6 N O V E M B R E
32ª DOMENICA T.O.
FEDELTÀ CHE OLTREPASSA LA MORTE
I sadducei, dal punto di vista religioso, si contrapponevano ai farisei perché si attenevano solo alla Torah scritta (senza dunque alcun riferimento alla tradizione) e non credevano nella risurrezione. Anch’essi intervengono nel conflitto che narra il capitolo 20 del vangelo di Luca, con le loro argomentazioni specifiche ma in alleanza ai tradizionali nemici, avendo entrambi lo stesso fine: trovare capi di accusa contro Gesù. Per farlo, essi costruiscono un caso che si basa sull’applicazione della legge del levirato (cf Dt 25,5).
Modello di evangelizzazione
Innanzi tutto è notevole il metodo di argomentazione che Gesù usa. Anch’egli si rivolge alla Torah che per i sadducei era l’unica fonte normativa autorevole e ne cita un versetto (cf Lc 20,37; Es 3,6). Gesù, cioè, entra nella mentalità dei suoi interlocutori, nel loro orizzonte, adotta il loro stesso linguaggio e lì dove solo può essere ascoltato e compreso, propone la sua risposta.
Quante volte le comunità ecclesiali oggi si sforzano di fare quest’operazione con i loro interlocutori? Quante volte a chi contesta l’autorità della Scrittura si risponde partendo dalla Scrittura assunta come autorità indiscutibile? Oppure a chi pone domande esistenziali si danno risposte dogmatiche? O a chi pone domande sui contenuti della fede si risponde con la devozione? E così via. L’evangelizzazione non è accondiscendenza verso tutto ciò che s’incontra. Ma l’evangelizzatore deve porsi il problema di trovare i canali di comunicazione, di entrare nell’orizzonte dell’interlocutore, di assumerne il linguaggio e, se è necessario, di sperimentarne altri nuovi, in un mondo in cui si moltiplicano i linguaggi in proporzione all’accrescersi della complessità. Il compito dell’evangelizzatore è trovare le risposte esatte alle domande poste.
L’annuncio del Regno
Pur collocandosi su un terreno accettabile, Gesù non cade nel tranello della «battaglia delle citazioni contrapposte». Afferma la risurrezione a partire da un’altra prospettiva, da Dio stesso. Se Dio è il Dio dei viventi, egli non lascia gli uomini sotto il dominio della morte. La risposta di Gesù muove da una diversa interpretazione di Dio e del rapporto con lui. La sua risposta non svaluta il matrimonio, come se fosse incompatibile con la risurrezione, ma sposta la questione, affermando che nella risurrezione s’instaurano nuove modalità relazionali.
La risurrezione comporta una radicale novità di vita. La vita eterna è vita non in virtù dell’essenza metafisica dell’anima (come direbbe il pensiero greco), ma per la fedeltà di Dio (cf Lc 21,38) che non si interrompe con la morte. Si aggiunge anche, però, che la vita «futura» (Lc 20,35) è qualitativamente diversa da quella attuale.
Fedeltà al Dio della risurrezione
La risurrezione è al centro del mistero cristiano. Il Dio di Gesù Cristo è il Dio della risurrezione; Gesù Cristo è il Risorto. Credere nel Gesù dei vangeli è credere nel Risorto; è avere la speranza di partecipare alla sua risurrezione, è ancorare a questa speranza anche la fedeltà estrema: il martirio.
La prima lettura è parte di un lungo racconto edificante a proposito della fedeltà alla Legge di alcuni martiri ebrei. Non mangiare carne di maiale non è il centro della loro fede. Farlo, però, sarebbe stato simbolico di un’infedeltà più radicale nel contesto della forzata ellenizzazione imposta da Antioco IV. Il libro dei Maccabei afferma progressivamente la speranza che anima i quattro ragazzi. Il primo afferma il valore della fedeltà (cf 2 Mac 7,2), dicendo così il motivo della resistenza. Il secondo, rivolgendosi al persecutore, proclama la propria fede (cf 2 Mac 7,9). Il terzo annuncia la speranza (cf 2 Mac 7,11). Infine, il quarto proclama la forza motivante della speranza (cf 2 Mac 7,14).
I simboli hanno sempre avuto importanza. Per i giovani del libro dei Maccabei era la carne di maiale. Per i primi cristiani furono i sacrifici ai simulacri degli dei o alle statue degli imperatori, che significavano riconoscere l’esistenza di altri dei o di altra signoria oltre a quella dell’unico Signore. Oggi la domanda rimane aperta. Quali altri simboli possono rappresentare la nostra fedeltà o infedeltà al Signore, alla testimonianza della nostra fede, alla professione della nostra speranza? Ciascuno avrà occasioni simboliche in relazione ai propri contesti. Ma la domanda rimane uguale: quando e come rischiamo di tradire la fede e smentire la risurrezione?