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2. Esegesi – XVI C, 21 lug ’19

DI UNA SOLA COSA C’È BISOGNO

Genesi 18,1-10a – Il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre
Colossesi 1,24-28 – Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi
Luca 10,38-42 – Ti affanni e ti agiti per molte cose

Ospitalità che allevia le fatiche
Il racconto della prima lettura è una lode all’ospitalità del vecchio Abramo, pieno di simpatica premura e di forte generosità verso i suoi tre sconosciuti ospiti. Li saluta cordialmente, offre il ristoro dell’acqua, del pane per riprendere le forze, e addirittura un vitello. Tutto si conclude con l’augurio per Sara e Abramo: «Tra un anno avrete un figlio» (v. 10). La fede ispira ad Abramo un comportamento: quello di chi non si preoccupa di avere di più, ma di essere sempre più leale, generoso, fiducioso, sia in Dio che nel prossimo. San Paolo, quale missionario impegnato, viveva di ascolto orante della Parola di Dio e la raccomandava ai suoi collaboratori, senza paura di perdere tempo e di farlo perdere agli altri. Così poté gridare con forza la sua speranza al mondo: «Cristo in voi, speranza della gloria» (Col 1,27), cioè della salvezza e della vera vita. Per alimentare la dimensione dell’ascolto dobbiamo essere convinti del suo valore, cercare momenti per viverlo.

Ascoltare e non solo fare
La via più semplice e diretta per accogliere e ascoltare la Parola è quella di mettersi «in cammino» (v. 38), con Gesù e i discepoli, fino al villaggio dove abitano Marta e Maria. Un rapido ascolto di Giovanni 12,1-11 ci dice che tipo di villaggio è Betania, e ci dona una versione affascinante dell’episodio che Luca ci offre oggi. Gesù dolcemente rimprovera Marta richiamandola al fatto che tutto deve essere ormai celebrazione di tale comunione d’amore. Marta certamente voleva servire e amare il suo ospite Gesù, ma l’affanno per le cose da fare per Lui rischiava di far dimenticare che tutto era fatto per Lui. Il pericolo è che le cose da fare diventino più importanti del segno d’amore e di comunione che esse contengono. La vita cristiana è chiamata ad essere un unico atto d’amore, ricevuto dalla bontà di Dio e comunicato al prossimo che abbiamo accanto. Voler bene e volersi bene è il senso della vita.

Vivere la gratuità
Luca fa memoria di questa visita del Signore alla casa accogliente di Marta perché sente necessario aggiungere un’ulteriore nota alla rivelazione dell’amore di Dio. Ecco dunque Marta «tutta presa dai molti servizi» (v. 40) che un’esegesi affrettata potrebbe per questo mettere «a contrasto» con la sorella Maria che «sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua Parola» (v. 39). Ma il contrasto non è quello che appare esternamente nei due diversi modi di stare e di accogliere il Signore. Esso sta piuttosto in quello che Marta rivela di sé con il suo lamento; tale lamento che certamente riguarda la sorella, è di fatto un’obiezione nei confronti del loro ospite: «Signore, non ti curi che mia sorella…» (v. 40). Da qui il Signore trae l’argomento del suo giudizio sulla posizione delle sorelle. Ci sono due atteggiamenti di Marta che oscurano la bellezza del gesto di aver invitato il Signore: il riporre il cuore nelle faccende e il rivendicare un aiuto da parte della sorella. «Io» invito il Signore, «io» mi affaccendo, «lei» mi deve aiutare, «Lui» mi deve difendere. Nessuno di questi sentimenti ha il sapore della gratuità. In questo susseguirsi di pensieri e di azioni, l’unico ascolto in fondo è di se stessi e dei propri bisogni. Forse la gioia più bella nel seguire il Signore sta proprio nel riposare ai suoi piedi per fare della Parola la fonte del nostro vivere.

Dedicarsi alle persone
Marta, dice Gesù, si affanna e si agita per molte cose (v. 41). In quest’affermazione è presente un giudizio quasi sempre negativo espresso dalla Scrittura sulla «preoccupazione», che è legata, come qui, all’attenzione per le «cose». La «parte buona» scelta da Maria non è quella di fare una cosa piuttosto che un’altra, ma è nel suo atteggiamento interiore segnato da un’attenzione concreta verso la persona di Gesù. L’ultima parola di questo capitolo sul mistero e sul dono dell’amore di Dio esalta la «nuzialità» di questo amore. Non si tratta di fare o non fare, non si tratta di una preferenza di Gesù per la «contemplazione» rispetto all’»azione». Si tratta piuttosto della «dedicazione» di sé, del pericolo di essere afferrati dalle cose e non dalle persone, o dalla Persona, per cui le cose si fanno. L’amore è fine a se stesso e come tale va custodito e celebrato. La comunione d’amore è il vertice dell’esperienza cristiana.


PER IL CONFRONTO NEL GRUPPO
– Come vivi l’ospitalità?
– Hai tempo da dedicare alle persone?


IN FAMIGLIA
Sono numerose le occasioni per poter accogliere qualcuno in casa.
Ma perché l’accoglienza sia ricca occorre che chi accoglie sia preparato.
Per questo ci esaminiamo su come accogliamo,
su quali aspetti ci sentiamo maggiormente preparati
e in che cosa facciamo più fatica.


(tratto da: R. Paganelli – Vivere la domenica aprendoci alla Parola, anno C – Elledici 2015)