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Meditazioni sulla Beata Chiara Luce Badano

Un libro ripercorre il breve percorso terreno di una ragazza che affrontò la sofferenza con la serenità e la fede dei grandi
LA LUCE DI UN SORRISO
Meditazioni sulla Beata Chiara Luce Badano

di Paolo Parodi
(Editrice Elledici – Pagine 120 – € 7,00)
«La secolarizzazione è ormai ampiamente diffusa. Ma siamo ancora in grado di custodire e alimentare il buon seme della fede. Lo dimostra tanto la perseveranza di chi nella quotidianità rimane saldo nei principi religiosi, quanto la presenza di alcuni che hanno saputo vivere con particolare pienezza le virtù cristiane.Il presente volume è dedicato ad uno di questi testimoni, Chiara Badano».
Con queste Mons. Pier Giorgio Micchiardi, Vescovo emerito di Aqui, presenta il nuovo libro edito da Elledici La luce di un sorriso. Meditazioni sulla Beata Chiara Luce Badano (pagine 120 – € 7,00).
L’autore è Paolo Parodi direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano di Asti, che ripercorre la breve vita di Chiara Luce Badano, attraverso i ricordi dei testimoni che ne hanno sostenuto la causa di beatificazione. Una storia di fede intensa, che apre a riflessioni profonde e illumina la strada della fede come una scia luminosa.
Ma chi era Chiara Luca Badano? L’autore, che su invito di Mons. Livio Maritano è stato delegato vescovile per l’inchiesta diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione di Chiara Badano, la presenta come una ragazza come tante, che ha incontrato, però, la sofferenza molto presto e l’ha affrontata con la serenità e le fede dei grandi.
Chiara nasce nel 1971 e a dieci anni conosce il Movimento dei Focolari, al quale in seguito aderisce. Intanto prosegue gli studi, ma nel 1988, durante una partita a tennis avverte un dolore lancinante alla spassa sinistra. Da lì inizia il suo calvario: viene più volte operata, ma gli esiti della malattia sono inesorabili.
Decide di sospendere le cure, scrive a Chiara Lubich, informandola della decisione di interrompere la chemioterapia: «Solo Dio può. Interrompendo le cure, i dolori alla schiena dovuti ai due interventi e all’immobilità a letto sono aumentati e non riesco quasi più a girarmi sui fianchi. Stasera ho il cuore colmo di gioia… Mi sento così piccola e la strada da compiere è così ardua, spesso mi sento sopraffatta dal dolore. Ma è lo Sposo che viene a trovarmi».
La fondatrice dei Focolarini nel risponderle le assegna un nuovo nome: «Chiara Luce», ed è da qui che tutti prendono a chiamarla così. Da quel momento Chiara, rendendosi conto di come la sua vita fosse ormai verso la fine, comincia a predisporre tutto per il suo funerale, che lei chiamò la sua messa, le sue nozze con Gesù.
Volle essere sepolta col vestito da sposa, bianco, lungo e semplice, perché morire per lei era incontrare lo Sposo; animata da questa fede, non solo era serena, ma invitava i suoi genitori, di cui era l’unica figlia, a vivere con letizia quel momento. Chiese a tutti di non piangere perché le sue esequie fossero un momento di gioia, non di dolore. Il 7 ottobre 1990 salì in cielo, non ancora diciannovenne.
Inizialmente si credette che questi fatti, così come i racconti che ne seguirono fossero enfatizzati, ma non era così: erano il frutto maturo di una formazione che si era sviluppata ed espressa con costanza e fermezza nella prova della malattia. Nove anni dopo la sua morte iniziò l’istruttoria diocesana per aprire la causa di beatificazione; vennero ascoltati 72 testimoni, tra i quali 1 vescovo, 2 sacerdoti, 2 diaconi permanenti, 3 religiose, 9 focolarini consacrati, 46 laici, di cui 7 congiunti della beata. L’inchiesta si concluse nell’agosto del 2000 e ne venne firmato il decreto sulla validità con la dichiarazione del 3 luglio 2008, che la confermò Venerabile. Il 19 dicembre 2009 venne riconosciuto un suo miracolo (la guarigione di un giovane triestino da meningite fulminante) e nel settembre 2010 il Papa firmò il decreto di beatificazione, celebrata il 25 settembre 2010 presso la Madonna del Divino Amore in Roma.
“Siate felici perché io lo sono", così diceva a tutti Chiara Luce, nel momento della sua massima sofferenza, a testimonianza di come, proprio nel punto più abissale della delusione esistenziale, le fu paradossalmente possibile trovare le felicità.
Come ricorda l’autore, “è nel saper scorgere la stella nell’angoscia della notte, e nel saper abbandonarsi a seguirla, che si sfugge alla disperazione e si scorge la presenza di Dio che si affaccia nella vita in modo imprevedibile".