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2. Esegesi – XXXI C, 3 nov ’19

PER QUESTA CASA È VENUTA LA SALVEZZA

Sapienza 11,22–12,2 – Hai compassione di tutti
2 Tessalonicesi 1,11–2,2 – Il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata
Luca 19,1-10 – Do la metà di ciò che possiedo ai poveri

Potenti impauriti
La liturgia di questa domenica ci offre un intreccio di straordinario interesse tra potenza e misericordia: istintivamente pensiamo ai potenti come a persone temibili. Di fatto, però, i cosiddetti potenti sono quasi sempre persone impaurite perché consapevoli della fragilità di quel potere o potenza che sanno di poter perdere in un istante, e che in ogni caso è realtà molto insidiata e assediata. La potenza di Dio, invece, è assolutamente benigna: «Nulla disprezzi di quanto hai creato» ci dice il libro della Sapienza (v. 24). Se per qualcosa Dio non nutrisse buoni sentimenti, non l’avrebbe neppure creato, e risparmia tutte le cose perché sono sue. Ma il bello di questi testi domenicali è che tale amore potente e prepotente non è appannaggio di Dio, ma, come si capisce bene da quello che Paolo scrive, diventa patrimonio di tutti. Egli si appella alla potenza di Dio, perché ci dia una mano a portare a compimento ogni progetto di bene. E questa, insiste l’Apostolo, è la vera «fine del mondo» (2Ts 2,1) per la quale conviene occuparsi e impegnarsi. Tutte le altre sono cose marginali dalle quali non bisogna lasciarsi «confondere e turbare».

Dio cerca chi è lontano
L’Evangelo ci fa vedere che è veramente strano per noi l’amore di Dio. Ciò che per noi dovrebbe essere motivo di rifiuto e di castigo, può essere accolto da Dio con un amore più profondo. Quello che è lontano, è maggiormente cercato da Dio. Il Signore passa per le strade della storia, della nostra e di quella del mondo. Quando in noi nasce il desiderio di incontrarlo, è già salvezza. A Zaccheo basta vederlo, Cristo Gesù vuole stare con lui, perché è nello stare che ogni relazione prende forma, ogni sguardo diventa intesa, ogni parola perla d’amore e di misericordia. Stare perché le ferite siano guarite, le durezze trasformate in tenerezza, l’avarizia in generosità. Tutti siamo rappresentati nella figura di Zaccheo o di coloro che mormoravano del Maestro. Accanto a noi quanta gente abbandonata, quante persone lasciate sole. Ebbene a queste persone Gesù dice: «Oggi devo fermarmi a casa tua» (v. 5). Dio sta con le persone sole e abbandonate.

Dio sta dalla parte di chi perde
Dio non è proprietà di nessuno, se non diviene proprietà di tutti. Se qualcuno pretende di avere Dio per sé, lo perde. Dio passa dalla parte di colui che perde, perché non vuole che nessuno si senta abbandonato. L’accoglienza degli esclusi non è tanto una consolazione, ma un impegno a vivere più profondamente la vita. Gesù è entrato nella casa di Zaccheo, perché anche lui conoscesse l’amore e si sentisse l’amato. Abbandonare qualcuno significa metterlo nella disperazione e quindi decretare la sua morte. Ogni volta che abbandoniamo qualcuno, rischiamo di diventare assassini dei nostri fratelli. Gesù non solo entra nella casa di Zaccheo, ma vuole cenare con lui, e per la Bibbia cenare con qualcuno significa entrare in intimità con lui, far parte della sua vita. Da quel momento la vita di Zaccheo diventa la vita di Gesù, qualunque cosa detta contro di lui, è detta contro Gesù.

Dio entra in casa
Nessun uomo «perbene» avrebbe mai portato i suoi discepoli in casa di Zaccheo, oppure li avrebbe messi in guardia dando un giudizio netto sul suo operato. Gesù non ha fatto così, ma è andato in casa di un peccatore per portare sulle sue spalle il peso del suo peccato e offrire gratuitamente la sua amicizia all’uomo che era andato su un albero per cercarlo, o almeno per vederlo. Peccato è mettersi in contrasto con questo disegno di Dio: è rifiutare la vita di qualcuno, per mettere in risalto le proprie doti e le proprie virtù. Zaccheo comprende che quella relazione non può fondarsi sull’ambiguità, solo dopo che il Signore lo ha chiamato per nome, e si è fermato a casa sua, fa la professione del suo pentimento, che si trasforma in un’azione che è per lui l’inizio di una vita nuova. Di fronte al peccato, anche noi come Zaccheo, ci sentiamo in dovere di gridare e di denunciare, Gesù non condanna ma entra nella fortezza dell’uomo e chiede di cenare insieme. Quando avremo cenato con Dio non ci sarà difficile dare metà dei beni ai poveri (v. 8). Se resiste l’ostentazione della nostra ricchezza materiale o spirituale significa che non abbiamo ancora ospitato Dio in casa nostra.


PER IL CONFRONTO NEL GRUPPO
– Ci piace di più stare tra la gente, o avere un nostro posto in alto?
– Come ci comportiamo con chi sentiamo nell’errore?


IN FAMIGLIA
Accogliamo il Signore nella nostra casa: ogni membro della famiglia prepara una breve preghiera.
Possiamo esprimere la nostra gratitudine per il bene che ci è stato dato, il nostro desiderio di essere nuovi e migliori, la nostra richiesta per una realtà particolare.


(tratto da: R. Paganelli – Vivere la domenica aprendoci alla Parola, anno C – Elledici 2015)