Pubblicato il

3. Commento alle Letture – EPIFANIA DEL SIGNORE

6 GENNAIO 2024

EPIFANIA DEL SIGNORE

Tutte le genti chiamate alla salvezza

COMMENTO

Sono cercatori di Dio questi Magi aperti alla ricerca della verità, che si mettono in viaggio per seguire una misteriosa stella che ha mandato messaggi speciali, tanto da indurli ad affrontare un’avventura che cambierà la loro vita. Magi che si fidano di quell’incerto segnale, affrontano un viaggio insicuro, scomodo, faticoso. Si dirigono prima alla corte del re Erode, poi trovano il bambino Gesù in una povera capanna.

Guidati dalla luce di una stella

Non sono ebrei questi misteriosi Magi e non hanno mai conosciuto le scritture, eppure sono chiamati dalla misteriosa stella all’incontro con Gesù, ad adorarlo e ad aprirsi alla salvezza. Chi cerca sul serio Dio, finisce per trovarlo. I segni possono essere a volte incerti, perché il mistero di Dio non può essere sempre compreso immediatamente, ma sono sufficienti per illuminarci la strada e procurarci la gioia di vivere.
L’evangelista Matteo ha avuto certamente presente la profezia di Isaia (prima lettura), che ha visto Gerusalemme investita da una luce destinata a illuminare tutti i popoli della terra. Ma anche quella di Balaam: «Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Num 24,17). È Gesù questa luce straordinaria che si riversa su Gerusalemme, destinata a portare un messaggio di pace e di salvezza a tutte le genti.

Baldassarre, Gaspare e Melchiorre

È curioso che non avendo indicazioni precise dal Vangelo, la fantasia lungo i secoli ha pensato che questi Magi fossero dei re, che fossero tre, essendo tre i doni offerti al bambino Gesù (oro per la sua regalità, incenso per la sua divinità, mirra per la sua umanità); e ha voluto dare a loro anche un nome: Baldassarre, Gaspare e Melchiorre. I pittori si sono poi sbizzarriti e hanno dipinto i tre Magi quali rappresentanti delle tre razze principali diffuse sulla terra: l’occidentale, l’africana e l’asiatica. Per significare che tutti i popoli della terra sono chiamati ad adorare Gesù.

Giornata missionaria

Aperti al nuovo e alla ricerca religiosa, i Magi rappresentano quegli uomini di buona volontà che non hanno ancora scoperto Gesù, a cui non è ancora giunta la parola di salvezza. Per questo oggi celebriamo la vera giornata missionaria, perché, come nei Magi, in ogni uomo c’è questo bisogno profondo di ricevere una risposta ai grandi interrogativi della vita.
Spesso sono proprio quelli che non hanno mai sentito parlare del vero Dio a sentire maggiormente la gioia di lasciarsi investire dalla luce che si sprigiona dal Vangelo. Un giovane dice: «Ho scoperto Dio a 28 anni: ritengo gli anni che ho vissuto finora come inutili e sprecati». I Magi «provarono una gioia grandissima». È così per chiunque si apre davvero alla fede.

Cercatori di Dio

Essi sbagliano la meta: scelgono Gerusalemme, perché considerano normale che un grande personaggio nasca nella capitale, nel palazzo del re. E si rivolgono per informazioni proprio alla persona più sbagliata, a quell’Erode che ha fatto eliminare parecchi suoi famigliari, sospettati di tramare contro di lui per scalzarlo dal trono.
Ma poi giungono a Betlemme e si prostrano in adorazione, affermando in modo esplicito la divinità di Gesù, nascosta dal Natale di Betlemme. Prima sono stati i pastori a festeggiare la sua nascita e tutto apparve profondamente umano. Ora sono questi Magi venuti da lontano a riconoscere la sua regalità, anzi la sua divinità.
Per tutti questi motivi, l’Epifania non può considerarsi una festa oscurata dalla grandezza del Natale. Anzi, per gli ortodossi è questo il vero Natale, nel senso che viene celebrato oggi il pieno riconoscimento (epifaneia, manifestazione) della figliolanza divina di Gesù a Betlemme, anche nel suo battesimo. Per questo qualcuno di loro festeggia questo giorno entrando nelle acque gelide di un fiume, anche a 24 gradi sotto zero!
Come i pastori, chiamati per primi a onorare Gesù nella sua nascita e insieme ai Magi, venuti da lontano, per riconoscere la sua divinità, anche noi oggi ci inginocchiamo davanti al Bambino per sentire profondamente la gioia di avere Dio così vicino, lui che si è fatto uno di noi.

