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3. Commento alle Letture – 4ª domenica di Pasqua anno C

8 Maggio

4ª DOMENICA DI PASQUA
(Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni)
CUSTODITI NELLA FEDE

Uno dei motivi principali di difficoltà a comprendere il capitolo 10 del vangelo di Giovanni è che non riusciamo a penetrare nella dimensione profonda e affettiva che queste immagini evocano perché sono, per la maggior parte di noi, fuori dal nostro vissuto ordinario. Gesù, invece, proprio da questo vissuto concreto prendeva spunto per dire il rapporto fra pecore e pastore, e le sue conseguenze.

Le affermazioni di Gesù e lo scandalo dei Giudei
L’immagine del pastore non è inedita nella Bibbia. Si ricordi il profeta Ezechiele (cf Ez 34). Sommando le due cose: Gesù dice di essere lui il buon Pastore, compimento delle promesse dei profeti dell’Antico Testamento, che, in un rapporto di reciproco amore, conduce il gregge alla vita.
Nella prima parte del capitolo 10 del vangelo di Giovanni, Gesù, a partire dalla similitudine del pastore e da quelle a essa collegate, aveva già detto cose scandalose. Tutto ciò aveva provocato dissenso e ostilità negli uditori.
Finalmente gli viene rivolta la domanda cruciale: «Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente» (Gv 10,24). Domanda che rivela il vero nocciolo del problema: la fede.
La fede ci rende gregge di Gesù, immette in quel rapporto intimo di conoscenza reciproca resa dalle parole (cf Gv 10,27). La fede instaura il rapporto di reciproca appartenenza affettiva ed effettiva fra noi e Gesù. La fede consente a Dio di donare la vita eterna a chi crede, e al credente di non porre ostacoli a ricevere il dono.
La reciproca appartenenza generata dalla fede è sicura e affidabile, perché le pecore del gregge «non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano» (Gv 10,28). La «mano» significa la potenza di Dio che si dispiega per la salvezza dell’uomo. È la mano di Dio (cf Gv 10,29), e perciò quella con cui agisce Gesù, è la stessa potenza di Dio (cf Gv 10,28).
Qui si giunge al centro teologico del brano. «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30). L’affermazione di Gesù è insostenibile per i Giudei, lo accusano di blasfemia, e tentano di lapidarlo (cf Gv
10,31).

La fede operativa di Paolo e Barnaba
Nella potenza del Padre e nell’appartenere a Gesù sta la ragione della nostra sicurezza di fronte al pericolo. Solo questo senso di affidamento genera la solidità interiore che rende capaci di essere creativamente fedeli al Signore.
Quando Paolo e Barnaba entrano nella sinagoga di Antiochia, dopo esservi stati pure invitati, ricevono un’accoglienza avversa a causa della gelosia dei Giudei. Avrebbero potuto legittimamente spaventarsi. Per l’ostilità; perché erano ad Antiochia, una grande città che aveva già avuto un primo contatto con il cristianesimo, ma che rimaneva prevalentemente una città pagana. Paolo e Barnaba erano cacciati dalla sinagoga, l’unica presunta isola di sicurezza. Avrebbero potuto spaventarsi e invece reagiscono con fedeltà creativa di fronte all’ostacolo. Dopo aver annunciato il Vangelo ai loro connazionali, decidono di rivolgere il loro annuncio anche ai pagani. Lo fanno per fedeltà alla Parola di Dio (cf At 13,47). Luca cita Is
49,6, versetto che aveva già citato implicitamente per parlare di Gesù (Lc 2,32).

Accogliere le sfide del Vangelo
Cristo è il modello della Chiesa, non solo per il suo comportamento etico (troppo poco!), ma per la sua intera vicenda. La Chiesa modella il suo agire, la sua missione, in costante riferimento normativo a Cristo. Come Gesù, dopo la sua omelia nella sinagoga di Nazareth (cf Lc 4), era stato aggredito e andandosene cominciò a predicare per tutta la Palestina, così Paolo e Barnaba, rifiutati, trovano altri luoghi (fisici e culturali) a cui rivolgersi.
Qui sta l’interrogazione finale delle letture di oggi. Se siamo sicuri della protezione di Dio, se siamo, almeno nell’intenzione, fedeli alla Parola, perché si registra tanta perdita di creatività, tanta stanchezza a pensare e affrontare nuove sfide per l’annuncio del Vangelo? Perché da anni ripetiamo le stesse azioni senza l’entusiasmo di intraprendere nuove strade? Perché abbiamo perso lo slancio giovanile e la creatività fedele e coraggiosa della Chiesa apostolica? Pensiamo forse che Antiochia fosse meno problematica e sfidante dei panorami culturali e sociali di oggi?