. Chi ci offende gravemente è spesso più una persona piena di problemi che una persona cattiva. In molti casi è verissimo che «la miglior vendetta è il perdono», perché dal perdono possono essere ricreati rapporti incredibilmente nuovi e nascere addirittura rapporti di amicizia.
Ma la spinta più forte a perdonare viene soprattutto dalla parola e dall’esempio di Gesù: «Non si perdona perché l’altro cambi», dice Frère Roger di Taizé. «Sarebbe un calcolo che non ha nulla a che vedere con la gratuità dell’amore del Vangelo. È per Cristo che si perdona».
Permettiamo agli altri di essere se stessi
Il perdono porta sempre con sé una buona dose di fatica e quando la riconciliazione vuole essere seria, non la si può né ricevere, né dare a cuor leggero. Qualcosa deve cambiare da una parte e dall’altra. Soprattutto sarà possibile quando avremo capito che solo il Signore è in grado di giudicare fino in fondo la responsabilità delle persone nei loro comportamenti. Lasciamo agli altri il diritto di esistere e di respirare, di essere diversi da noi. Verso qualcuno siamo di una intolleranza senza limiti: tutto ciò che fanno ci dà fastidio. «Quando il mondo ci urta, non è il mondo, ma siamo noi che dobbiamo cambiare» (Alberto Bevilacqua). Alcuni comportamenti che a noi appaiono difettosi, sono il più delle volte solo un modo diverso di vedere le cose. Accettiamo anche il livello di maturazione e di sensibilità a cui può essere arrivato chi ci sta vicino. Non limitiamoci a perdonare a patto che quel fratello non ci giri più intorno, non sia costretto a porgergli la mano e a fargli capire che siamo ancora fratelli.
Il «segno della pace» che a ogni messa ci scambiamo, è un piccolo gesto simbolico. A chi porgiamo il nostro semplice gesto di fraternità probabilmente non dobbiamo perdonare nulla, ma esprima il nostro più vivo desiderio di riconciliazione verso tutti.
Paolo agli Efesini scrive: «Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira» (4,26). È un’espressione che si applica bene soprattutto nella famiglia, nel rapporto di coppia. Che la giornata si concluda sempre dandosi il perdono reciproco.
UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA
«Nulla vi è di più tenace del ricordo delle umiliazioni e delle ferite del passato. Esso riesce a tenere vivo il sospetto, anche da una generazione all’altra. Il perdono del Vangelo è ciò che ci permette di andare al di là del ricordo. Saremo fra quelli che raccolgono le loro energie per sbarrare il passo alle antiche o nuove forme di diffidenza?» (frère Roger Schultz).