 

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

«Il vertice narrativo di Matteo 2,1-12 è costituito dalla frase: si prostrarono e lo adorarono. È il giorno della genuflessione anche per noi. E anche dell’offertorio dei doni. Ma soprattutto, della decisione di tornare a casa seguendo un’altra strada» (Tonino Bello).

Pubblicato il

5. Preghiere di perdono e dei fedeli – EPIFANIA DEL SIGNORE

6 GENNAIO 2024

EPIFANIA DEL SIGNORE

Tutte le genti chiamate alla salvezza

RICHIESTE DI PERDONO

• Signore Gesù, aprici gli occhi, tu che sei la luce del mondo, e abbi pietà di noi. Kyrie Eleison.
• Cristo, perdona il nostro scarso impegno nel ricercare e approfondire la nostra fede, abbi pietà di noi. Christe eleison.
•Signore Gesù, che ti sei mostrato e hai riempito di gioia i Magi che si sono messi alla tua ricerca, abbi pietà di noi. Kyrie eleison.

PREGHIERA UNIVERSALE

Celebrante. Fratelli e sorelle carissimi, i Magi, cercatori di Dio, hanno seguito le tracce incerte di una stella pur di incontrare il re dell’Universo. Preghiamo perché il Signore ci apra gli occhi e ci conceda di scoprire il senso profondo della nostra vita.

Signore, rendici ricercatori della verità.

  • Per la santa Chiesa, perché annunci con gioia la luce di Betlemme, destinata a illuminare tutte le genti, preghiamo.
  • Perché il messaggio di speranza e di fede di questa giornata giunga fino agli ultimi confini della terra, e l’umanità si apra alla salvezza, preghiamo.
  • Per i governanti e gli uomini di potere, perché costruiscano una società aperta alla verità, alla giustizia, alla pace, alla fraternità, preghiamo.
  • Per chi è lontano dalla fede, per chi si trova in una situazione di ricerca, perché nella nostra comunità possa scoprire il senso pieno della vita, preghiamo.

Celebrante. O Padre, ti chiediamo il gusto e la ricerca della verità per noi e per quelli che amiamo, e la luce della fede che illumini tutta la nostra vita. Per Cristo nostro Signore.

Pubblicato il

2. introduzioni – EPIFANIA DEL SIGNORE

6 GENNAIO 2024

EPIFANIA DEL SIGNORE

Tutte le genti chiamate alla salvezza

PRIMA LETTURA

La gloria del Signore brilla sopra di te.

Con un linguaggio immaginifico siamo invitati a gioire per una convergenza straordinaria di tutti i popoli verso la futura Gerusalemme. Li attira nel loro cammino una grande luce che li investe e li illumina. È un messaggio di pace universale che raggiunge tutta la città.

SALMO RESPONSORIALE               

Dal Sal 71 (72)

Il salmista profetizza e parla di un progetto di liberazione, di salvezza e di gloria che si realizzerà pienamente nel Signore Gesù.

SECONDA LETTURA

Ora è stato rivelato che tutte le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità.

Paolo ricorda agli Efesini di aver ricevuto il ministero di annunciare il Vangelo ai pagani. Un ministero nuovo per una realtà nuova: la destinazione universale del Vangelo e il dono a tutti della salvezza nella sua pienezza.

VANGELO

Siamo venuti dall’oriente per adorare il re.

Una storia, quella narrata dall’evangelista Matteo, che nei suoi dettagli non può essere interamente storica. Ma Matteo presenta l’atteggiamento dei Magi come esemplare per ogni cercatore di Dio: mentre gli ebrei, i vicini e i più preparati, non accolgono il messia, anzi gli tendono delle insidie, i Magi partono da lontano e affrontano un lungo viaggio per incontrarlo e adorarlo.

Pubblicato il

4. Letture – EPIFANIA DEL SIGNORE

6 GENNAIO 2024

EPIFANIA DEL SIGNORE

Tutte le genti chiamate alla salvezza

PRIMA LETTURA

La gloria del Signore brilla sopra di te.

Con un linguaggio immaginifico siamo invitati a gioire per una convergenza straordinaria di tutti i popoli verso la futura Gerusalemme. Li attira nel loro cammino una grande luce che li investe e li illumina. È un messaggio di pace universale che raggiunge tutta la città.

Dal libro del profeta Isaìa                    Is 60,1-6

Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.

Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.

Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.

Parola di Dio.

SALMO RESPONSORIALE               

Dal Sal 71 (72)

Il salmista profetizza e parla di un progetto di liberazione, di salvezza e di gloria che si realizzerà pienamente nel Signore Gesù.

R. Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.

O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto. R.

Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra. R.

I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui,
lo servano tutte le genti. R.

Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri. R.

