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3. Commento alle Letture – 2 domenica di Pasqua anno C

24   A P R I L E
2ª DOMENICA DI PASQUA
(Domenica «in albis» o della Divina Misericordia)

La risurrezione, si è detto già domenica scorsa, è il centro insostituibile e non negoziabile del cristianesimo. Il cristianesimo professa la morte e risurrezione di Gesù.
L’affermazione dell’insostituibilità della risurrezione è in stretta connessione con la centralità del Risorto e tutte le conseguenze salvifiche che ne derivano per l’uomo (cf 1 Cor 15). Si parla di risurrezione poiché vi è un Risorto. Nel cristianesimo non si sostiene teoricamente la risurrezione (un evento, cioè, in linea di principio non impossibile), bensì la si asserisce già avvenuta in Cristo, il Risorto.

Il dubbio di Tommaso e l’interpretazione dei segni
Qui si mostra la profondità e la serietà del cosiddetto «dubbio» di Tommaso (cf Gv 20,25). Ingiusta tradizione quella che fa di queste parole l’espressione di ostinata incredulità. Tommaso non è un grossolano empirista, un realista ingenuo per il quale c’è ed è vero solo quello che vede, cioè lo stadio più primitivo e meno raffinato della conoscenza umana. Tommaso è un vero e serio ricercatore della verità della fede.
Colui che appare mostra a Tommaso le sue ferite, i segni della passione (cf Gv 20,27). L’apostolo può dunque trovare risposta alla sua inquietudine. Fra chi gli appare davanti e il Crocifisso c’è identità. Eppure, strettamente parlando, fin qui non c’è ancora affermazione della risurrezione. Il passo da compiersi è ancora ulteriore. Tommaso a questo punto non deve tanto toccare quanto comprendere. È questo il balzo per giungere alla fede, e Tommaso lo compie quando coglie e comprende i segni per quello che sono: segni.
Tommaso sono nella medesima condizione: devono saper inter-
pretare dei segni per giungere alla fede. L’interpretazione porta Tommaso alla fine del percorso. Ciò è detto nelle sue parole, insieme invocazione e professione di fede. «Mio Signore e mio Dio!» (Gv
20,28).

La beatitudine dei credenti
Alla professione di fede di Tommaso il Risorto risponde con parole che nella lettura del testo devono essere ben intonate. «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». (Gv 20,29). Se lette male suonano solo come un rimprovero. Sono invece parole nelle quali il Risorto annuncia una beatitudine nuova e speciale per chi proclamerà la fede senza il riscontro visibile del suo corpo glorioso. È la beatitudine particolare dei credenti dall’epoca della predicazione apostolica a oggi. Pur salvaguardando le differenze, la struttura dinamica della professione di fede è la medesima per i credenti di oggi, per quelli di Gerusalemme e, prima ancora, per Tommaso. In Gerusalemme, presso il portico di Salomone, i discepoli rendono la loro prima testimonianza. A fronte di questa, dice Luca, «sempre più […] venivano aggiunti credenti al Signore» (At 5,14). La folla è attratta da quanto i discepoli dicono e da quello che fanno.
La comunità apostolica, e dopo di lei quella dei credenti, con la sua testimonianza è importante struttura di mediazione della fede. La preghiera comune, manifestazione della concordia ecclesiale, e le guarigioni sono dei segni per chi li vede dall’esterno. Dei segni che interrogano e che, se interpretati nel contesto dell’annuncio degli apostoli, possono provocare il balzo nella fede. La quale, comunque, rimane un atto di relazione intima con il Signore.

L’importanza della Scrittura
Ancora oggi questa è la dinamica della fede. Ogni credente, infatti, è sempre implicato nell’avventura di correlare elementi per capirli e successivamente interpretarli. È sempre coinvolto in un’avvincente ermeneutica dei segni, al fine di percorrere la sua ricerca di fede. Per noi, oggi, i segni sono dati nella Tradizione della Chiesa, nella vita storica ed ecclesiale, e, soprattutto, nella Scrittura.
All’importanza di questa per la vita del credente ci richiama proprio il finale del vangelo (cf Gv 20,31) e anche il testo dell’Apocalisse (cf Ap 1,11). L’esperienza di fede del credente di oggi, dunque, deve essere necessariamente nutrita dalla frequentazione assidua della Scrittura che tramanda la testimonianza degli apostoli. In essa si trovano i contenuti della nostra fede e della nostra speranza, ai quali fare riferimento per la conduzione della nostra vita di credenti.