3 maggio
4ª DOMENICA DI PASQUA
Giornata di preghiera per le vocazioni
Io sono la porta delle pecore
PER RIFLETTERE E MEDITARE
È davanti al tempio e a quella che era chiamata la «Porta delle Pecore», presso l’attuale Piscina Probatica o “delle Pecore” che Gesù ha probabilmente detto con solennità: «Io sono il buon pastore…»; «Io sono la porta delle pecore».
La porta delle pecore
Gesù si presenta nella vita pubblica nella figura del vero pastore del popolo di Dio. Nel passo di Giovanni riportato oggi, Gesù si definisce però la «porta delle pecore», e in qualche modo anche «la porta del tempio», il cuore della religiosità degli ebrei: da quella porta infatti entravano le pecore destinate al sacrificio quotidiano. Gesù però non solo non uccide le sue pecore, ma dà la vita per loro. Dice Gesù con tono solenne («Io sono»): «Se uno entra attraverso me sarà salvo».
Significativi i verbi di cui si serve Giovanni in questo brano: «entrare», «ascoltare», «condurre», «seguire», «conoscere»: tutti verbi che richiamano un rapporto speciale del pastore con le pecore, ed evidentemente di Gesù con ciascuno di noi.
Gesù si contrappone in questo modo ai farisei. Essi non conoscono le pecore e non le amano, non intendono liberarle, non sono al loro servizio, ma impongono su di loro pesi smisurati. Per questo le pecore non ascoltano quei falsi pastori e non li seguono.
Il protagonismo di Pietro
La prima lettura ci presenta uno degli otto discorsi proclamati da Pietro negli Atti degli Apostoli. Com’è cambiato, com’è diverso ora Pietro da quell’apostolo pauroso e vile che durante la passione ha dichiarato di non conoscere Gesù. Il brano proposto è il secondo, il più importante, perché Luca intende spiegare attraverso le parole di Pietro ciò che è avvenuto nel giorno della Pentecoste. Pietro spiega a chi li prende per ubriachi il senso di quegli avvenimenti straordinari: la discesa dello Spirito nel vento impetuoso, nelle lingue di fuoco, nel parlare lingue diverse. Dimostrando di conoscere bene le scritture, cita alcuni passaggi dell’Antico Testamento che sarebbero inspiegabili, senza la risurrezione di Gesù. Investito dallo Spirito, accusa poi gli ebrei di aver crocifisso Gesù. Alle sue parole la gente si sente trafiggere il cuore, si apre al pentimento e riceve il battesimo. Sono migliaia, sarà il primo nucleo del nuovo Israele, la prima comunità cristiana. Nasce in quel giorno la Chiesa.
«Io sono la porta»
Oggi siamo chiamati a domandarci chi nella nostra vita scegliamo come pastore e guida, quali sono i nostri punti di riferimento, se è Gesù che influenza le nostre scelte. «Io sono la porta», dice di sé Gesù, legando questa immagine meno consueta a quella del buon pastore. «Porta» indica libertà, possibilità di fuga e di ritorno; indica anche passaggio, dialogo, comunicazione.
In questo ultimo senso, è un’immagine dai significati attualissimi. Perché la nostra è l’epoca dei cellulari e della comunicazione. Ma purtroppo è anche l’epoca delle divisioni nette, delle incomprensioni, delle porte che si chiudono, dell’innalzamento di nuovi muri, soprattutto simbolici. Bella invece l’immagine della porta, perché dice «lasciar passare», superare barriere, accogliere.
Giornata mondiale delle vocazioni
Paolo vi nel 1964 ha voluto che questa quarta domenica di Pasqua fosse la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Cristo risorto ha inviato i suoi apostoli, dando loro pieni poteri: «Come il Padre ha mandato me, così io mando voi». E ha fatto di ogni vescovo, prete e diacono un altro se stesso per continuare la sua opera di evangelizzazione.
Diceva Giovanni Paolo II: «Mancano oggi atteggiamenti di fondo in grado di dar vita a un’autentica cultura vocazionale». Prevalgono la secolarizzazione e l’edonismo. E in questo clima è normale che non ci si senta di assumere impegni duraturi e impegnativi, sia di tipo matrimoniale, sia a servizio diretto della Chiesa.
La mancanza di vocazioni sacerdotali è però un problema serissimo per le comunità cristiane e la Chiesa è costretta a un serio esame di coscienza su tutto l’impianto pastorale e su come rispondere alle esigenze sacramentali e formative di ogni comunità.
Certo provvidenzialmente questa crisi favorirà la scoperta e la valorizzazione di tante altre vocazioni laicali chiamate a responsabilizzarsi e a impegnarsi in prima persona, permettendo al prete di occuparsi meno di cose che non sono strettamente legate al suo ministero. Ma è un fatto che sono i preti a garantire oggi e domani l’Eucaristia e la Riconciliazione, che costruiscono la vita dei credenti e di ogni comunità cristiana.
UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA
«Esiste un problema più grave che non la scarsezza di clero: consiste nell’eccesso di clero. Io preferisco assai avere cento sacerdoti per un lavoro di mille, che mille per un lavoro di cento. Nella misura in cui noi sacerdoti ci preoccupiamo di formare laici adulti, questi si incaricheranno di assumersi compiti che noi stiamo disimpegnando quasi indebitamente. Ed è da un laicato adulto nella fede, nella speranza e nella carità che devono sbocciare i sacerdoti atti ad affrontare il mondo di oggi e di domani» (mons. Helder Câmara, 1973).