SECONDA LETTURA

Ora è stato rivelato che tutte le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità.

Paolo ricorda agli Efesini di aver ricevuto il ministero di annunciare il Vangelo ai pagani. Un ministero nuovo per una realtà nuova: la destinazione universale del Vangelo e il dono a tutti della salvezza nella sua pienezza.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Ef 3,2-3a.5-6

Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.

Parola di Dio.

CANTO AL VANGELO         

Cf. Mt 2,2

Alleluia, alleluia.

Abbiamo visto la sua stella in oriente
e siamo venuti per adorare il Signore.

Alleluia.

VANGELO

Siamo venuti dall’oriente per adorare il re.

Una storia, quella narrata dall’evangelista Matteo, che nei suoi dettagli non può essere interamente storica. Ma Matteo presenta l’atteggiamento dei Magi come esemplare per ogni cercatore di Dio: mentre gli ebrei, i vicini e i più preparati, non accolgono il messia, anzi gli tendono delle insidie, i Magi partono da lontano e affrontano un lungo viaggio per incontrarlo e adorarlo.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 2,1-12

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Parola del Signore.

Pubblicato il

6. Speciale Pasqua – Commenti alle letture Domenica

DOMENICA DI PASQUA: RISURREZIONE DEL SIGNORE

TESTIMONI DELLA RISURREZIONE

La risurrezione di Cristo è l’evento sul quale si fonda la nostra fede. Senza di essa nulla della nostra esperienza storica e umana ha veramente senso.
Rimirare il sepolcro vuoto, tuttavia, non è sufficiente per essere testimoni credibili di quest’evento (non lo è stato neppure per i discepoli di Gesù). Occorre riflettere su ciò che abbiamo visto e sentito, considerarlo con occhi e orecchie nuove e rimodellare la nostra vita alla luce di questa verità: Cristo è risuscitato dai morti e la morte non ha più potere.

PRIMA LETTURA
Noi abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.
Il Pietro pavido e debole che rinnega per tre volte il suo maestro è un ricordo del passato. Lo stesso apostolo proclama quale sia la fonte del suo nuovo coraggio: è la risurrezione di Cristo che, se accolta, cambia gli uomini e li rinnova dal profondo.

Dagli Atti degli Apostoli                      At 10,34a.37-43

SALMO RESPONSORIALE                  Dal Salmo 117 (118)
Siamo noi la pietra scartata che, per intercessione della morte e risurrezione di Cristo, è divenuta testata d’angolo.
Rit. Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci ed esultiamo.

SECONDA LETTURA
Cercate le cose di lassù, dove è Cristo.
La risurrezione di Cristo dai morti ci mostra quale sia il vero valore della nostra vita. Essa non è un’esperienza vuota e banale: vale la pena di essere vissuta per costruire il regno dei cieli.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi              Col 3,1-4

Oppure:
Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova.
L’apostolo Paolo individua due aspetti sulla base dei quali si può descrivere una Pasqua vissuta in maniera autentica: in essa siamo rinnovati e ricostruiti nella verità.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 1 Cor 5,6b-8

SEQUENZA
Alla vittima pasquale,
s’innalzi oggi il sacrificio di lode.
L’Agnello ha redento il suo gregge, l’Innocente ha riconciliato
noi peccatori col Padre.
Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello.
Il Signore della vita era morto;
ma ora, vivo, trionfa.
«Raccontaci, Maria:
che hai visto sulla via?».
«La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto,
e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le sue vesti.
Cristo, mia speranza, è risorto:
precede i suoi in Galilea».
Sì, ne siamo certi:
Cristo è davvero risorto. Tu, Re vittorioso,
abbi pietà di noi.

CANTO AL VANGELO    Cf 1 Cor 5,7-8
Alleluia, alleluia.
Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato:
facciamo festa nel Signore.
Alleluia.

VANGELO
Egli doveva risuscitare dai morti.
Scegliendo un linguaggio semplice e pressoché privo di valutazioni, l’evangelista Giovanni sembra quasi voler nascondere la grandezza dell’evento che racconta. La narrazione comincia nel buio: un’oscurità che non può venire dissipata se non dalla fede, la quale, sola, permette di leggere i numerosi segni sotto la giusta luce.

Dal vangelo secondo Giovanni Gv 20,1-9
Oppure: Lc 24,1-12
Dove si celebra la Messa vespertina si può anche leggere: Lc 24,13-35

MEDITAZIONE
La risurrezione è lo specifico irrinunciabile e insostituibile del cristianesimo. Senza risurrezione di Cristo non c’è cristianesimo. Quando l’apostolo Pietro pronuncia il suo discorso nella casa del centurione Cornelio, in un primo momento riassume la vita di Gesù (cf At 10,37). Il centro del suo discorso, però, è l’annuncio degli eventi pasquali: «Essi lo uccisero appendendolo ad una croce, ma Dio lo ha risuscitato il terzo giorno» (At 10,39-40).

