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2. Esegesi – 9 febbraio 2020

SALE E LUCE

Isaia 58,7-10 – La tua luce sorgerà come l’aurora
1 Corinzi 2,1-5 – Mi presentai a voi nella debolezza
Matteo 5,13-16 – Risplenda la vostra luce

Regaliamo quello che abbiamo ricevuto
La linea che emerge dalle Scritture di questa domenica è innanzi tutto l’affermazione che ognuno comunica non solo e non tanto una conoscenza quanto un’esperienza. Ce lo suggerisce Isaia: la nostra luce brillerà e ogni ferita sarà rimarginata se avremo un cuore e uno sguardo attenti alla vita dell’altro, e questa attenzione è globale. Non si tratta solo di spezzare il pane con l’affamato, di vestire chi non ha nulla e neanche solo di accogliere nella nostra casa chi è senza tetto… perché possiamo comunicare e partecipare solo ciò che abbiamo a nostra volta ricevuto. Ci troviamo davanti a una concezione della vita che intreccia profondamente povertà, dono e comunione. In sé la vita di ciascuno è povera e, se abbandonato dagli altri, ciascuno può a malapena bastare a se stesso.

Doniamo nella comunione
Sappiamo, però, che a questa nostra vita povera viene «comunicata» una molteplicità di doni che la arricchiscono. Tutto ciò apre alla possibilità e, grazie a Dio, al desiderio di comunicare a nostra volta. Ma quale è il cammino per valorizzare la vita? Insieme alle cose ricordate bisogna fare un passo ulteriore, bisogna togliere l’oppressione, trasformare il dito puntato in mano aperta per accarezzare, stringere, bisogna benedire e non dire male. Tale comunicazione attraverso i doni diventa comunicazione di sé. Dice il profeta: «Spezza il tuo pane con l’affamato», cioè il «nostro» pane: tanto nostro da essere di fatto una parte di «noi stessi» che noi abbiamo il privilegio di spezzare con il fratello. Ognuno rimane povero, ma può ricevere e comunicare un dono. Questa comunicazione del dono genera una ricchezza incommensurabile: le espressioni «sale dalla terra» e «luce del mondo» attribuite a «poveri Cristi» ne sono l’evidente conferma.

Lasciamo che Dio operi
Il sale indica l’alleanza col Signore, dà sapore a ogni offerta, è capace di sanare. Restare «insipidi» è un rischio reale e non è privo di conseguenze, perché ci pone nella condizione di chi, trovata la perla, la sotterra. Se non appartiene all’uomo la capacità di diventare sale della terra, è in suo potere smettere di esserlo. Occorre considerare che è una qualità che si può perdere, e se la si perde l’avvenire è quello di essere calpestati e gettati via. Per non perdere la forza del sale, l’imperativo non è «fate opere buone», ma «risplenda la vostra luce». Non ci è chiesto di conformarci a un codice moralistico, perché le opere buone non sono «opera nostra» ma di Dio in noi: si è invitati a rinunciare ad essere protagonisti per lasciare che Dio operi in noi. Il vero imperativo è quello che illustra l’atteggiamento di Paolo nella seconda
lettura: «Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore» (1 Cor 2,3).

Veniamo illuminati dalla luce
Voi siete la luce del mondo: è un’affermazione molto ricca, che mostra la dignità che il Signore ha dato alla nostra carne, assumendola. Dicendo ciò Gesù rivela ai suoi discepoli la loro nuova situazione. I beati delle beatitudini sono sale della terra e luce del mondo. Non lo sono diventati in virtù di una loro capacità, ma sono stati fatti tali dalla chiamata, vera immersione nella morte e nella risurrezione di Cristo. È lui stesso la luce: Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo (Gv 9,5) che era stata preannunciata da Isaia: Il popolo che camminava nelle tenebre vide una gran luce (Is 9,1); e vista da Simeone: I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo, Israele (Lc 2,32). Ma anche noi ne partecipiamo, nella misura in cui seguiamo Gesù: Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita (Gv 8,12). Il dono della luce va custodito e condiviso con chi abita la casa, e investe ogni luogo e ogni persona. Riguarda tutti, non conosce confini: Io ti ho posto come luce alle genti perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra. Dio, che ha scelto la povertà per ricolmarla della sua ricchezza, invita i «poveri prediletti» a prendersi cura dell’indigenza di ogni uomo perché tutti siano partecipi del suo dono. Siamo invitati a condividere il dono del Signore con chi ancora non l’ha ricevuto e ad allargare la cura alla realtà familiare più vicina e alla famiglia umana più vasta, rendendola parte di noi, nostra carne. Nella celebrazione della carità siamo noi ad essere guariti dalle nostre infermità e proprio queste potranno diventare luoghi fecondi in cui germina la vita.


PER IL CONFRONTO NEL GRUPPO
– C’è un fatto che vuoi presentare perché ha fatto luce nella tua vita?
– Quando e in che modo ti senti sale e luce?


IN FAMIGLIA
Prendiamo un pizzico di sale, lo mettiamo in bocca e ognuno descrive il sapore che sente.
Si accende un cero:
– lo si pone in mezzo alla tavola;
– lo si colloca in alto;
– lo si nasconde sotto un drappo.
Descriviamo la luce che emana nelle diverse posizioni, e proviamo a dire quale di queste luci «siamo noi».


(tratto da R. Paganelli – Entrare nella domenica dalla porta della Parola, anno A, Elledici 2015)