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2. Esegesi – 4 Pasqua C, 12 mag ’19

ASCOLTANO LA MIA VOCE

Atti 13,14.43-52 – Ti ho posto per essere luce delle genti
Apocalisse 7,9.14-17 – Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione
Giovanni 10,27-30 – Io e il Padre siamo una cosa sola

Eletti per essere con il Signore
Il tema privilegiato di questa domenica è quello dell’elezione. Il Libro dell’Apocalisse dice che non si tratta di un’élite di pochi, ma di una moltitudine immensa. Come grande è il numero di quelli che credono a Paolo e Barnaba (At 13,43). Gesù di Nazaret conferma tutto ciò, e parla di una misteriosa «intesa» interiore tra il pastore e le pecore, che consente di sperimentare la chiamata ad entrare in una nuova familiarità, fratellanza e figliolanza. Sembra un assurdo che il Padre, per recuperare presso l’uomo la sua credibilità come pastore, sacrifichi la vita del Figlio, divenuto Agnello, eppure Cristo dice: «Il Padre mi ama perché io offro la mia vita per riprenderla di nuovo». Tra il pastore e le pecore c’è un legame forte di amore. Il pastore conosce ogni pecora con il suo nome e le pecore ascoltano la sua voce e quella voce indica la strada da seguire.

Pastore e pecora buona
L’amore del Padre per il Figlio diviene nel Figlio amore per i fratelli fino al punto di dare la vita, questa è la sua peculiarità. Gesù Cristo pastore non ha scelto quel gregge, gli è stato dato dal Padre. Egli ama le pecore di quel gregge, le conduce, dona loro la vita eterna, sa che ne avrà cura per sempre, ma non le possiede. Sono le pecore che seguendolo lo scelgono. In questo modo è recuperata l’immagine del pastore, riconosciuto come buono, come colui che porta i beni veri, che danno compimento e splendere alla vita umana. L’immagine del pastore buono determina anche quella della pecora buona. Così è per ciascuno di noi. Ognuno è dono del Padre a Cristo Gesù, perché nella dinamica dell’amore trinitario noi possiamo dimorare in quell’amore e lì incontrare la strada per vivere in questa vita con «l’odore del pastore».

Ascolto attento
C’è un ascolto per una conoscenza reciproca: «Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me» (Gv 10,14). Non si tratta di una conoscenza concettuale, ma vitale. Le pecore hanno l’odore del pastore e il pastore ha l’odore delle pecore. L’ascolto poi crea anche una comunione tra i fratelli impegnati nella sequela: «Esse mi seguono» (Gv 17), così tutto il gregge «segue l’Agnello ovunque vada» (Ap 14,4). Seguire Cristo vuol dire andargli dietro nel suo cammino al di là della morte, verso i pascoli della casa del Padre. In Lui-tempio non c’è più l’esilio di Dio nel ondo sotto una comune tenda, ma c’è il ritorno definitivo dell’uomo a Dio. Seguire il Cristo vuol dire incamminarsi, ma vuol dire anche avere una primizia in arrivo, dietro di Lui siamo già arrivati. Se egli è la porta, noi stiamo entrando. La lettura dell’Apocalisse riprende le immagini dell’esodo, ricordando in particolare la tenda del convegno che indicava la presenza di JHWH in mezzo al suo popolo. In Cristo l’intero genere umano, come pure l’intero cosmo, è stato riscattato dal male e dalla morte e viene orientato verso la salvezza e la pace di Dio. Il problema si pone quando, rifiutando questa assoluta gratuità dell’elezione, si trasforma in possesso esclusivo la propria situazione, rifiutando che essa sia partecipata ad altri: è il caso di quegli ebrei gelosi citati dal testo degli Atti (At 45).

Offerta piena
Questo è, purtroppo, solo il paradigma di infinite «esclusioni» che si affermano anche all’interno della comunità cristiana. Nella prospettiva del Padre di Gesù Cristo, nel cui sangue tutta l’umanità è stata immersa, non ci sono più né meriti, né privilegi. Qualcuno potrebbe obiettare che si corre il rischio di generare una realtà indistinta dove male e bene si mescolano senza differenza. Per superare questa possibilità è importante verificare due esigenze. La prima è che l’annuncio del Vangelo possa abbattere la violenza nella quale oggi ci dibattiamo a tutti i livelli e in tutte le terre e in tutti i cuori: ma l’impresa è colossale e spesso noi cristiani per primi ne siamo poco convinti. L’altra esigenza è che ci si accorga che, al di là di tutte le retoriche, la non chiarezza in ordine al tema dell’elezione cristiana come adempimento della profezia ebraica, continua a provocare la morte dell’innocente. La violenza di morte esercitata sui più piccoli e sui più poveri è proprio quello che l’Agnello innocente è venuto a togliere ponendo se stesso come vittima di salvezza e di pace. Secondo il testo dell’Apocalisse che oggi celebriamo, è solo questo Agnello che può proporsi come Pastore per tutte le genti e per tutti i cuori (v. 17).

PER IL CONFRONTO NEL GRUPPO
– Che cosa disturba il nostro ascolto di Cristo Gesù?
– Quello che abbiamo, sentiamo che è totalmente dono suo?

IN FAMIGLIA
Proviamo a dare risposta a qualche domanda:
– I rapporti in famiglia sono buoni?
– Ci si ascolta abbastanza?
– Che cosa dona ogni membro della famiglia?
– È appagante mettersi nella scia di Cristo Gesù?


(tratto da: R. Paganelli – Vivere la domenica aprendoci alla Parola, anno C – Elledici 2015)