La predicazione degli apostoli
In stretta connessione con questo centro vi è il ruolo di alcuni che sono «testimoni prescelti da Dio» (At 10,41). La risurrezione di Cristo è il contenuto centrale della predicazione apostolica e costituisce il nucleo fondante della comunità di fede eretta sull’esperienza e sulla testimonianza di testimoni credibili di quell’evento.
La particolarità dell’esperienza di quei «testimoni prescelti» consiste nel fatto che «abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (At 10,41). La relazione di comunione e di intimità che legava i discepoli con il Gesù storico, espressa dalla condivisione della mensa, non è interrotta dalla morte e continua grazie alla sua risurrezione. E poiché quella comunione e quell’intimità non è più costretta dai limiti dello spazio e del tempo, in virtù della risurrezione, essa giunge fino a noi.

La comprensione della risurrezione
Il Pietro che annuncia con tanta forza la sua fede nella casa di Cornelio è il prodotto fatto e finito. Ma per giungere lì, anche per lui il cammino non è stato semplice. E ciò viene incontro alle nostre difficoltà nell’accogliere e professare la fede.
Maria, Pietro, il discepolo che Gesù amava descritti nel vangelo delineano diverse e complementari tappe del cammino nella fede. Il mattino del primo giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si reca al sepolcro «quando era ancora buio» (Gv 20,1), specifica Giovanni. Non si tratta solo di un’indicazione cronologica, bensì simbolica. Nel cuore di questa donna appassionata di Gesù regna il buio della paura, dell’angoscia, del senso di fallimento dovuto all’aver assistito alla morte del maestro. Maria si reca al sepolcro manifestando una schietta e tenera devozione alla persona di Gesù, ma, essendo per lei un morto, è una devozione al cadavere. Il buio in cui ella si muove è quello della ristrettezza degli orizzonti di comprensione umana che al massimo giunge alla morte, che al limite si sforza di elaborare il lutto. Tanto che quando constata l’assenza del corpo reagisce in modo realistico e razionale, l’unica razionalità empirica possibile (cf Gv 20,2): hanno rubato il cadavere.
All’udire questa notizia Pietro e il discepolo che Gesù amava corrono al sepolcro. Il secondo, giunto al sepolcro, decifra i segni e compie il balzo nella fede.

Il «salto» della fede
I segni della risurrezione sono segni deboli: una pietra ribaltata, le bende e il sudario «non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte» (Gv 20,7), l’assenza di un corpo. Sono solo una prova in negativo: non hanno rubato il cadavere. È ancora poco per giungere a realizzare l’evento della risurrezione. È necessario il balzo che comprende nella fede gli stessi segni, ma in positivo.
Questo balzo trasforma l’orizzonte dell’esistenza. Paolo afferma che la risurrezione di Cristo non è solo un fatto storico da celebrare, ma è il principio primo che investe la storia dell’umanità, e quella di ciascuno (cf Col 3,1). La risurrezione è l’affermarsi di una vita nuova.
Per questo è necessario sperimentare delle anticipazioni di risurrezione. Esse si danno quando, consapevoli del perdono ricevuto (cf At 10,43), siamo in grado di instaurare relazioni riconciliate con Dio e con i fratelli; quando lasciamo che la risurrezione illumini la nostra intelligenza e la nostra affettività; quando la vita si innalza dall’appiattimento nelle piccole cose al gusto di una ricerca alta. Paolo invita a rivolgere «il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3,2), cioè a leggere le cose di quaggiù valorizzandole secondo un’ottica di risurrezione e non di morte. Se ben compreso è un invito al maggiore degli azzardi: a scommettere sulla possibilità di realizzare la nostra umanità nella sua autenticità.

Pubblicato il

5. Speciale Pasqua – Commenti alle letture Veglia pasquale

VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA

CRISTO RISORTO: PIENEZZA DELLA MISERICORDIA DI DIO

Il desiderio di Dio di vedere l’uomo libero attraversa le difficoltà della storia e trionfa in questa notte.
In Cristo, l’uomo viene ricostituito a immagine di Dio, al di là del cedimento di Adamo di fronte alle proposte del serpente, della prevaricazione dei potenti, dell’infedeltà del popolo d’Israele, del limite estremo della morte. Nel sepolcro vuoto, la miseria cede il passo alla misericordia.

