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3. Annunciare la Parola – 12 aprile 2020


12 aprile

DOMENICA DI PASQUA

RISURREZIONE DEL SIGNORE

Cristo, nostra speranza, è risorto

 

PER RIFLETTERE E MEDITARE

«Dio lo ha risuscitato dai morti», testimoniano Pietro e gli apostoli. «Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede», dirà Paolo (1Cor 15,14), per sottolineare la centralità della risurrezione nella nostra vita cristiana. Ecco perché la Pasqua è la festa delle feste, la domenica delle domeniche. Cessano i colori quaresimali, riprende l’alleluia gioioso. La Chiesa esprime in questo modo fin dalle origini che la risurrezione è al cuore della nostra fede.

Quella tomba vuota

La risurrezione di Gesù dovrebbe stupirci, anzi dovrebbe sconvolgerci. Ma non lo fa, perché è da quando eravamo bambini, a catechismo e a messa, che ce lo dicono. Gesù fu crocifisso e morì pubblicamente. La sua esperienza è ormai conclusa quando una pietra chiude il suo corpo morto nel sepolcro. Ma quando Maria Maddalena, le altre donne e gli apostoli vanno al sepolcro, trovano la tomba vuota. Gesù non è più in quel sepolcro di morte, ma si presenta risorto e vivo. Li troverà radunati al chiuso, pieni di paura, oppure a pescare in Galilea, dove hanno ripreso il loro antico mestiere.

Il fatto della risurrezione «non è descritto da nessuno, non è stato visto da nessuno. La liturgia romana ci dice, nel canto solenne che precede le funzioni della notte di Pasqua: “O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi”. Che cosa è avvenuto in quell’ora sconosciuta, nell’oscurità nella tomba di Gesù? Possiamo comprendere qualcosa di questo evento guardando gli effetti di questo mistero con gli occhi della fede» (Carlo Maria Martini).

La trasformazione degli apostoli

Ecco che gli apostoli, dopo aver rivisto Gesù, tornano a Gerusalemme e là senza esitazione non hanno paura di nulla, non temono più di finire come Gesù, ma parlano di lui liberamente. Qualcosa è dunque cambiato nell’animo di questi uomini. Perché quando Gesù fu arrestato, tutti vigliaccamente lo avevano abbandonato.

Gesù aveva fatto crollare i loro sogni e le loro speranze: per quale ragione si sono trasformati così in fretta e in modo così radicale in predicatori di Gesù e della sua risurrezione? Questi apostoli anche di fronte alle prime notizie delle apparizioni non si dimostrano facili a credere, anzi reagiscono increduli alle donne che dicono di averlo visto risorto. Tommaso non crederà neppure agli apostoli.

Tanti lungo i secoli hanno cercato di capire come storicamente questo fatto sia possibile e quanto siano attendibili i racconti dei Vangeli, così pure quale sia il valore della testimonianza degli apostoli e delle donne che lo hanno rivisto vivo. Ma è davvero fondamentale proprio la testimonianza degli apostoli. A loro, solo a loro Gesù si è presentato risorto: «Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (At 10,40-41). La testimonianza degli apostoli non nasce da ragionamento, ma da un’esperienza che li ha sorpresi e li ha trasformati.

E c’è la testimonianza sorprendente di Paolo. Lui ha incontrato Gesù vivo sulla via di Damasco. Scrive nella prima lettera ai Corinzi: «Dopo essere apparso a tutti, ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio» (15,8-9). Quello di Paolo è un racconto in prima persona e l’apparizione del risorto gli è concessa contro ogni attesa e completamente contro la sua volontà, perché è un fariseo zelante che perseguita i cristiani.

È ancora l’apostolo Paolo a ricordare, sempre nella lettera ai Corinzi, scritta attorno all’anno 55, una ventina d’anni dopo la Pasqua di Gesù, che Cristo è apparso vivo a Pietro, a Giacomo, ai Dodici e a cinquecento fratelli in una sola volta, molti dei quali sono ancora vivi (1Cor 15,3-7).

E se fosse risorto?

«E se fosse risorto?» è il titolo di un lungo articolo del giornalista e scrittore Vittorio Messori apparso sul Corriere della sera. Messori affronta questo tema rispondendo a un ipotetico interlocutore laico, scettico e incredulo di fronte al fatto della risurrezione. «Non sono pochi coloro che mi chiedono», scrive, «come io possa prendere sul serio un’affermazione del genere… Non mi sorprendo». E continua: «Ma sì, oserò dirlo; alla pari di chiunque si dica cristiano, sono convinto che ciò che i Vangeli riferiscono coincide con ciò che è avvenuto, che Gesù era davvero morto e che davvero è uscito vivo dal sepolcro, passando poi quaranta giorni con i discepoli prima di ascendere al cielo… La Pasqua non commemora un mito, ma ricorda un fatto».

Gesù lo aveva detto: «Non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio? Dio non è Dio dei morti, ma dei viventi!» (Mc 12,24-27). Lo Spirito Santo è sceso con tutta la sua potenza divina sul cadavere di Gesù. È stato come uno scoppio di luce e di vita. Là dove c’era un corpo morto e una tomba senza speranza è iniziata un’illuminazione del mondo che dura fino ad oggi.

Commenta ancora il cardinal Martini: «Quando Gesù diceva, alla fine del Vangelo di Matteo: “Io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” intendeva questa presenza di risorto, questa forza di Dio operante in Gesù che ciascuno può sentire dentro di sé, purché apra gli occhi del cuore… Ogni uomo, ogni donna di questa terra può vedere il Risorto, se acconsente a cercarlo e a lasciarsi cercare. Comincia da qui la storia della Chiesa, il suo cammino nella storia, le moltitudini di santi. Lo stesso Spirito che ha ridato vita all’uomo Gesù dà a ciascuno che lo desidera di entrare nelle intenzioni di Cristo, nel suo amore ai poveri, nella sua lotta per la giustizia… Chi guarda al mondo di oggi con gli occhi della fede, ne riconosce tutte le brutture, ma vede anche lo Spirito operante per salvare questo mondo».

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

«Io, la speranza, sono nata in un meriggio oscuro, su un brullo colle bagnato dal sangue, quando tutti in coro ripetevano: tutto è perduto, non c’è nulla da fare, il Signore è morto, i sogni sono finiti» (Ignacio Larrañaga).