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3. Annunciare la Parola – 19 aprile 2020


19 aprile

2ª DOMENICA DI PASQUA

Della divina misericordia

San Tommaso, nostro fratello

PER RIFLETTERE E MEDITARE

La Chiesa a otto giorni dalla Pasqua propone ogni anno l’esperienza di Tommaso e il suo rifiuto di credere «senza aver visto e toccato». Una fede difficile la sua che diventa funzionale al rafforzamento della fede dei credenti lungo i secoli. Ma testimonia anche quanto la risurrezione di Gesù ha sorpreso gli apostoli e quanto dovrebbe sorprendere anche noi, che non abbiamo visto, e tuttavia siamo chiamati a credere.

 

Domenica «in albis»

Oggi è l’«Ottava di Pasqua», la Domenica in albis (depositis). Nei primi secoli i nuovi battezzati, che avevano ricevuto il Battesimo, la Cresima e l’Eucaristia nella notte di Pasqua, deponevano proprio oggi la veste bianca ricevuta in quella notte e partecipavano nuovamente all’Eucaristia senza distinzioni, cristiani a pieno titolo insieme agli altri.

Il brano del Vangelo di Giovanni che riporta l’episodio di Tommaso, ritorna nei tre anni quasi a voler ricuperare, per chi ha vissuto distrattamente la Pasqua, la realtà del Cristo risorto.

Ci ritroviamo di domenica, Pasqua settimanale, in sostituzione del sabato ebraico, e lo faremo ogni domenica dell’anno, per celebrare insieme l’Eucaristia. I cristiani lo fanno sin dagli inizi della Chiesa, perché la tomba vuota è stata vista dalle donne e dagli apostoli di domenica, il primo giorno dopo il sabato; e perché Gesù si è presentato vivo agli apostoli e ai discepoli nel primo giorno della settimana, di domenica.

 

La provocazione di Tommaso

Al ripresentarsi di Gesù vivo, i discepoli passano dalla paura alla gioia. Gesù si presenta senza alcun rancore per la loro fede debole. Li saluta: «Pace a voi!». Mostra loro le mani e il costato, alita su di loro, e lo Spirito Santo creatore dà alla Chiesa nella loro persona il dono del perdono dei peccati. Saranno coraggiosi annunciatori del Vangelo e offriranno a ogni cristiano la possibilità di una nuova vita.

In quella domenica però manca Tommaso, uno dei dodici. Ed egli non presta fede al loro racconto, alla loro testimonianza.

Tommaso viene visto volentieri come un uomo moderno, razionale, critico, non facilmente influenzabile. Non ritiene credibile ciò che dicono gli apostoli, non gli basta. Qualcosa non funziona, qualcosa non lo convince. Ha troppo presente nella testa e nel cuore la tragica fine tra i tormenti di Gesù, quelle mani trafitte, quel petto squarciato dalla lancia del centurione, che toglie ogni dubbio sulla sua morte. Non vuole essere ingannato ancora una volta. Non vuole credere a poco prezzo. «Ma che cosa dite? Che Gesù è risorto? Che è vivo? Non facciamoci prendere da altre illusioni, non andiamo incontro ad altre delusioni!».

Tom­maso forse ha sentito più degli altri la sconfitta per questa morte in croce. Ma quando Gesù gli si presenta mostrando le piaghe aperte, le mani e il costato, egli si convince di non avere mai veramente dubitato. Ed esce nel più maturo atto di fede: «Mio Signore e mio Dio!». Alla fine sembra proprio Tommaso quello che esprime la fede più esplicita e matura. Gesù conclude, pensando ai futuri cristiani, e quindi a noi: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno».

 

Al centro Gesù risorto e vivo

Gesù accetta la sfida di Tommaso, ma accetta anche la sfida dell’uomo d’oggi. È il Gesù risorto che passa attraverso i muri, ma è anche il Gesù umanissimo e piagato, con i segni della passione. Il Gesù storico, che ha vissuto l’amicizia con Tommaso, che ha condiviso tutto con gli apostoli e porta nell’animo ciò che hanno vissuto insieme. «Toccatemi, datemi da mangiare», dice loro. Non li accusa, li accetta come sono e rinnova l’amicizia. È questo che può far crollare i Tommaso di ieri e di oggi.

Con la prima lettura siamo poi invitati a riflettere su quella Chiesa primitiva che comincia a esistere e che esprime nei rapporti reciproci uno spirito inedito. «È apparsa un’altra generazione…», scrive Gregorio di Nissa, riferendosi alla comunità nata dalla Pasqua, «un’altra maniera di vivere». È una comunità che vive la koinonìa, un’unione fraterna che condivide tutto, che si ritrova e si esprime nella frazione del pane. Ascoltano i racconti e la testimonianza di quegli apostoli che hanno vissuto con Gesù negli anni della vita pubblica e ai quali ha fatto il dono di ripresentarsi risorto. È una Chiesa che vive una fraternità che diventa normativa per la comunità cristiana di ogni tempo.

 

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

Giovanni Paolo II ha voluto che l’ottava di Pasqua fosse la «Giornata della Misericordia», secondo la richiesta fatta da Gesù in una visione privata a Santa Faustina Kowalska, delle suore della Beata Vergine Maria della Misericordia a Varsavia, proclamata santa nel 2000. Il 22 febbraio 1931 Gesù ordinò a suor Faustina di dipingere un’immagine secondo un modello che le venne mostrato e le parlò della misericordia. Le disse: «Voglio che la prima domenica dopo Pasqua sia la festa della misericordia». Giovanni Paolo II ha consacrato nel 2002 a Cracovia il santuario dedicato proprio alla «Divina Misericordia». «La Provvidenza ha disposto che Giovanni Paolo II morisse proprio alla vigilia di questo giorno», ha detto Benedetto XVI, «nelle mani della Misericordia Divina. Quelle sacre piaghe, nelle mani, nei piedi e nel costato sono sorgente inesauribile di fede, di speranza e di amore a cui ognuno può attingere, specialmente le anime più assetate della divina misericordia».