MEDITAZIONE
Quaresima e Settimana Santa hanno avuto un unico punto di convergenza: la contemplazione della misericordia di Dio. Essa è una continua azione di Dio a favore dell’umanità; è servizio all’uomo.
La celebrazione della Veglia Pasquale, con la sua ricchezza di segni, simboli, gesti, riti, formule, e particolarmente con l’abbondanza della sua Liturgia della Parola che ripercorre tutta la Storia della Salvezza, è rimeditare la vicenda della misericordia divina che si offre all’umanità, per la sua salvezza e per la sua liberazione.
Le letture della liturgia della Veglia percorrono la storia della liberazione umana, dal suo rendersi necessaria fino alla sua realizzazione.

Storia della liberazione
La prima lettura è la narrazione della creazione. È una riflessione teologica sul cosmo (non spiegazione alternativa a quella scientifica) creato bello e armonico, secondo la volontà di Dio. L’uomo è al vertice di tale creazione.
Poi, come si sa, l’episodio del peccato dei progenitori. L’evento che turba tutte le relazioni armoniche precedenti.
La seconda lettura narra la scena drammatica di un padre (Abramo) che deve sacrificare il suo unico figlio (Isacco). Scandalo per noi moderni, ma cosa accettata nella religiosità dei popoli vicini a Israele. La condanna biblica del sacrificio umano comporta anche un risvolto teologico. Dio è colui che assume Abramo in una relazione di misericordia con sé e così libera l’umanità da un rapporto opprimente con il divino.
La lettura dell’Esodo, e il successivo cantico, raccontano la liberazione di Israele dall’Egitto, la terra della schiavitù, dove il popolo non può essere popolo perché privato della sua dignità, in quanto assoggettato alla volontà del più forte. La fuoriuscita dall’Egitto è l’inizio di un cammino che vedrà le sue difficoltà (camminare nel deserto), le sue tentazioni (la nostalgia della pentola della carne e delle cipolle), ma anche la sua meta: l’ingresso nella terra della libertà.
La profezia di Isaia riafferma il fondamento del percorso verso la libertà: il rapporto di reciproco innamoramento fra Dio e il popolo.
Anche nell’oracolo della quinta lettura, ancora tratta da Isaia, Dio si offre per una relazione nella quale ama l’uomo gratuitamente e per una nuova alleanza che si estende a tutta l’umanità, superando i limiti del nazionalismo religioso. Il profeta ribadisce l’intervento di Dio per la liberazione dell’uomo per mezzo della sua Parola efficace.
La lettura tratta dal profeta Baruc è un invito del profeta a considerare la legge, la delimitazione dello spazio delle giuste relazioni con sé, con Dio e con i fratelli, come legge per la vita. Il profeta invita l’umanità alla sua conoscenza e accoglienza, per ricevere in dono la vita e per avere la liberazione dall’oppressione e dalla morte.
Anche Ezechiele ritorna sul tema della Nuova Alleanza per la vita. Perché Dio donerà all’uomo un cuore nuovo. Un cuore di carne, non di pietra, perché, instaurandosi una relazione di rinnovato amore fra Dio e popolo, questo abbia la pienezza della vita.
Con la lettera ai Romani si passa dalla promessa alla realtà. È il battesimo, per mezzo del quale «siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4). La liberazione che si era resa necessaria a causa del peccato, per la quale Dio ha operato fin dalla liberazione di Israele dall’Egitto, perché quest’ultimo fosse occasione di benedizione per tutti i popoli e perché dunque potesse diventare liberazione più profonda e per l’umanità intera, in Cristo morto e risorto giunge alla sua pienezza: è liberazione dal peccato e dalla morte.

La risurrezione di Cristo e la nostra liberazione
Il grande grido di questa notte è che Cristo è risorto. Anzi: Cristo «è vivo» (Lc 24,5). Cristo è oggi vivo. Nel suo essere vivo si compiono tutte le promesse. La creazione intera trova in lui la via per recuperare quella bellezza e armonia detta nel libro della Genesi.
Il suo essere vivo riscatta la nostra libertà. Pietro entrando nel sepolcro «vide solo i teli» (Lc 24,12). Quei teli che legavano il cadavere non hanno più potere sul Risorto, non costringono più il suo corpo nelle tenebre della morte.
L’uomo è costituzionalmente debole, fragile. Nella concretezza della storicità umana la libertà è sempre a rischio, soggetta alla caducità dell’esistenza: sempre soggetta al pericolo di una ricaduta nella schiavitù del peccato. La resurrezione è la liberazione da questa schiavitù: è il riscatto dalla nostra fragilità che riceviamo da Dio anche nell’estremo limite della nostra creaturalità.
Grazie alla risurrezione siamo creature nuove. Strappati alla morte e dunque liberati nel profondo del nostro essere. Questo fonda il nostro agire libero. Come direbbe san Paolo: un agire degno della nostra vocazione

Pubblicato il

4. Speciale Pasqua – Commenti alle letture Venerdì Santo

VENERDÌ SANTO: PASSIONE DEL SIGNORE

LA CROCE, TRONO DEL CRISTO

Lo spartiacque della liturgia di oggi sta tutto nelle parole del sommo sacerdote Caifa: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo» (Gv 18,14).
Possiamo condividere la ragionevolezza di un’osservazione come questa e provare un leggero senso di sollievo per essere arrivati alla fine di un giorno così triste, nel quale siamo stati obbligati a ricordarci che non tutto, in questo mondo, va per il verso giusto. Oppure possiamo lasciarci turbare e interrogare, ancora oggi, dalla morte di un innocente.

PRIMA LETTURA
Egli è stato trafitto per le nostre colpe (Quarto canto del Servo del Signore).
Nella figura del Servo sofferente di Yahweh rivive l’immagine del seno sterile di Sara: un’immagine di tristezza incolmabile, di inutilità e di promesse infrante. Come accadde ad Abramo e a sua moglie, è da questa sterilità che Dio farà nascere una moltitudine: una moltitudine di salvati.

SALMO RESPONSORIALE Dal Salmo 30 (31)
All’uomo che non ha più niente, non rimane che confidare nella giustizia del Signore.
Rit. Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.

SECONDA LETTURA
Cristo imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono.
La lettera agli Ebrei ci fornisce un’immagine troppo spesso dimenticata: quella di un Gesù che tiene alla sua vita e che non vuole perderla. Il testo ci dice anche, però, che egli non si rifiutò di obbedire al Padre. Essere cristiani non significa dunque essere degli eroi, ma fidarsi di Dio, fino alla fine.

Dalla lettera agli Ebrei Eb 4,14-16; 5,7-9

CANTO AL VANGELO Cf Fil 2,8-9
Gloria e lode a te, Cristo Signore!
Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome.
Gloria e lode a te, Cristo Signore!

VANGELO
Passione del Signore.
La prima preoccupazione di Gesù, nel momento in cui i suoi aguzzini vengono a catturarlo, è quella di mettere al sicuro i suoi discepoli. Come accade per noi oggi, infatti, chi vorrà seguirlo sulla via del Calvario dovrà farlo per sua libera scelta.

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni
Gv 18,1–19,42

MEDITAZIONE
Tipico della celebrazione del Venerdì Santo è il tono di austerità, di essenzialità. Nel rito trova grande spazio il silenzio; tutte le sue parti sono volutamente sobrie.
Momento caratteristico di questa celebrazione è il rito della venerazione della croce che deve essere illuminato dalla liturgia della Parola.

L’ironia di Giovanni
Apparentemente contrasta molto con la serietà della celebrazione riconoscere nella narrazione giovannea della passione alcuni tratti ironici. che Gesù, appena arrestato, è condotto a processo innanzitutto da Anna e successivamente da Caifa (cf Gv 18,12-13). Si tratta probabilmente di un interrogatorio ufficioso ma, conoscendo i personaggi, si può leggere una sferzata alle opacità del potere. Caifa era il legittimo sommo sacerdote; Anna, suo suocero, fu sommo sacerdote ma fu deposto. Biasimato per la sua ambizione e avidità, dopo la sua esautorazione continuò a gestire il potere in maniera nepotistica.
Con la chiave dell’ironia si può leggere il dialogo di consegna di Gesù a Pilato (cf Gv 18,29-30). Ciò serve a Giovanni per annunciare il tipo di condanna, ma c’è un «sentore di tautologico» nella risposta dei Giudei, grazie al quale è possibile leggere un riferimento ai sofismi spesso utilizzati a giustificazione delle intenzioni malvagie.
I soldati, per ordine di Pilato, prendono Gesù, lo flagellano e poi, intrecciata una corona di spine e vestitolo con un mantello di porpora, lo scherniscono (cf Gv 19,3). Proprio quella burla, però, è la proclamazione, per bocca di pagani, della regalità di Gesù. Gesù è proclamato re dai soldati romani, mentre è rinnegato dai Giudei. Non è però senza ironia che nel farlo, coloro che accusavano Gesù di essere un bestemmiatore diventino loro stessi idolatri (cf Gv 19,15).
Sulla regalità Giovanni ritorna con insistenza parlando dell’iscrizione composta da Pilato e posta sopra la croce. Anche qui c’è dell’ironia, perché quella regalità è scritta, e letta, in tre lingue: ebraico, la lingua sacra; latino, la lingua dei dominatori del mondo; greco, la lingua più diffusa nel mondo antico. Grazie a quell’iscrizione il mondo intero può ricevere l’annuncio della regalità di Gesù.

La regalità di Gesù
L’ironia di Giovanni è funzionale alla sua proposta teologica, e cioè affermare la regalità di Gesù. Gesù è re e il suo trono è la croce. Gesù è intronizzato per ordine di un pagano e dall’alto del suo trono esercita la sua sovranità.
Sulla croce, infatti, si compiono le parole che progressivamente egli aveva pronunciato nel corso del vangelo. La croce è il luogo dal quale egli attirerà tutto il mondo a sé (cf Gv 12,32). È il luogo dove manifesterà la sua regalità non come dominio ma come servizio (cf Gv 19,37). Il riferimento è alla profezia di Zaccaria: «In quel giorno io mi impegnerò a distruggere tutte le nazioni che verranno contro Gerusalemme. Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a me, colui che hanno trafitto» (Zc 12,9-10). La croce è il luogo dal quale Gesù salva gli uomini dal veleno del loro peccato che mitridatizza la loro esistenza (cf Gv 3,14).

Il compimento delle profezie
Verso la croce si focalizza l’attenzione di oggi. Le letture sostanziano il rito della venerazione. Dalla profezia di Isaia si traggono robuste indicazioni riguardo la passione di Gesù sulla croce.
«Egli è stato trafitto per le nostre colpe, per le nostre iniquità» (Is 53,5): a causa dei nostri peccati egli è stato trafitto e questo induce alla contrizione. «Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada» (Is 53,6): sulla croce Gesù è pienamente e compiutamente il Buon Pastore, secondo la descrizione che lui stesso ne ha fatto (cf Gv 10). «Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore» (Is 53,10): la sua passione è offerta di sé per compiere la volontà del Padre, è libera adesione al progetto della nostra salvezza in piena consapevolezza (cf Gv 18,4). «Il giusto mio servo giustificherà molti» (Is 53,11): per la sua passione ci è donata la giustificazione. La giustizia di Dio, in Cristo, non giustifica giustiziando, ma rendendo giusti. In questo sta la speranza dei credenti davanti alla croce.

Pubblicato il

3. Speciale Pasqua – Commenti alle letture Giovedì Santo

CENA DEL SIGNORE

AMORE, SERVIZIO
E CONSAPEVOLEZZA

In tutti i film drammatici che si rispettino, arriva un momento in cui il protagonista fa un discorso toccante. La vita e la predicazione di Gesù, però, non sono un film drammatico.
Negli ultimi istanti trascorsi coi suoi amici, infatti, prima di affrontare la morte di croce, egli non li impressiona con arringhe formidabili, ma affida loro un impegno molto concreto e lo illustra nella migliore maniera possibile: dando l’esempio.

PRIMA LETTURA
Prescrizioni per la cena pasquale.
La liberazione del popolo ebraico dalla terra d’Egitto è figura di ogni possibile liberazione. Ciò non significa che il contesto storico in cui essa si colloca non conti. Ogni piccolo particolare di quella vicenda infatti, perfino la fretta, assume un valore rituale e si trasforma in memoriale di salvezza.

Dal libro dell’Esodo       Es 12,1-8.11-14

SALMO RESPONSORIALE Dal Salmo 115 (116)
Il doni che abbiamo ricevuto dal Signore sono tanti e tali che non si può
«contraccambiare», solo innalzare una preghiera di lode.
Rit. Il tuo calice, Signore, è dono di salvezza.

SECONDA LETTURA
Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore.
Prendere parte alla celebrazione eucaristica significa farsi testimoni della morte e risurrezione di Cristo. Questa testimonianza è anche un impegno, a non lasciare che un così grande dono sia dimenticato e a non permettere che venga accolto con superficialità.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi             1 Cor 11,23-26

CANTO AL VANGELO Gv 13,34
Gloria e lode e onore a te, Cristo Signore!
Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore:
come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Gloria e lode e onore a te, Cristo Signore!

VANGELO
Li amò sino alla fine.
L’evangelista Giovanni inizia il racconto della lavanda dei piedi concentrandosi sulla piena consapevolezza di Gesù. Questa scelta sta a sottolineare che il gesto che egli compie non è casuale. Prendersi cura dei fratelli non significa, infatti, compiere una buona azione tra le tante, significa modellarsi a immagine di Cristo.

Dal vangelo secondo Giovanni                   Gv 13,1-15

MEDITAZIONE
Il gesto più notevole e specifico della Messa in Coena Domini è la lavanda dei piedi. Il rischio di questo rito, però, è di ridurlo a teatrino. In tal modo si perde il senso del rito: del rito in generale, in quanto esso è condensazione simbolica di un significato profondo, e nello specifico di questo rito, immiserito a mera ripetizione di un gesto narrato dal vangelo di Giovanni, senza che si penetri la significatività dell’azione di Gesù.

L’amare e il sapere di Gesù
Il capitolo 13 di Giovanni pone subito al primo versetto i due verbi che reggeranno tutta l’ultima parte del quarto vangelo (cf Gv 13,1).
«Amare» è il primo fra i due. Gesù ha amato e ama i suoi discepoli. Si approssima alla passione per amore dell’umanità. Nella parte finale del capitolo consegna il «comandamento nuovo» (cf Gv 13,34a); invita i discepoli ad amare seguendo il suo esempio (cf Gv 13,34b); indica l’amore come la testimonianza più credibile del discepolato (cf Gv 13,35). L’amore di Gesù accetta l’abbassamento radicale della croce, del dono della vita (cf Gv 15,13).
L’amore, però, deve tradursi in azioni concrete di servizio. Di questo Gesù dà l’esempio con il suo chinarsi davanti ai discepoli per compiere un gesto di umiltà estrema: lavare loro i piedi.
Il secondo verbo che reggerà tutta l’ultima parte del vangelo di Giovanni è «sapere». Gesù è consapevole di quanto sta accadendo; accondiscende, perché condivide la volontà di salvezza del Padre; accetta in piena libertà le conseguenze della scelta e gli eventi. Ne è testimonianza la lettura dei fatti della passione, dei quali, nel quarto vangelo, Gesù stesso è protagonista, quasi regista. Nella lavanda Gesù depone le vesti e le riprende (cf Gv 13,4.12), riferimento al suo consegnare la vita nella passione, per poi riaverla nella resurrezione.

Il significato cristologico
Il gesto della lavanda, quindi, è innanzi tutto un condensato simbolico con valenza cristologica. Tutto di questo evento narrato da Giovanni parla della Pasqua di morte e risurrezione. A sua volta, la Pasqua di Gesù (cf Gv 13,1) è il compimento della Pasqua narrata nel libro dell’Esodo (cf prima lettura).
Il gesto che Gesù compie lavando i piedi ai discepoli può essere compreso solo nella fede. Lo dimostrano gli atteggiamenti di Giuda e Pietro. Il primo, ormai sotto il dominio del diavolo che «aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo» (Gv 13,2), è completamente distaccato nella sede del suo comprendere
e deliberare (il cuore) dall’amore di Gesù. Il secondo non accetta di farsi lavare i piedi. La lavanda è segno di quella purificazione interiore che si realizza con la passione. Qui, per Pietro – e per noi – si danno due difficoltà. La prima consiste nell’accettare di aver bisogno di essere purificati, cioè nel riconoscere il proprio peccato e la propria condizione di peccatori. La seconda, testimoniata dalla resistenza di Pietro, è la fatica ad accettare il ministero messianico di Gesù come si realizza. Un messia sofferente e sconfitto. Nei sinottici la stessa problematica emerge subito dopo la confessione di Cesarea (cf Mc 8,32 e paralleli). Mettere in questione la lavanda dei piedi, dunque, è mettere in questione tutta la rivelazione di Gesù.

Lo stile cristiano
La seconda parte del tratto di vangelo ha indole più esortativa. Gesù lascia ai discepoli il comando della ripetizione del suo gesto (cf Gv 13,15). Su questa esortazione bisogna recuperare il senso vero del rito. Celebrare la lavanda dei piedi nella Messa in Coena Domini, non può limitarsi a essere un’occasione, ma deve diventare uno stile di vita per i cristiani. Tutta la vita del cristiano deve essere improntata al servizio. Anche quando si rivestano ruoli di responsabilità, essi devono essere vissuti come servizio dell’autorità. Si noti, infatti, che il rito prevede che il sacerdote, nell’approssimarsi al rito della lavanda, si sveste dei paramenti sacri per inginocchiarsi. Si spoglia, dunque, delle insegne, per chinarsi e servire.
Il comando della ripetizione nel testo di Giovanni è parallelo al comando della ripetizione nell’istituzione eucaristica (cf 1 Cor 11,24.25). L’evangelista Giovanni non riporta l’episodio dell’istituzione dell’Eucaristia. Nella narrazione al suo posto pone la lavanda. Il che suggerisce una più stretta relazione fra i due episodi. Poiché la motivazione è sempre la stessa, l’amore, si può dedurre che celebra rettamente l’Eucaristia chi impronta la sua vita al servizio; e questo è celebrato sacramentalmente nell’Eucaristia.